Foto Pixabay

Il lavoro dopo il coronavirus. Come garantire la sicurezza nel paese delle piccole e medie imprese

Samuele Maccolini

A livello globale le multinazionali si stanno già organizzando per affrontare la Fase due, ma per le pmi spesso si tratta di investimenti ingenti. La prof. Tullini: “Bisogna trovare una nuova capacità organizzativa e manageriale”

Quando inizierà la fase due, e soprattutto, come sarà? È la domanda che dall’inizio della pandemia si fanno imprenditori e governanti dei paesi più colpiti dal coronavirus. In Italia il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha deciso di prolungare il lockdown, con sparute eccezioni, fino all'inizio del prossimo mese. Scelta questa condivisa anche dalla Francia, dove le misure più rigide di confinamento non verranno riviste prima dell’11 maggio. In altri paesi europei, invece, la fase due sembra più vicina e, seppur timidamente, si cerca di ripartire. In Spagna, il governo distribuisce mascherine agli operai che hanno iniziato a rientrare nelle fabbriche e nei cantieri mentre in Austria, dopo un mese di blocco forzato, sono stati riaperti i piccoli negozi dopo un mese di blocco forzato.

 

A livello globale le grandi multinazionali si stanno preparando alla fase due con tutti gli accorgimenti necessari. Il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta dove vengono presentati alcuni esempi di come potrebbe essere “la nuova normalità”. Ma, avverte il giornale, questa sarà “tutt’altro che normale”. Prendiamo il caso di Disneyland, riaperto a Shangai quando la pandemia ha iniziato a scemare. I visitatori devono indossare la mascherina tutto il tempo e togliersela solamente per mangiare. Le entrate sono contingentate e agli ospiti viene controllata la temperatura prima di entrare. I turisti devono anche presentare un QR code validato dal governo sul proprio smartphone per attestare la loro condizione di salute. Intanto, la catena di caffetterie americana Starbucks ha riaperto il 95 per cento dei suoi bar in Cina. Nuove regole: orario limitato, e pochi posti a sedere per invitare il cliente a consumare fuori dal locale. Nell’industria automobilistica la Toyota sta pianificando delle catene di montaggio rallentate – prima sperimentate per assecondare la carenza di domanda, e in seguito implementate per mantenere il distanziamento sociale nelle fabbriche – e testa nuovi protocolli come ad esempio screening sanitari in loco per i lavoratori.

 

Per una grande multinazionale, però, è semplice organizzarsi e mettere in atto alcuni accorgimenti. Diverso il caso delle piccole e medie imprese che, molto spesso, non possono permettersi investimenti ingenti. Un elemento che di certo non può essere trascurato in Italia, dove il sistema produttivo è in gran parte caratterizzato da pmi. E se è vero che a livello internazionale chi offrirà migliori garanzie di sicurezza riuscirà a ottenere un vantaggio competitivo, noi rischiamo di venire fortemente penalizzati anche sotto questo aspetto.  

 

Se dal punto di vista economico le pmi faranno più fatica delle multinazionali ad adattarsi, loro hanno un buon alleato: la legislazione vigente in termini di sicurezza”, dice al Foglio Patrizia Tullini, professoressa universitaria dell’Università di Bologna specializzata nella Sicurezza del Lavoro. “Nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro del 2008 sono già presenti molti degli accorgimenti da cui partire per affrontare la fase due. Lì, ad esempio, banalmente c’è scritto che bisogna evitare gli assembramenti. Inoltre, quando il datore di lavoro organizza le misure di sicurezza deve dare la priorità alle misure collettive rispetto a quelle individuali”.

 

Le norme, dunque, non mancano. Non solo il Testo Unico, ma anche il protocollo firmato da organizzazioni sindacali, organizzazioni datoriali e governo lo scroso 14 marzo. Anche se, alla fine, solo un bravo manager può gestire al meglio il ritorno alla normalità. “Esattamente. Bisogna trovare una nuova capacità organizzativa e manageriale: è il momento del management della sicurezza”, dice Tullini. Senza dimenticare la tecnologia. “Alcune imprese hanno adottato dei sensori che segnalano al lavoratore se sta violando il distanziamento sociale. Queste sono tecnologie utili, non intrusive. C’è invece chi pensa che tecnologie più invasive e lesive della privacy, come i droni o le app che stanno sperimentando i governi per ragioni di controllo pubblico, possano essere utilizzate all’interno delle imprese. Non penso che misure di questo tipo potranno mai servire”.

Di più su questi argomenti: