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Modello Olimpiadi per salvare l'Ilva: Lega, Pd e FI votino l'immunità

Annarita Digiorgio

Sull’acciaio c’è una maggioranza per fermare la decrescita del M5s. E’ quella di Radio radicale, delle Olimpiadi, della Tav

L’immunità penale fu introdotta con il decreto Ilva di gennaio 2015, durante il governo Renzi e fu votata a larga maggioranza, con il Pd compatto (la votò persino l’oggi contrario Francesco Boccia). Fu necessario normarla poichè siamo in Italia, e l’azione della magistratura è molto attenta agli eventi mediaci o che possono diventarlo. Cosi è stato per Ilva: costruita negli anni ’60, a ridosso di un quartiere di poche palazzine che solo successivamente allo sviluppo della fabbrica ha sviluppato espansione urbanistica, dopo i primi anni di gestione statale fu venduta alla famiglia Riva. E dopo tanti anni alla guida della Procura di Taranto, il procuratore capo Franco Sebastio alla vigilia della pensione si accorse che Ilva inquinava e decise di avviare l’inchiesta “Ambiente svenduto”. Poi chiese il posticipo della pensione, poi si candidò sindaco, poi perse e fece l’assessore. Ora è il presidente della più grande impresa di ristorazione delle mense pubbliche pugliesi, quella che secondo l’indagine in corso a carico di Michele Emiliano gli avrebbe pagato la campagna elettorale delle primarie.

 

Al processo ci sono Ilva 40 imputati, di cui uno nel frattempo morto, e mille (di numero) richieste di parte civile. A oggi siamo ancora al dibattimento delle centinaia di teste al primo grado. Chi sta seguendo il processo, pochissimi, ma tutti grazie a Radio radicale, sa che le accuse si stanno sgretolando udienza dopo udienza. Grida vendetta per esempio cio che è accaduto all’avvocato milanese Francesco Perli, difensore dei Riva. Accusato di concussione in concorso con Nichi Vendola ai danni dell’ex direttore
 dell’Arpa Giorgio Assennato (grazie ai suoi dati il processo ha potuto prendere il via, ironia della sorte è tra gli imputati).

 

Durante l’ascolto di un audio durante l’interrogatorio si è scoperto che una frase pronunciata da
 Perli in una intercettazione è stata trascritta male: “Abbiamo inquinato gli atti” anziché “abbiamo impugnato gli atti”. I legali chiedono di riascoltare l’audio, il pm si rifiuta con insistenza. La Corte d’Assise si ritira per 
valutare la questione e torna in aula
 con un’ordinanza di convocazione al perito, che arriva dopo un’ora, fa ascoltare
 il file originale e rettifica: “In effetti è impugnato 
non inquinato”. 

 


Mentre nel processo “Ambiente svenduto” si sgretolano le accuse, anche a causa di gravi errori (vedi il caso Perli), il Parlamento può reintrodurre l’immunità tolta da Di Maio con il voto di Lega, Pd e FI. E’ l’Italia che produce, liberale e sviluppista. Che punta alla ricchezza, al progresso, alla crescita


 

Non è la prima volta che accade nel processo Ilva. In precedenti udienze, i difensori degli imputati hanno evidenziato
 senza mezzi termini “atti creativi e
 additivi” riferendosi a frasi contenuti nelle trascrizioni ma 
inesistenti nell’audio. Una di queste
 ha rappresentato un elemento 
fondamentale nell’emissione del
 provvedimento di custodia cautelare 
in carcere nei confronti dell’allora Presidente della Provincia Gianni Florido. La sua giunta diede le dimissioni, il giorno dopo fu scarcerato, ma il consiglio era ormai sciolto. La volontà popolare sovvertita da un ordine preventivo della magistratura. Quasi sicuramente errato. Una carriera politica interrotta. Come l’avvocato Perli in quei giorni sulle cronache come il peggior assassino. Nessuno ha raccontato dell’errore dell’intercettazione.

 

Non è un mistero come funziona la magistratura nel nostro paese. Lo stesso gip ha impugnato lo scorso febbraio davanti alla Corte costituzionale il decreto sull’immunità (la vera ragione per cui ora Di Maio la sta togliendo) dopo che sua moglie è stata nominata segretario generale della provincia di Taranto dal Presidente di Forza Italia scelto da Michele Emiliano. Sicuramente una coincidenza, ma Taranto è una piccola provincia, e come diceva quello la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti. Ecco, il ruolo di Michele Emiliano in tutta la faccenda Ilva per fortuna è ininfluente. A parte i ricorsi, tutti persi. Dopo aver provato a sciacallare sulla pancia dei poveri tarantini giustamente preoccupati cavalcando le loro paure e alimentando terrorismo ambientale, diffondendo immagini fasulle di bambini con la maschera antigas, al pari dei professori di italiano dell’associazione “Hatelink” che si ergono a scienziati diffondendo dati a convenienza, gli stessi che non hanno ancora chiesto scusa per aver detto che la Xylella era un complotto. Sono sempre loro, e ancora gli danno credito (fa bene Di Maio a non ascoltarli).

 

Il problema principale ora riguarda l’immunità, che il M5s vuole togliere. La Lega vuole mantenerla. Il Pd anche. Forza Italia ha quasi sempre votato a favore dei decreti Ilva. La si portasse in Aula, la maggioranza per votarla c’è. E’ il modello Radio radicale. Il modello Olimpiadi Milano-Cortina. Il modello Tav. L’Italia che produce, liberale e sviluppista. Che punta alla ricchezza, al progresso, alla crescita. Non solo per il lavoro, ma soprattutto perché l’acciaio è fondamentale per il nostro paese. Oggi non è in discussone un finanziamento, una proroga o una concessione. Ma uno scudo dalla magistratura. Non è su queste pagine che serve ricordare ciò che è questo potere in Italia, quante persone, famiglie, imprese, sono state mandate sul lastrico per populismo penale o vanità dei pm.

 

Lega, Pd e Forza Italia hanno la possibilità di compattarsi adesso, a partire da Ilva, per iniziare la più grande battaglia necessaria e prioritaria oggi. Quella sulla giustizia. E riaffermare il primato della politica sullo strapotere delle procure.

 

In sei anni di Amministrazione straordinaria, i commissari non hanno mai disposto di questa immunità. Ma Ilva ha smesso di produrre, sia inquinamento che acciaio. I 12 decreti hanno consentito allo stato di tenere in piedi la fabbrica a perdere, di pagare gli stipendi senza introiti, perdendo 23 miliardi di pil, 16 miliardi di costo e una produzione di 4,5 milioni di tonnellate con tutte le commesse statali (Tap, Finmeccanica, Leonardo, Fiat) all’estero. La metà di quanto produceva e vendeva nel 2012. Tutto per non inquinare. E’ questo che dicono tutti i rapporti, relazioni, valutazioni del danno sanitario, analisi delle centraline Arpa pubblicate sul sito giorno per giorno. Per guadagnare l’impianto deve tornare a produrre almeno 8 milioni di tonnellate, il punto di pareggio è a 7. Oltre gli 8 si va a gas per Aia. Oggi che è sui 5 perde 1 milione di euro al giorno, con un costo solo di fitto di 15 milioni al mese. Più quelli per le bonifiche. Senza ArcelorMittal le bonifiche non si fanno. Non solo Bagnoli, ma a oggi in tutta Italia di quasi 13 mila siti contaminati ne è stato bonificato il 15 per cento. Per produrre, senza inquinare, deve completare Aia. Lo sta facendo. Se deve pagare per ciò che lo stato non ha fatto prima di lei, va via. E Ilva torna allo stato. Che, appunto, non lo sa fare. Ma che sa, può, e deve mantenere gli impegni.

 

Se non lo fa lo Stato, come può chiedere di farlo a imprese e cittadini?

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