La sede di Medionanca a Milano (foto LaPresse)

L'offensiva di Del Vecchio su Mediobanca ha come alleato il silenzioso Mustier

Alberto Brambilla

Se Del Vecchio aprirà la cassaforte di Generali attraverso una scalata progressiva di Mediobanca, lascerà un’eredità delicata in futuro, vista una situazione famigliare complessa. Può la finanza italiana diventare un affare di famiglia?

Roma. Se è veritiero il proverbio che “chi tace sembra acconsentire” non sono molti i sostenitori di Leonardo Del Vecchio nel tentativo di rivoluzionare la strategia di Mediobanca attraverso la riduzione del peso in Assicurazioni Generali e mettendo in discussione l’amministratore delegato Alberto Nagel che presenterà il nuovo piano industriale a novembre.

A settembre il patron di Luxottica Del Vecchio aveva acquistato il 6,94 per cento del capitale di Mediobanca attraverso la sua finanziaria Delfin, diventando il terzo azionista, e conservando l’obiettivo di salire oltre il 10 per cento. L’autorizzazione per aumentare la quota dovrebbe, in caso, arrivare dalla Banca centrale europea e dalla Banca d’Italia. La motivazione sottostante la spinta, secondo quanto dichiarato dallo stesso Del Vecchio a Radiocor, sarebbe una modifica radicale dell’assetto mediobanchesco. “Mi aspetto un piano industriale [...] che progetti un futuro da banca di investimenti, una banca capace di giocare un ruolo da leader in Italia e in Europa e che possa così dare soddisfazione a tutti gli azionisti, Delfin inclusa”, aveva detto. In sostanza Mediobanca dovrebbe dimenticare il processo di diversificazione degli investimenti fin qui attuato con una riduzione del peso nel credito al consumo con Compass e una riduzione della partecipazione in Generali, di cui è primo socio con il 13 per cento delle azioni.

 

La prospettiva offerta da Del Vecchio non è però gradita da alcuni soci che sono usciti allo scoperto in questi giorni. Vincent Bolloré, secondo azionista (7,8 per cento), ha detto di essere soddisfatto della gestione di Nagel. Allo stesso modo Ennio Doris, presidente-fondatore di Mediolanum e decano in Piazzetta Cuccia, il quinto socio (3,28 per cento), ha difeso l’operato dell’amministratore delegato visti i risultati di Mediobanca. “Basta guardare i numeri – ha detto a MF/Milano Finanza Doris sabato scorso – Nonostante l’impegnativa trasformazione industriale Mediobanca non ha smesso di distribuire dividendi e, caso più unico che raro tra le banche italiane, non ha chiesto aumenti di capitale agli azionisti. Direi che il bilancio è molto positivo, specie se leggiamo questi numeri nel difficile contesto della crisi finanziaria”. Ieri Giuseppe Lucchini, industriale dell’acciaio, che attraverso la Sipar ha una quota dell’1,35 per cento in Mediobanca, ha detto che “al di là di simpatie e antipatie, in un momento in cui tutte le banche hanno grossissimi problemi, mi sembra che Mediobanca per vari motivi stia andando bene e stia dando grandi risultati”.

 

Soci piccoli o pesanti sono insomma vocali nel dichiarare di non volere modificare l’assetto di Mediobanca affinché si concentri come un tempo sull’attività di banca d’affari soprattutto in un contesto che non dà garanzie di ritorni in un paese, come l’Italia, dove le grandi fusioni sono ridotte al lumicino. Se è vero il proverbio che “chi tace sembra acconsentire” è significativo il silenzio di Unicredit guidata da Jean Pierre Mustier che è primo azionista con l’8,8 per cento di Mediobanca. Un anno fa Mustier aveva lanciato l’idea di fare tornare Mediobanca più una banca d’affari e meno una holding finanziaria riducendo la partecipazione di Piazzetta Cuccia in Generali, sulla quale gravitano mire estere in particolare francesi come dell’assicurazione Axa. Allo stesso tempo Del Vecchio è azionista di Unicredit (2 per cento) e di Generali (4,8).

 

In vista dell’assemblea di fine ottobre Del Vecchio ha intenzione di sondare gli investitori istituzionali di Piazzetta Cuccia, che sono maggioritari con il 74 per cento delle azioni, attraverso il proxy advisor Georgeson, per proporre la sua strategia. Secondo gli analisti di Deutsche Bank un cambiamento del management sarebbe “molto negativo”, ha scritto la banca tedesca in un report pubblicato ieri, in riferimento alle mosse di Del Vecchio. E’ dunque difficile che in Europa come dall’altra parte dell’oceano, la rivoluzione promossa dal patron di Luxottica venga accolta con degli applausi. Il risultato più probabile sarebbe, al contrario, quello di spaventare gli azionisti più rilevanti, cioè i fondi, con una decisione che è al momento difficile comprendere.

 

Ieri il Financial Times, in un ritratto del fondatore di Luxottica fusa con la francese Essilor, ne evidenziava l’età, 84 anni, e la sua attenzione per la forma fisica (non ha fatto il bis del suo dolce preferito a un pranzo con i suoi manager). Il quotidiano della City appare indelicato, e certe uscite infelici probabilmente allungano la vita, ma tra le righe sottolinea un problema: se Del Vecchio aprirà la cassaforte di Generali attraverso una scalata progressiva di Mediobanca, con il silenzio assenso di Unicredit, lascerà un’eredità delicata in futuro, vista per di più una situazione famigliare complessa (ha sei figli e tre mogli). Può la finanza italiana diventare un affare di famiglia?

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.