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Perché la regolarizzazione dei “clandestini” è nel nostro interesse

Luciano Capone

Quest’anno mancano gli stagionali: facciamo lavorare legalmente gli stranieri che già sono qui. Altrimenti campi pieni e scaffali vuoti

Roma. La proposta del Foglio di una regolarizzazione dei 600 mila “clandestini” residenti sul territorio italiano e la netta presa di posizione favorevole del ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova hanno, finalmente, aperto un dibattito sul tema. Al momento i toni sono accesi e gli attacchi della Lega di Matteo Salvini e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al ministro Bellanova – che davvero ha lavorato nei campi – molto forti. Ma la dura realtà dovrebbe spingere tutti a mettere da parte la propaganda e a fare i conti con le necessità sanitarie ed economiche del paese. “Nei paesi sviluppati che fanno affidamento sul lavoro immigrato, se la crisi del coronavirus dura due mesi, l’impatto sarà molto grave”, ha dichiarato al Financial Times Josef Schmidhuber, vicedirettore della divisione commercio e mercati della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Ed è appunto un problema europeo, non solo italiano. L’Economist scrive che la Germania ha bisogno di almeno 300 mila lavoratori stagionali solo nell’agricoltura. La Francia ne ha bisogno di 200 mila nei prossimi tre mesi. Stesso discorso per l’Olanda che con le sue serre è uno dei principali esportatori agricoli in Europa e che fa affidamento sulla manodopera dell’est. In Spagna, secondo l’associazione di produttori agricoli Asaja, circa l’80 per cento dei lavoratori stagionali arriva dall’estero, molti dal Marocco e dal nord Africa. Secondo Coldiretti i lavoratori regolari stranieri impiegati ogni anno in Italia sono 370 mila e nei prossimi due mesi ne servono 250 mila.

   

Il lockdown e l’epidemia hanno bloccato questo flusso. Da un lato è precluso l’arrivo per gli extracomunitari, dall’altro molti cittadini comunitari non vogliono spostarsi. Molti paesi hanno costruito dei “corridoi verdi”, ma i lavoratori da un lato temono il contagio trasferendosi in altri paesi e dall’altro temono il rientro perché sarebbero sottoposti a misure di quarantena, come quelle previste ad esempio dalla Polonia. Così i lavoratori stagionali polacchi non vanno in Germania e quelli ucraini non vanno in Polonia. Inoltre a molti, come bulgari e romeni, è più difficile il trasferimento verso i paesi occidentali perché l’Ungheria, attraverso cui passavano, ha chiuso i confini. E anche quando sono aperti, resta il timore per il Covid-19 e per le quarantene al ritorno. Solo in Italia i lavoratori stagionali romeni sono oltre 100 mila, quasi un terzo degli stranieri. Molti di loro hanno già disdetto i contratti in Italia. Senza una soluzione, secondo le associazioni di categoria circa il 40 per cento di frutta e verdura rischia di non essere raccolto. Campi pieni e scaffali vuoti. A questo bisogna aggiungere che molti paesi, proprio a causa della crisi, hanno bloccato l’export di materie prime agricole. Quindi il calo della produzione interno rischia di non poter essere compensato da un aumento delle importazioni.

 

In questo contesto, la regolarizzazione consentirebbe di far lavorare legalmente quelli che già ci sono e già lavorano, ma sfruttati, senza diritti e controlli sanitari. E che, senza documenti, in questa situazione di sospensione degli spostamenti non potrebbero neppure raggiungere i campi pur lavorando in nero. Non esiste made in Italy agricolo senza lavoratori stranieri. La regolarizzazione di queste persone che già vivono e lavorano in Italia non è un atto di benevolenza, ma di cura del nostro interesse. E’ forse questo che ancora non hanno compreso i sovranisti. Per dirla con Adam Smith: “Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro interesse”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali