Xi Jinping e Li Keqiang presiedono il XII Congresso del Partito comunista cinese (foto LaPresse)

Il modello cinese è in crisi, solo una cosa può salvarlo: più libertà

Eugenio Cau
"Se Pechino non cambierà corso in maniera radicale le riforme sono già spacciate". Intervista a David Shambaugh, professore di Scienza politica alla George Washington University e tra i più importanti sinologi del mondo

Roma. Che nel modello Cina – in quel mix di libero mercato e autoritarismo politico che ha spinto l’economia cinese a vette inattese – si stiano aprendo delle crepe sempre più vistose è risaputo da tempo. La crisi finanziaria della scorsa estate ha scosso la fiducia dei mercati. Nei prossimi tre anni, ha scritto Reuters, in Cina saranno licenziate oltre 6 milioni di persone dalle fabbriche in crisi da sovrapproduzione e dalle aree minerarie in disarmo. Questo mese, il premier Li Keqiang ha detto che i tempi più duri devono ancora venire. Il paese è nel mezzo di una gigantesca transizione, che dovrebbe trasformarlo dal più grande esportatore del mondo a un’economia matura basata sui consumi interni.

 

Da questa transizione dipende anche gran parte del destino dell’economia mondiale, ma secondo David Shambaugh, professore di Scienza politica alla George Washington University e tra i più importanti sinologi del mondo, se Pechino non cambierà corso in maniera radicale le riforme sono già spacciate. Non è un problema di qualità dei provvedimenti economici. Secondo Shambaugh, infatti, è l’autoritarismo politico del regime cinese il limite invalicabile allo sviluppo economico. Shambaugh ha pubblicato da poco per i tipi della casa editrice Polity un pamphlet intitolato “China’s Future”, in cui considera tutte le sfide che attendono la Cina notando un problema fondamentale: senza libertà non c’è sviluppo economico. “C’è un collegamento chiaro tra la liberalizzazione politica, la democratizzazione e un’economia che passa da uno stato di industrializzazione recente a quello di economia pienamente sviluppata e moderna”, ha detto Shambaugh in una conversazione con il Foglio. “Il modello politico autoritario della Cina è stato adatto allo sviluppo economico finora, ma non lo sarà nel futuro. Se il sistema non si liberalizza bloccherà lo sviluppo economico futuro della Cina”. La liberalizzazione politica, secondo Shambaugh, non è una conseguenza della crescita economica, ma un suo facilitatore, e nella storia nessuna economia al livello di sviluppo della Cina è riuscita a fare il passo successivo e trasformarsi in un’economia moderna senza una qualche forma di democratizzazione. La Cina è entrata in quella che viene definita la “middle income trap”, in cui l’economia non può più disporre di infinita manodopera a basso costo e per svilupparsi deve fare affidamento su innovazione, educazione di alto livello, inventiva – elementi che solo con un certo grado di liberalizzazione politica possono prosperare. Peccato però che la leadership comunista sembri pensare l’esatto contrario. Sotto Xi Jinping, ha scritto Shambaugh, la Cina è passata da una forma di autoritarismo “soft” negli anni Duemila a un autoritarismo “hard”, e le cronache recenti lo dimostrano. Negli ultimi giorni è iniziata una grande operazione di repressione dopo che su un sito di news vicino al governo è stata pubblicata, e subito eliminata, una lettera di alcuni “membri fedeli del Partito comunista” che chiedevano le dimissioni di Xi Jinping.

 

Negli stessi giorni alcuni esponenti del mondo dei media e del business hanno iniziato a protestare pubblicamente contro la censura e la repressione sempre più asfissianti. Le turbolenze economiche potrebbero aumentare la tentazione del regime di ricorrere alla repressione, ma ormai, dice Shambaugh, “il genio è uscito dalla lampada”, e sarà impossibile ricacciarlo dentro. La leadership cinese ha così davanti a sé diverse strade. Mantenere il suo autoritarismo “hard”, sterzare verso il “neototalitarismo” dell’epoca di Mao, oppure iniziare un processo di liberalizzazione politica e trasformarsi in una “semi democrazia”. Per Shambaugh, il modello di una Cina di successo è l’efficiente tecnocrazia di Singapore. “E’ un modello applicabile”, dice, “se il Partito comunista cinese è pronto a tollerare una sfera pubblica e una società civile robuste, accettare altri partiti politici in un processo competitivo, creare un vero Parlamento e applicare la legge”. Ma a leggere “China’s Future”, Shambaugh non sembra affatto ottimista.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.