Un macellaio in attesa di clienti alla sua bancarella in un mercato di Pechino (foto LaPresse)

La peste suina africana è l'epidemia che potrebbe far fare la pace a Trump e Xi

Giulia Pompili

Nell’ultimo anno i produttori cinesi hanno perso circa cento milioni di maiali. L’importanza della carne di suino in Asia e della sua economia

Roma. Tutto ruota intorno al maiale. Animale che mette d’accordo ebraismo e islam, che lo considerano impuro, oltre che la maggior parte dei paesi dell’Asia orientale, dov’è alla base della dieta e ingrediente fondamentale per leccornie di vario genere. Soprattutto in questi giorni, con le festività di metà autunno – che prendono nomi diversi se vi trovate in Cina, in Corea del sud, in Vietnam. Il fatto è che i maiali stanno vivendo la peggiore epidemia che sia mai registrata nella storia, e anche se per l’uomo non è pericolosa, un settore importantissimo dell’economia globale rischia il collasso. Non è un caso, quindi, che la carne di maiale sia anche il ramoscello d’ulivo che viene offerto da Pechino all’America di Donald Trump. E’ un momento di particolare apertura tra i due paesi: l’allontanamento del falco anticinese John Bolton è stato festeggiato a Pechino, ma c’è anche la decisione annunciata da Trump via Twitter giovedì scorso di posticipare di quindici giorni gli ulteriori dazi promessi sulle merci cinesi, che sarebbero dovuti entrare in vigore il 1° ottobre. Un gesto di “buona volontà” dell’Amministrazione americana e secondo Trump richiesto espressamente dal vicepremier cinese Liu He per non “disturbare” le celebrazioni del 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, che ricorre appunto il 1° ottobre. Oggi gli organi di stampa cinesi hanno ufficializzato la notizia che anche la Cina ha deciso di esentare alcuni prodotti americani dai cosiddetti controdazi: parliamo di “carne di maiale, soia e altri prodotti agricoli”. Sappiamo quanto la questione sia importante per Trump: la guerra dei dazi non ha prodotto finora i risultati sperati, e anzi sta innervosendo sempre di più gli agricoltori e gli allevatori americani, a cui era stato promesso protezionismo e invece si sono ritrovati con le tariffe per l’esportazione in Cina. In vista delle elezioni presidenziali del 2020, Trump ha bisogno del supporto di quel settore per sperare in un secondo mandato. 

 

E’ ancora presto per dire se le due più grandi economie del mondo siano arrivate a un compromesso, ma quel che è certo è che non è un regalo del presidente Xi Jinping a Trump. Il maiale, infatti, è diventato un enorme problema per la Cina, il più grande mercato di carne di maiale al mondo. Nell’ultimo anno – e per ironia del destino il 2019 è proprio l’anno del maiale, secondo lo zodiaco cinese – i produttori della seconda economia del mondo hanno perso circa cento milioni di maiali a causa della peste suina africana. Secondo gli analisti l’“Ebola dei maiali” potrebbe ucciderne fino a due milioni nell’intero paese entro la fine dell’anno. Il calo della disponibilità di carne ha fatto alzare i prezzi di quasi il 50 per cento in dodici mesi, e la crisi è diventata così grave che alcune città hanno iniziato a sfruttare le riserve strategiche di carne congelata – un sistema nato negli anni Settanta per far fronte a emergenze come questa: una iniezione sulla distribuzione serve a stabilizzare i prezzi aumentando l’offerta, scriveva oggi la Cnn, ma le riserve potrebbero non essere sufficienti. La peste suina africana colpisce maiali e cinghiali ed è letale al 90 per cento. Secondo l’European Food Safety Authority “non esistono vaccini né cure” per gli animali, e “gli esseri umani non sono sensibili alla malattia”, insomma non c’è un problema di sicurezza alimentare. Il problema per l’uomo è semmai secondario. Perché la malattia si diffonde in maniera molto veloce, e l’unico antidoto è il completo isolamento dei suini. Scoperta un centinaio di anni fa in Kenya, la peste suina era considerata debellata in gran parte del mondo fino al 2007, a parte alcuni focolai in Africa. Poi è tornata nell’Europa dell’est, e infine è arrivata in Cina come “la più grande epidemia della storia”, ha detto Dirk Pfeiffer, epidemiologo veterinario dell’Università di Hong Kong al Guardian, “e non sappiamo come fermarla”. Uomini e merci stanno cominciando a diffondere il virus anche nel sud-est asiatico, e il Vietnam – dove il maiale rappresenta il 75 per cento del consumo di carne – è il prossimo paese di fronte all’emergenza. Il governo di Pechino cerca di minimizzare, e martedì sul Quotidiano del popolo si leggeva un articolo motivazionale: “Mangiate meno porco, fa bene alla salute!”. Ma gli allevatori di maiale, i primi a subire i danni dell’epidemia, sono scontenti dei provvedimenti del governo che non è riuscito ancora a trovare una soluzione per il problema. Gli allevatori in rivolta sono un altro problema che hanno in comune Trump e Xi.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.