il vicepremier Luigi Di Maio e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Roma (foto LaPresse)

Che fine ha fatto il golden power?

Redazione

Il M5s affossa il decreto, Lega e Pd dovrebbero baciarsi pure sul 5G

Succedono cose strane, in questo tramonto infinito che sembra calare sul governo gialloverde. Per esempio che si diano priorità a questioni che priorità non hanno. Al contrario, decreti legge – quindi con carattere di necessità e urgenza firmati dal presidente della Repubblica Mattarella – vengono chiusi in un cassetto, e la maggioranza al governo, la stessa che li ha proposti, poi ci fischietti intorno, con lo scopo dichiarato di affossare la loro conversione in legge. Parliamo del decreto sul golden power, il sistema che consente al governo di controllare le proprie infrastrutture strategiche e soprattutto chi ci viene a investire dai paesi extraeuropei. Il decreto è uno dei terreni più minati nello scontro tra Lega e Cinque stelle: Salvini ha detto più volte di voler andare avanti con le misure per promuovere la nuova infrastruttura ma con le cautele del caso, e sono invece i Cinque stelle quelli che a testa bassa vanno contro la norma, e ogni occasione è buona per accarezzare i due colossi delle telecomunicazioni cinesi, Huawei e Zte.

 

Se in casa Lega il golden power rafforzato viene considerato, al di là dei pregiudizi, un reale sistema di sicurezza, sono i Cinque stelle a dare l’impressione di connotarlo in funzione anticinese, forse perché sono stati loro, a marzo, a cedere alle pressioni cinesi e a far inserire nel testo del memorandum sulla Via della Seta (firmato da Di Maio) la parola “telecomunicazioni”, nonostante i dubbi del Quirinale e dei nostri tradizionali alleati. E quindi parliamo di Cina, del 5G italiano ma anche dei rapporti con l’Alleanza atlantica. Il nostro paese dopo la firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta è considerato da Pechino come “amico”, e non accetterebbe mai un comportamento prudente da parte del governo. Tra poco più di due settimane ci presenteremo al G7 in Francia con una legge rassicurante per gli alleati ma con una data di scadenza, che invece rassicura i cinesi. In questi giorni estivi, l’unico a porre la questione in Aula è stato Adolfo Urso (FdI). Ma per essere credibile, tutta l’opposizione dovrebbe puntare sulle cose che contano: per l’ennesima volta, il Partito democratico e la Lega potrebbero essere d’accordo su una questione cruciale.

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