Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Spendere come mercato comanda

Giuliano Ferrara

Il ritorno dello stato nell’economia non può essere la vendetta del neosocialismo o del neopopulismo. Rivedere i dogmi e le proprie idee si può, caro Provenzano. Lezioni da Giavazzi (e da Parmenide)

Beppe Provenzano si è risentito perché qui fu criticato e come sempre in questi casi ne è uscita anche un po’ una caricatura delle sue idee. Niente di più normale, credo. Per lui Draghi deve liberarsi di consulenti liberisti o come si dice neoliberisti perché sta gestendo il debito buono in una cornice di spesa pubblica anticiclica fortemente neokeynesiana. Per gli scrittori liberisti di qui con le sue critiche contro i consulenti a suo giudizio eterodossi Provenzano incorre in una specie di reazione-rivoluzione anticulturale e intollerante di tipo neomaoista.

 

Vabbè, direbbe Masneri. Il problema non è che le idee del vicesegretario del Pd siano sbagliate, è che sono generiche e un po’ astratte almeno quanto le idee che egli critica. Chiaro nella sua intervista di ieri a Repubblica è che si sente un sostenitore del governo Draghi, e ci tiene a rimarcare il punto. Il vero consulente del governo Draghi, a parte Draghi stesso che con Draghi si consulta spesso e con lui stesso tende a decidere, si chiama Francesco Giavazzi, coautore con il compianto Alberto Alesina di un celebre pamphlet di una dozzina di anni fa. Vi si diceva che il liberismo è di sinistra perché punta sul merito anziché sul censo, perché lavora per la flessibilità e mobilità sociale contro garanzie intese come privilegi acquisiti, che lavoro, innovazione, formazione, crescita, produttività e finanza sono strumenti di emancipazione nel mercato per grandi masse in tutto il mondo, che riducono povertà assoluta e diseguaglianze, come dimostra ad abundantiam il maoismo autoritario alla Deng o se volete alla Mr.Ping.

 

Giavazzi non ripeterebbe oggi le famose giaculatorie contro spesa pubblica e sostegni all’economia dei singoli e delle imprese perché il mondo con la pandemia è radicalmente cambiato, c’è il ritorno necessario dello stato e un fiume di spesa e di aiuto pubblici circola impetuoso nelle vene di tutti i paesi. Draghi non ritornerebbe a firmare con Trichet la famosa lettera della Bce al governo italiano, fosse ancora lì il testo sarebbe un altro, più simile all’articolo del Financial Times in cui l’ex Bce definì i termini del debito buono, cioè di un fenomeno strutturale di nuova spesa pubblica produttiva destinato ad affermarsi e a durare. L’Unione europea stessa si indebita e spende il necessario in cambio di riforme e trasformazioni attentamente sorvegliate dalla Commissione di Bruxelles, anche grazie all’operato del governo di cui Provenzano faceva parte.

 

Ma se un Giavazzi dragocentrico sa cambiare idea, o considerare caduca per il tempo attuale una parte del suo “sistema mentale”, perché non dovrebbe succedere il medesimo anche a Provenzano? Il vice del Pd sa benissimo, non essendo affatto uno stupido, avendo freschezza dell’età ed esperienza politica, quanto sia cambiato il lavoro, e il suo mercato, quanto sia distinto dal posto tutelato e garantito; sa che alle diseguaglianze scongiurate, e giustamente, si arriva non per la cattiveria e per l’avidità del capitalismo, o non solo per la logica del profitto, ma anche per l’estensione della rete assistenziale e dei suoi gravami fiscali sulla crescita e creazione di ricchezza; sa che il popolo è fatto anche e sempre di più di consumatori, e che le lobby parapubbliche aiutano i residui monopolistici, non le necessità di vita della gente comune, eccetera.

 

Come Giavazzi sa che un blocco della spesa pubblica e un ritorno all’austerità sarebbero mortali oggi, così Provenzano sa che il ritorno dello stato nell’economia, negli investimenti in infrastrutture, nel sostegno diretto delle conseguenze tremende della crisi da blocco delle attività economiche, non è e non può essere la vendetta del neosocialismo o del neopopulismo. Tutti sanno che il problema è spendere secondo criteri di mercato, nel segno della crescita e della produttività generale, compreso il lavoro, e che solo così si riducono le diseguaglianze e si redistribuisce in parte qualcosa che c’è invece del nulla. L’essere è e il non essere non è, diceva Parmenide, un altro consulente di grido.  E allora che senso hanno tutte queste polemiche da supercazzola neoliberista e neosocialista?

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.