Ritorno al passato. “Questa è una ricostruzione che, in un certo senso, ci riporta alle nostre radici”, dice il ceo Christian Sewing (LaPresse)

Banche del cambiamento

Alberto Brambilla e Mariarosaria Marchesano

Un’ambiziosa e assai dolorosa ristrutturazione di Deutsche Bank ridisegna i confini del credito tedesco e suggerisce domande decisive sul futuro (e l’efficienza) delle banche

Il mercato osserva con perplessità l’annuncio dell’amministratore delegato di Deutsche Bank, Christian Sewing, di procedere a una ristrutturazione che arresta il trentennale tentativo dell’ammiraglia tedesca di diventare una investment bank globale e tornare alle origini di banca commerciale fondata nel 1870.

 

Il titolo del maggior istituto di credito della Germania ha perso ieri circa il 6 per cento sul listino di Francoforte in seguito all’annuncio della chiusura delle operazioni mondiali di trading e di vendita di azioni con il conseguente licenziamento di 18 mila dipendenti, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in attesa di comprendere come la ristrutturazione offerta da Sewing risanerà l’istituto.

 

“La trasformazione ci porterà più vicini alla nostra forza principale, il nostro Dna. Circa 150 anni fa siamo nati come una banca che serve aziende tedesche ed europee in tutto il mondo, che fornisce una rete globale e che apre la strada all’Europa per le aziende e gli investitori internazionali. Questo è esattamente il ruolo che giocherà la banca che stiamo formando”, ha scritto Sewing in una lettera ai dipendenti nella quale comunica il “ritorno alle origini” centenarie dell’istituto che, allo scopo di affiancare le aziende tedesche nel mondo, aprì uno dei primi uffici all’estero a Shanghai alla fine dell’Ottocento.

 

 

  

La decisione è sofferta e arriva al sesto cambio di dirigenza in pochi anni, l’ambizione di Sewing è quella di modificare radicalmente le attività di investimento, che richiedono un elevato assorbimento di capitale, per privilegiare le attività tradizionali di credito e di affiancamento alle imprese e alle grandi industrie. Se oggi le attività di investment banking (probabilmente destinate a finire nell’orbita della francese Bnp Paribas) rappresentano la metà dei ricavi, in futuro si ridurranno fino a una quota del 20 per cento. Un modello, quello immaginato da Sewing, che sotto certi aspetti è più simile a quello storico delle banche italiane, benché sia operato su scala mondiale.

 

A partire dagli anni Novanta, Deutsche Bank si è trasformata da banca commerciale – con focus sul finanziamento dei grandi progetti industriali – a piattaforma di trading e investimenti speculativi di stampo anglosassone senza, però, avere gli stessi anticorpi. Una metamorfosi che è stata funzionale all’obiettivo di rafforzare la redditività inseguendo i colossi americani che in quell’epoca macinavano profitti record grazie a prodotti finanziari sempre più sofisticati. A tutti i costi bisognava ottenere un rendimento del 25 per cento sul capitale, “accettando di correre grossi rischi finanziari ed etici”, come ha ammesso qualche tempo fa David Folkerts-Landau, l’economista capo della banca in un’intervista al quotidiano economico Handelsblatt.

 

Addio alle divisioni di trading e vendita azioni con licenziamento di 18 mila dipendenti soprattutto in negli Stati Uniti e nel Regno Unito

La scelta di modificare il modello di business arrivò in concomitanza con la caduta del muro di Berlino, quando a guidare Deutsche Bank c’era Alfred Herrhausen, “la mente della diversificazione” (copyright dell’Economist). La grande mente di Herrhausen venne spenta in un attentato dinamitardo rimasto senza colpevoli assicurati alla giustizia nel novembre 1989. All’epoca dell’accaduto era stato da poco finalizzato l’acquisto dell’inglese Morgan Grenfell che rappresentò per la banca tedesca il punto di inizio dell’espansione mondiale, culminata con l’acquisto del Bankers Trust e proseguita in seguito con l’ingresso sul mercato americano.

 

Una scelta di cambiamento che, nel lungo periodo, si è rivelata difficile da sostenere perché è stata proprio la componente banca d’affari a trascinare a fondo Deutsche Bank, che oggi sembra disposta a rivoltarsi come un guanto e a buttarsi alle spalle la decisione di avere depotenziato l’attività di erogazione di credito e il sostegno all’economia con la finanza speculativa. E’ Sewing a considerarlo un errore, quasi una colpa da espiare. “Si tratta – ha scritto ai dipendenti – di pensare radicalmente e pensare in modo diverso. Si tratta di una nuova cultura. Una cultura che abilita piuttosto che impedisce. Una cultura che mette sempre al primo posto la banca e i suoi clienti, prima degli interessi dell’individuo. Una cultura in cui integrità e lavoro di squadra sono valori fondamentali. Una cultura che prende sul serio la nostra responsabilità per l’economia e per la società. Una cultura di cui tutti siamo orgogliosi e dove persone straordinariamente talentuose vogliono lavorare”.

 

Avere ingrandito la divisione di trading e l’attività di confezionamento di prodotti sofisticati aveva portato la prima banca tedesca a registrare perdite sui titoli derivati per 124,1 miliardi nel bilancio 2017 con i profitti negli impieghi tradizionali che non riuscivano più a coprire le esposizioni su questi titoli. A fine 2018 aveva suscitato un certo stupore il twitt del giornalista tedesco Holger Zschäpitz, del quotidiano Die Welt, in cui sovrapponeva l’andamento delle azioni della Deutsche Bank con l’andamento delle azioni della banca d’affari americana Lehman Brothers prima del suo fallimento ed evidenziando come i due grafici fossero praticamente identici. Considerato che Zschäpitz è un commentatore autorevole (nel 2017 è stato premiato come miglior giornalista tedesco), l’accostamento aveva acuito in Germania le preoccupazioni su un possibile default dell’istituto di credito, che da qualche anno ormai tenta una via d’uscita da una crisi finanziaria che ha la sua origine in un modello di business che ha fatto imbarcare acqua su una nave che è sempre stata solida.

 

La stampa tedesca parla del “sogno infranto di competere con Wall Street” e si chiede se “sarà una banca di seconda classe”

Oggi la banca annuncia un piano di ristrutturazione che è ben superiore alle previsione degli analisti, che mettono in evidenza come prima del 2008 e del crac di Lehman Brothers, il titolo fosse arrivato a un valore di Borsa di oltre 40 euro per azione mentre il prezzo attuale è inferiore a 7 euro. In mezzo c’è stata la grande crisi finanziaria globale, ma mentre le banche americane sono ripartite dopo massicce operazioni di svalutazione degli attivi, Deutsche Bank ci ha messo molto più tempo per affrontare a viso aperto il problema, ben consapevole del fatto di rappresentare un rischio sistemico, come messo in evidenza dal Fondo monetario internazionale quando era guidato dal prossimo presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde.

 

Per i commentatori tedeschi, colpiti dai dipendenti di Deutsche Bank che lasciano gli uffici di Londra con i cartoni in braccio, un remake di Lehman, la sensazione è quella della fine di un sogno mai realizzato del tutto, quello di competere con le grandi banche d’affari americane come Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley che macinano profitti e consolidano le loro quote di mercato in Europa. “Il sogno di misurarsi con i più grandi di Wall Street è andato in pezzi”, scrive il settimanale Spiegel riportando le opinioni dei quotidiani americani, come il New York Times, che parla di “veglia funebre”. “Il punto è se la Germania avrà in futuro almeno una banca internazionale di seconda classe, puramente privata. Oppure se non ne avrà nessuna”, scrive la Welt dal momento che anche l’idea di creare un “campione nazionale” era già sfumata nel marzo scorso quando la possibile fusione con Commerzbank venne ritirata.

 

Sewing adesso dice che è giunta l’ora di fare i conti con il passato e di riportare la banca sulla strada del successo. Ma in che modo? La promessa degli attuali vertici è di arrivare al 2022 con una banca risanata e in grado di macinare 5 miliardi di profitti netti. Evidentemente, però, questo non basta per offrire una prospettiva del tutto convincente. Quello che oggi il mercato cerca di capire è che tipo di banca vuole diventare Deutsche Bank al di là del drastico programma di tagli, che, peraltro, arriva nel momento in cui la Germania sta arretrando economicamente (proprio ieri sono usciti i dati sulla produzione industriale che indicano un calo del 3.7 per cento rispetto allo scorso anno).

 

L’espansione nella finanza globale cominciata nel 1989 con il compianto Herrhausen sarà terminata. La fine di un modello

Secondo una ricerca di Ubs, “il nuovo piano mostra la volontà e la determinazione a cambiare il profilo di Deutsche Bank”, che dovrebbe rendere l’istituto meno vulnerabile agli eventi esterni, diventando una sorta di versione tedesca di Bnp Paribas, gruppo di origine francese con attività finanziarie diversificate in tutto il mondo. Secondo l’elvetica Ubs nei prossimi mesi la banca tedesca potrà riconquistare la piena fiducia del mercato ma solo se vengono superate alcune incertezze nell’esecuzione del piano stesso, che sono essenzialmente legate alle decisioni delle autorità che regolamentano i mercati. La dimostrazione che i vertici dell’istituto tedesco devono ancora fare uno sforzo di chiarezza su come intendono procedere è che ieri sul titolo si è scatenata una pioggia di vendite dopo che in apertura di seduta sembrava che il mercato avesse apprezzato la decisione di fare pulizia.

 

Invece, per ora, tra gli investitori è prevalso lo scetticismo nel timore che possa essere necessario un aumento di capitale nonostante le rassicurazioni che Sewing ha dato in questo senso esprimendo l’intenzione di coprire i costi della ristrutturazione con risorse interne. Ma, evidentemente, i conti non tornano del tutto e in questo momento il rapporto tra gli attuali vertici della banca e il mercato appare fragile. Secondo un’analisi di Mediobanca “la storia recente delle ristrutturazioni suggerisce che gli investitori richiedono tempo per apprezzare una ristrutturazione. Inoltre, l’esperienza di altri piani simili, dimostra che dovremmo sempre aspettarci costi non recuperabili da parte della bad bank”. Una considerazione che rimanda alla qualità degli attivi che vengono scorporati nelle crisi bancarie e che sono tanto più recuperabili quando hanno come sottostanti garanzie ipotecarie, cosa che non appare evidente nell’operazione di pulizia della banca tedesca. Se Sewing abbia coraggio o se sia il coraggio della disperazione è da vedere, tuttavia Deutsche Bank rappresenta una lezione anche per i sovranisti italiani, per i quali sarà forse una delusione notare in futuro che il colosso tedesco non sarà più il “grande malato d’Europa”, un alibi per non risolvere mai le debolezze domestiche.

 

Anche se, per ora, agli occhi del mercato appare poco credibile salvare Deutsche Bank con un maxi piano di ristrutturazione e con lo smaltimento delle attività speculative per riportarla ai fasti di un tempo senza coinvolgere gli azionisti con un aumento di capitale o il sostegno di Berlino, Sewing si merita il beneficio del dubbio per avere evitato di battere cassa.

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