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Due decimali di crescita e i gialloverdi tornano a vendere sogni

Renzo Rosati

Invece di guardare all’Europa e alle sue best practices per migliorare i risultati economici, i dati Istat su pil e disoccupazione fanno esultare il governo

Roma. Un pil del primo trimestre in crescita di un decimale sopra le attese (più 0,2 per cento anziché più 0,1 stimato dalla Banca d’Italia), e disoccupazione in calo, benché ancora sopra il 10 per cento, e al 30 quella giovanile, sono buone notizie per il paese, e forniscono al governo un po’ di benzina elettorale che era agli sgoccioli. “Festeggeremo il primo maggio con l’uscita dalla recessione”, ha subito annunciato Luigi Di Maio. Più pragmaticamente il ministro dell’Economia Giovanni Tria osserva che “l’andamento del pil nel primo trimestre lascia intravedere che la previsione di crescita annuale dello 0,2 per cento indicata nel Def possa essere raggiunta e anche superata se il contesto internazionale sarà moderatamente favorevole”.

    

In realtà le notizie migliori, almeno sul piano statistico, vengono dalla disoccupazione: a marzo è scesa di 0,4 punti in un mese, al 10,2 per cento, e quella giovanile di 1,6 al 30,2 per cento, dato minimo da ottobre 2011. In aumento anche gli occupati, 60 mila nel mese dei quali 44 mila con contratti stabili, e 114 mila su base annua. Le novità positive finiscono però qui. I due ultimi trimestri sottozero del 2018 restano una zavorra alla quale l’esecutivo ha risposto in ritardo e in maniera confusa: il decreto crescita, con il bollo della Ragioneria dello stato, è arrivato solo ieri alla firma del Quirinale. Il risultato è che i due decimali di pil stimati provvisoriamente per l’Italia sono la metà della crescita media europea nel primo trimestre, che ieri Eurostat ha fissato a 0,4 per cento per la zona euro e a 0,5 per l’Unione europea. Su base annua, poi, l’Italia avanza dello 0,1 per cento, mentre il resto d’Europa riprende a correre: Eurostat ha comunicato ieri un più 1,2 punti per l’Eurozona e più 1,5 per l’Unione europea. Spicca ancora la performance della Spagna, che cresce di 0,7 punti nel trimestre e di 2,4 in un anno. La Francia aumenta di 0,3 nel trimestre e di 1,1 nell’anno mentre mancano ancora i dati ufficiali del primo trimestre tedesco.

  

Quanto alla disoccupazione, l’Italia resta ben distante dalle medie europea e terza dietro a Grecia e Spagna; ma con quest’ultima che si sta ormai avvicinando. In generale i senza lavoro in Europa sono il 7,7 per cento nell’Eurozona e il 6,4 nella Ue, cioè livelli pre-crisi americana ed i più bassi dal 2000, da quando cioè esistono statistiche omogenee. E queste medie sono ovviamente zavorrate da Italia, Spagna e Grecia. Per quanto ci riguarda, a titolo di confronto nel 2017 l’Eurozona segnò una crescita media del 2,5 per cento, in un anno record che portò al sorpasso sugli Stati Uniti, e l’Italia dell’1,5: in proporzione, dunque eravamo al 60 per cento rispetto all’Europa contro il 17 attuale. Tutto ciò significa che il blocco europeo, che aveva rallentato con la frenata produttiva tedesca, è oggi più distante da noi di quanto lo fosse un anno fa. E anche l’Istat nota come il paese, benché fuori dalla recessione, “sia ancora alle prese con una crescita di cinque punti inferiore ai livelli pre-crisi”, livelli invece recuperati dall’Europa. Magari sarebbe utile riflettere su come gli altri tre maggiori paesi del continente, con tre governi differenti ma nessuno dei quali né euroscettico né sovranista, segnino livelli di crescita invidiabili (la Spagna socialista e la Francia macroniana) e livelli di disoccupazione minimi (Germania merkelliana, 4,9 per cento). L’idea di guardare all’Europa e alle sue best practices non pare tuttavia sfiorare i leader della maggioranza. “Andiamo avanti come un treno verso il cambiamento”, afferma Di Maio. “I dati impongono una doverosa e sostanziale riduzione delle tasse, è obbligatorio realizzare al più presto la flat tax per imprese, lavoratori e famiglie”, aggiunge Matteo Salvini. Ovvero: due decimali di crescita – non del trimestre ma dell’intero 2019 – non sono ancora in cassaforte (e resta il mistero di come evitare aumenti Iva e di accise) e già si promette di spenderli con promesse elettorali. Promesse oltretutto già viste.