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Cosa ci dice la valutazione del 5G cinese come primo atto rossogiallo

Alberto Brambilla

Il Pd-M5s restaura una politica “amica della Cina” equilibrata, si spera senza fughe sulla Via della Seta. Parla Poggetti (Merics)

Roma. Come primo atto il governo Pd-M5s nel Consiglio dei ministri di giovedì, successivo al giuramento, ha deciso di valutare gli acquisti di forniture cinesi per la costruzione della rete di telecomunicazione di quinta generazione (5G) esercitando il potere di “golden power”. Il decreto che dava maggiori poteri di scrutinio al governo sarebbe decaduto il 9 settembre e l’esecutivo appena insediato ha dovuto agire con urgenza per dare una valutazione e non svincolare gli operatori telefonici da qualsiasi obbligo di revisione dei contratti o di prescrizioni da rispettare. Secondo Lucrezia Poggetti, research Associate al Mercator Institute for China Studies (Merics) di Berlino, la tempistica del provvedimento è rilevante benché di routine. “La tempistica mi sembra significativa perché la richiesta di scrutinio delle operazioni di fornitura arriva a quattro giorni dalla scadenza del golden power rafforzato”, dice Poggetti.

  

L’esecutivo avrà 45 giorni di tempo per valutare le notifiche delle società Vodafone, Fastweb, Tim, Linkem e Wind Tre su accordi relativi all’acquisto di beni e servizi di società, tra cui le cinesi Huwei e Zte, oggetto di boicottaggio da parte degli Stati Uniti di Donald Trump perché sospettate di utilizzare i dati mettendoli a disposizione del Partito comunista di Pechino. E’ ancora prematuro dire se il governo Pd-M5s abbia una postura più o meno filo cinese del precedente Lega-M5s. “E’ presto per giudicare – dice Poggetti – bisognerà vedere quali sono le condizioni per gli operatori, però la decisione indica cautela. Il governo si è preso del tempo per fare le giuste considerazioni”.

 

Il governo gialloverde era ambiguo sui rapporti con Pechino. Il M5s aveva spinto per firmare il memorandum della Via della seta alla visita italiana di Xi Jinping a marzo. La Lega sembra tenere una posizione più rigida verso gli investimenti cinesi. Ora l’esecutivo rossogiallo si definisce atlantista, ma mantiene la componente M5s e ha come ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale da ministro dello Sviluppo economico ha fatto due visite in Cina e aveva tenuto per sé la delega per le telecomunicazioni. E’ probabile che il successore Stefano Patuanelli farà lo stesso oppure la assegnerà a un sottosegretario M5s (il Pd sta lavorando per evitarlo). L’agenzia di stampa controllata dallo stato Xinhua aveva definito “una scelta insolita” quella di mettere Di Maio alla Farnesina “non si è mai laureato, ha competenze linguistiche molto limitate e ha mostrato scarso interesse per le questioni globali nella sua vita pubblica”, considerazioni che, benché corrette, sono poi state rimosse da Xinhua per non rovinare i rapporti diplomatici con l’Italia.

 

Possibile capo di gabinetto di Di Maio è l’ambasciatore in Cina Ettore Sequi (peraltro consigliato dall’ex sottosegretario al Mise, il sinofilo Michele Geraci, che però potrebbe non essere riconfermato). Sul 5G ieri il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ha auspicato che “l’Italia opti per la strategia di fiducia reciproca e mutuo beneficio fornendo le condizioni eque alle imprese cinesi”, ha detto commentando la decisione del nuovo governo. “E’ una posizione fuorviante – nota Poggetti – perché il golden power si applica a tutte le società extraeuropee, quindi anche per esempio all’americana Cisco o alla sudcoreana Samsung, pertanto non c’è discriminazione nei confronti delle aziende cinesi”.

 

Secondo l’analista del Merics la posizione del governo M5s-Pd potrà ricalcare quella del governo Gentiloni. “Nel 2017 aveva spinto l’Unione europea per l’adozione di un meccanismo pan-europeo di screening sugli investimenti diretti esteri in infrastrutture critiche pur perseguendo, come tutti, opportunità di collaborazione con la Cina. Quell’anno Gentiloni andò al Belt and Road forum, ma faceva passi in stretto dialogo con i partner europei senza mai prendere iniziative eccentriche come ha invece fatto il governo precedente firmando il memorandum, contro la linea europea e americana. Mi aspetto un rapporto più equilibrato con Pechino”, dice Poggetti.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.