Francesco Giavazzi, consulente economico del premier Draghi (foto Ansa) 

La buffonata dei prof. anti liberisti

Luciano Capone

Sprezzo della logica, ipocrisie accademiche, pulpiti grotteschi e qualche indicazione sui nemici di Draghi. Perché la lista di proscrizione contro i consulenti scelti da Palazzo Chigi è un omaggio al ridicolo

Diceva La Rochefoucauld che l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, ma quando l’ipocrisia supera una certa soglia l’omaggio è al ridicolo. È il caso dell’appello degli economisti, che in realtà non sono tutti economisti, pubblicato dal Domani e rivolto al premier Mario Draghi contro “la nomina dei cinque consulenti al nucleo tecnico”. Si tratta della notizia data dal Foglio il 16 giugno, e poi confermata da Palazzo Chigi, della nomina di sette economisti, cinque uomini e due donne, (Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Cristina Maltese, Marco Percoco, Riccardo Puglisi, Silvia Scozzese e Carlo Stagnaro) nel Nucleo tecnico sul coordinamento della politica economica presso il Dipe di Palazzo Chigi, per valutare l’impatto degli investimenti futuri e aiutare i comuni su alcuni progetti, che inevitabilmente si intrecceranno con il Pnrr.


 Gli appellanti protestano contro la nomina di alcuni tra cinque dei sette consulenti, senza fare nomi, perché “rischiano di danneggiare l’immagine di competenza tecnica del governo e la fiducia nel suo operato”. Le motivazioni sono abbastanza sconcertanti. La prima è “l’omogeneità di genere e geografica (5 uomini tutti operanti in Università e Istituti di ricerca del nord) che comunque andrà valutata nella completezza del Nucleo tecnico, la cui composizione non è ancora nota”. I firmatari, ignari della composizione di un gruppo di 26 membri, affermano che nelle nomine c’è squilibrio di genere e territoriale (tutti uomini e del nord). Ma per poter fare questa affermazione escludono dal conteggio, senza un motivo preciso, le due donne nominate che non sono del nord.

 

La cosa fa sorridere, ma è grottesca per il pulpito da cui proviene. Alcuni promotori – Giovanni Dosi, Giorgio Fagiolo, Mauro Napoletano e Andrea Roventini – un anno fa facevano parte di una delle “task force” del governo Conte, questa per davvero composta da 10 membri tutti maschi e operanti in Università o istituti del nord. A loro andava bene e pure ai loro cofirmatari, dei quali non risultano appelli al premier. Ci sarebbe poi da dire anche sul lavoro di quella “task force data-driven” che doveva spiegare “come far ripartire l’economia” dopo il lockdown: tre paginette word, con indicazioni generiche e senza alcun dato. Un altro argomento usato, con sprezzo della logica, contro i i tecnici scelti dal governo Draghi è che “rispetto alla questione del Mezzogiorno in alcuni casi le loro posizioni sono di scarsa attenzione e di riduzionismo della rilevanza del problema, oltre che di critica dell’efficacia dell’intervento pubblico italiano ed europeo a riguardo”. A prescindere dalla fondatezza dell’accusa, delle due l’una: o la questione meridionale è grave e quindi l’intervento pubblico è stato inefficace, oppure l’intervento pubblico è stato efficace e quindi il problema non è più grave.

 

Ma l’accusa principale, il vero motivo dell’appello, è che i tecnici scelti dal governo Draghi sarebbero “portatori di una visione economica estremista caratterizzata dalla fiducia incondizionata nella capacità dei mercati di risolvere autonomamente qualsiasi problema economico e sociale”, ovvero sarebbero dei pericolosi “liberisti”. Questo è un giudizio di valore, un punto di vista soggettivo. Perché l’estremismo, un po’ come la bellezza, è negli occhi di chi guarda. Balza all’occhio, ad esempio, la presenza tra i firmatari di economisti che facilmente possono essere ritenuti “estremisti” No euro: Gennaro Zezza che per il M5s proponeva la “moneta fiscale” (i minibot) per uscire dall’euro o Sergio Cesaratto che parlava apertamente di Eurexit. E se essere “liberisti” è una colpa, bisogna ricordare che diversi appellanti hanno in passato rivolto questa accusa allo stesso Draghi e a Francesco Giavazzi.

 

La questione, però, in questo caso diventa di metodo: se ciò che i firmatari contestano è la linea “liberista”, dovrebbero chiedere la testa del “liberista” Giavazzi (god bless) che è il principale consigliere economico del premier, quindi con qualche influenza sulla linea di politica economica, e non di qualcuno dei cinque tecnici che non avrà alcun potere decisionale o di indirizzo. Un appello critico contro il governo e la sua linea, scevro dall’ipocrisia alla base di alcune ridicole questioni di metodo che squalificano la lettera e i suoi firmatari, avrebbe avuto quantomeno la dignità della legittima polemica politica. Non è questo il caso.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali