Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri (foto LaPresse)

La quarantena dell'Italia

Mariarosaria Marchesano

Il governo rossogiallo fa i conti con incertezze esterne (coronavirus e dazi) e malanni interni (produzione in calo). I numeri di un’economia convalescente

L’incertezza esterna è la principale variabile con cui deve fare i conti l’Italia nel 2020, un “virus” che rischia di contagiare l’economia nel suo complesso e in particolar modo l’industria, che nell’ultima parte del 2019 ha risentito fortemente della mancata ripresa della Germania, a cui è legata a doppio filo, e adesso è esposta ai danni che l’epidemia cinese di coronavirus sta procurando alla catena produttiva mondiale soprattutto nei settori del lusso e del turismo. Eppure, i dati usciti nelle settimane a cavallo dell’anno erano stati tutto sommato incoraggianti: la schiarita sui dazi e la riduzione dell’incertezza sulla Brexit sembravano sostenere l’ottimismo del ministro del Tesoro, Roberto Gualtieri, che non ha perso occasione per ricordare i benefici di uno spread fortemente ridimensionato. E, in effetti, gli investitori hanno concesso un’apertura di credito al governo giallorosso percepito non ostile all’Europa. Ma sul fronte macroeconomico le cose sono peggiorate di colpo e ora che l’inattesa epidemia cinese può trasformarsi in un “cigno nero” per l’economia mondiale, l’Italia appare più che mai come un paese vulnerabile agli choc esterni perché non ha abbastanza difese immunitarie per controbilanciare l’eventuale indebolimento della domanda estera che durante il governo gialloverde ha scongiurato la recessione. E adesso? In mancanza di una fonte ufficiale univoca che abbia già recepito tutti gli impatti sulla congiuntura, il Foglio ha raccolto ed elaborato con l’aiuto di vari centri studi i numeri che sintetizzano la “quarantena economica” dell’Italia.

 

La decrescita del pil nel 2020

0,2 per cento: è la previsione di crescita del prodotto interno lordo per il 2020 (0,7 per cento nel 2021) fatta dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha rivisto al ribasso le sue precedenti stime (0,5 per cento) e si posiziona al di sotto del tasso di sviluppo dello 0,6 per cento su cui il governo Conte bis ha basato la manovra economica per quest’anno. Nel 2018 l’organismo indipendente non validò le previsioni economiche per il 2019 ipotizzate dal governo Lega-Cinque Stelle nel suo documento programmatico che fu oggetto di un duro confronto con la Commissione europea. Oggi, il rapporto tra deficit e pil ipotizzato dal governo giallorosso è pari al 2,2 per cento per quest’anno, ma è molto probabile che sarà superato alla luce del peggioramento delle previsioni economiche di medio termine messo in luce dall’Upb, che ha tenuto conto di vari fattori, compreso l’impatto del coronavirus sulle prospettive economiche globali.

 

Fine 2019 in peggioramento

-0,3 per cento: è la stima preliminare dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana nel quarto trimestre 2019. Soprattutto su questo dato l’Upb ha basato la sua nuova previsione di crescita per l’Italia nel 2020 fornendo la seguente spiegazione: “Questa battuta d’arresto – comune, anche se in misura differente, al resto dell’area dell’euro e attribuibile alla contrazione dell’industria, dell’edilizia e dell’agricoltura – non ha inciso tanto sui risultati del 2019, chiuso con una crescita del pil dello 0,2 percento (0,8 per cento nel 2018) quanto sull’eredità per l’anno in corso: il trascinamento statistico risulterebbe infatti negativo per 0,2 punti percentuali”.

 

Produzione industriale in caduta

-1,3 per cento: è di quanto si è contratta la produzione industriale nel 2019 rispetto al 2018. Il dato è tornato ai livelli del 2013 dopo aver risentito in modo particolare dell’andamento negativo di dicembre. Come ricorda il centro studi di Intesa Sanpaolo, nello stesso mese un calo di analoga entità è stato avvertito in Francia (-2,8 per cento rispetto a novembre) e in Germania (-2,5 per cento), il che suggerirebbe che possano aver inciso gli effetti del calendario corto natalizio ed è lecito attendersi un rimbalzo a gennaio come ha precisato il capo del Mef, Gualtieri. Ma sempre il centro studi della banca ricorda che tutti gli indicatori anticipatori di gennaio 2020 non arrivano a segnalare una tendenza espansiva per l’industria.

 

Se le imprese non chiedono prestiti

-3,4 per cento: questa è la diminuzione della domanda di credito da parte delle imprese nel 2019 rispetto al 2018 in base ai dati forniti dal sistema di rilevazione Crif. Quest’ultimo ha confermato il peggioramento su base annua del dato rilevato qualche settimana fa dall’Abi, l’associazione delle banche italiane, e dalla Banca d’Italia relativo alle richieste di prestiti registrate nel mese di novembre (-1,9 per cento rispetto a ottobre). La contrazione nella richiesta di finanziamenti al sistema bancario riguarda maggiormente le imprese individuali rispetto alle società di capitali e a ridursi è anche l’importo medio (-2 per cento).

 

Fiducia di consumatori e imprese

A gennaio di quest’anno, l’Istat ha stimato un miglioramento del clima di fiducia dei consumatori (da 110,8 a 111,8) mentre è risultato in lieve calo l’indice composito di fiducia delle imprese (da 100,7 a 99,2), che mostra un miglioramento del clima nelle costruzioni e nel manifatturiero, mentre peggiora nel settore del commercio e dei servizi. In sintesi, i dati di gennaio sono stati ritenuti tutto sommato incoraggianti grazie soprattutto al ridursi dell’incertezza commerciale e della Brexit, ma non inglobano ancora nel sentiment il peggioramento delle previsioni economiche dovuto all’impatto del coronavirus.

 

Occupazione in calo

Nel mese di dicembre 2019, l’occupazione è risultata in calo rispetto al mese precedente di 75 mila unità (-0,3 per cento rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione è sceso scende al 59,2 per cento (-0,1 punti percentuali). Non è di certo positiva neppure la crescita degli inattivi registrata con il finire dell’anno.

 

Impatto sul pil cinese

-1,3 per cento: è l’impatto economico negativo del coronavirus sul pil cinese nel primo trimestre di quest’anno calcolato sempre dagli analisti di Intesa Sanpaolo: “L’epidemia causerà una battuta d’arresto tra febbraio e marzo di quest’anno, che potrebbe salire al 2 per cento con ipotesi più aggressive. Ma pur con tutte le incertezze su tempi e intensità, resta un fenomeno transitorio. Le ricadute sull’Eurozona saranno alla fine modeste anche se nel breve termine potrebbero essere accentuate da una chiusura più diffusa e lunga del previsto delle fabbriche cinesi”.

 

Colpo al cuore del lusso

1,5-2 per cento: è di quanto calerà il fatturato delle aziende italiane del lusso nel primo trimestre 2020 per effetto del coronavirus, secondo le previsioni della Camera nazionale della moda comunicate il 4 febbraio. I cinesi sono stati protagonisti della crescita dei consumi mondiali del lusso negli ultimi anni e rappresentano oggi il 35 per cento delle vendite globali (le stime dicono che arriveranno al 50 per cento per il 2025) con un valore di quasi 100 miliardi di euro. Tanto per fare un esempio, i cinesi rappresentano il 20 per cento dei clienti di via Montenapoleone a Milano.

 

Meno pernottamenti cinesi

5 milioni: è il numero di turisti cinesi che pernotta ogni anno in Italia, dove si fermano in media 13 giorni secondo dati della Banca d’Italia. Non sono ancora note stime sull’impatto sull’industria turistica italiana del venir meno di queste presenze, ma secondo uno studio dell’Istituto Demoskpika, le cancellazioni delle prenotazioni potrebbero costare 4,5 miliardi di fatturato in meno del settore con Veneto, Toscano, Lazio e Lombardia le regioni più colpite.

 

Eurozona in frenata a dicembre 2019

-1,7 per cento: è il calo previsto dagli analisti della produzione industriale nell’Eurozona a dicembre 2019 (dato atteso oggi) rispetto al mese precedente, che se messo a confronto con l’incremento dello 0,2 per cento di novembre, fa salire a quasi due punti percentuali la flessione registrata in soli due mesi.

  

Effetto virus sull’economia globale

3,3 per cento: è la stima di crescita dell’economia mondiale del Fondo monetario internazionale, che ancora non considera gli effetti del coronavirus. Il rapporto di previsione dell’Fmi è stato elaborato, infatti, prima che l’epidemia cinese si allargasse anche ad altri paesi. Sebbene sia ancora prematuro ottenere stime robuste dei possibili effetti economici, alcune valutazioni preliminari sono state fatte paragonando l’attuale epidemia la Sars del 2003. Considerando i settori maggiormente colpiti (viaggi, intrattenimento e commercio al dettaglio), ma anche gli effetti legati al prolungamento da parte di molte aziende cinesi del periodo di vacanza legato al capodanno, Morgan Stanley stima che la perdita di pil per la Cina potrebbe andare da 0,5 a 1 punto percentuale nel primo trimestre, se il picco di diffusione avesse luogo tra febbraio e marzo. Se invece il picco si manifestasse tra marzo e aprile si avrebbe una perdita leggermente superiore, nella prima metà del 2019. Per l’economia mondiale, gli effetti sul pil sarebbero compresi tra 0,15 e 0,3 punti percentuali nel primo trimestre. Secondo Oxford Economics, invece, la perdita di pil nei primi tre mesi del 2020 potrebbe essere circa il doppio di quella stimata da Morgan Stanley.

 

Lo spread ha un tetto verso il basso

Ieri lo spread tra Btp e Bund tedeschi ha chiuso a 136 punti base, praticamente la metà di quant’era un anno fa, con i rendimenti dei titoli di stato decennali che sono scesi poco sotto l’1 per cento (a metà febbraio 2019 erano quasi al 3 per cento). Alcune banche d’affari hanno stimato che se il differenziale si mantenesse fino alla fine dell’anno su questi livelli, il governo pagherebbe più di 2 miliardi in meno di spesa per interessi ai sottoscrittori di debito pubblico. Il differenziale dell’Italia, però, non riesce ad allinearsi alla media degli altri paesi europei che è all’incirca di 60-70 punti base rispetto alla Germania, ma si mantiene su livelli doppi anche rispetto a Spagna e Portogallo. Il che vuol dire che l’Italia continua a pagare una spesa per interessi molto più elevata rispetto al resto d’Europa e che l’apertura di credito degli investitori nei confronti del paese resta tutto sommato condizionata.

 

Piazza Affari la più ottimista

La Borsa italiana è, secondo un’opinione diffusa tra gli analisti finanziari, il mercato azionario che più di altri in Europa ha beneficiato degli effetti positivi delle politiche monetarie espansive della Bce che di fatto hanno calmierato gli spread sovrani con l’immissione di liquidità. Seppure, non mancano effetti erosivi dei tassi zero, soprattutto sul sistema bancario, nel complesso l’attesa di liquidità da Quantitative easing incoraggia gli investitori anche in momenti di congiuntura avversa come quello attuale. Un minor rischio percepito sul mercato del reddito fisso (Btp) si riflette positivamente sul listino milanese. Così, il Ftse Mib, l’indice più rappresentativo di Piazza Affari) è tornato ai livelli del 2008, prima del crollo dovuto alla crisi finanziaria dei subprime (24.700 punti). mostrando di non temere il coronavirus e l’incertezza esterna.