Foto LaPresse

Una valutazione del decreto Liquidità, tra copertura e implementazione

Guido Romano e Fabiano Schivardi

I 400 miliardi di finanziamenti sono ampiamente sufficienti per le esigenze di tutte le imprese. È necessario utilizzare tutti gli strumenti disponibili per canalizzarli velocemente e in modo efficace

In un precedente articolo (Il Foglio del 25 marzo), abbiamo stimato l’evoluzione della liquidità di 720 mila imprese, che coprono circa il 55 per cento degli occupati dipendenti e che generano un valore aggiunto pari a un terzo del pil italiano. I risultati mostravano che un numero consistente di imprese va in crisi già tra marzo e aprile e che sono necessarie iniezioni di liquidità fino a 140 miliardi per evitare di perdere una fetta consistente del nostro apparato produttivo. L’auspicio era quindi che si agisse velocemente e che si mettesse sul piatto liquidità abbondante.

 

Con questa strumentazione possiamo ora valutare il recente decreto che ha definito misure che dovrebbero attivare 400 miliardi di euro di finanziamenti, attraverso il Fondo Centrale di Garanzie e Sace. In particolare, le pmi (meno di 500 addetti) possono ottenere 25 mila euro a garanzia piena, elargibili senza istruttoria (misura 1). Per ottenere prestiti maggiori, un’istruttoria è invece necessaria. Quelle con fatturato fino a 3,2 milioni di euro, possono ottenere un finanziamento fino a un quarto dei ricavi, con garanzia al 90 per cento dello stato e al 10 per cento dei Confidi (misura 2), oppure fino a 5 milioni ma con la garanzia solo al 90 cento (misura 3). Se queste misure non sono sufficienti, le pmi possono accedere a una garanzia al 90 per cento da Sace e ottenere un prestito che copre fino al 25 per cento dei ricavi o il doppio del costo del personale (misura 5). Questa misura su applica anche alle grandi grandi imprese, con garanzia statale dal 70 al 90 per cento del prestito.

Secondo i nostri calcoli, i 400 miliardi di finanziamenti sono ampiamente sufficienti per le esigenze di liquidità di tutte le imprese. Senza provvedimento, a dicembre sarebbero in crisi di liquidità 266 mila imprese, che occupano 4,5 milioni di addetti. Di queste, meno di mille non sarebbero in grado di coprire gli ammanchi con la liquidità prevista dalle norme. La copertura teorica è quindi praticamente totale.

 

L’efficacia del provvedimento dipenderà quindi dalla sua implementazione. Un primo aspetto riguarda la velocità d’intervento. Mentre i 25 mila euro per le pmi sono completamente garantiti dallo stato e dovrebbero essere erogati in tempi brevissimi, gli altri schemi di finanziamento prevedono un’istruttoria, con grado crescente di complessità. Quante imprese possono coprire i propri bisogni solo con i 25 mila euro e quante hanno invece bisogno di ricorrere a un’istruttoria? Già ad aprile 131 mila pmi andrebbero in crisi di liquidità. Di queste, circa 90 mila coprirebbero i lori ammanchi con l’intervento base di 25 mila euro previsto dalla misura 1. Al picco del bisogno di liquidità, toccato ad agosto, circa 200 mila imprese avrebbero bisogno di liquidità, la metà delle quali coperte dalla misura 1; altre 57 mila pmi potrebbero soddisfare la loro esigenza di liquidità con la misura 2, che prevede istruttoria semplificata. Rimarrebbero fuori 43 mila società di maggiori dimensioni, che impiegano 1,35 milioni di addetti. Solo con la misura 3 il numero di addetti non coperti si ridurrebbe in modo significativo (a 136 mila). E’ chiaro quindi che è necessario che anche le misure più complesse vengano attivate velocemente. Ma questa misura prevede che parte del rischio (il 10 per cento) rimanga a carico delle banche e richiederà quindi un’istruttoria più attenta da parte di quest’ultime. Il numero di istruttorie da processare prossime settimane potrebbe ingolfare il processo e il rischio di rallentamenti è qiundi molto concreto.

 

Sarebbe utile prevedere una procedura a due stadi, impiegando algoritmi che misurano in modo puntuale e tempestivo il rischio di credito sulla base di modelli di score. Nel caso un’impresa abbia uno score positivo il credito dovrebbe essere erogato con istruttoria snella e veloce. Le competenze specifiche delle banche nella valutazione del credito dovrebbero essere dedicate alle imprese con score negativi, per distinguere fra imprese che hanno comunque prospettive di sviluppo, nonostante gli indicatori quantitativi negativi, da quelle che non ne hanno. Per loro natura, gli score non incorporano la soft information, cioè il patrimonio informativo che le banche sviluppano attraverso il rapporto diretto con i loro clienti e che devono integrale le indicazioni provenienti dagli indicatori quantitativi.

Per valutare quanto questo approccio ridurrebbe l’attività istruttoria, abbiamo utilizzato il Cerved Credit Score, un sistema molto diffuso nel sistema bancario. Delle 100 mila imprese che avranno bisogno di liquidità nelle prossime settimane, circa 80 mila rientrano nelle prime sette classi, ritenute solvibili. Queste imprese potrebbero ricevere credito velocemente con istruttorie semplificate e le banche potrebbero dedicare più tempo e risorse per valutare attentamente le 20 mila imprese in area di rischio.

L’ammontare di credito che va fatto fluire nel sistema produttivo in breve tempo è senza precedenti e non può essere fatta con i tempi e le procedure standard. E’ necessario utilizzare tutti gli strumenti disponibili per canalizzarlo velocemente ed in modo efficace verso le imprese.

 

*Guido Romano, Cerved
Fabiano Schivardi, Università Luiss ed Eief

Di più su questi argomenti: