Giancarlo Giorgetti e Barbara Saltamartini a Montecitorio (foto LaPresse)

Alla Camera chi dovrebbe occuparsi di crescita in realtà non lavora

Valerio Valentini

La presidente di commissione Saltamartini (Lega) pensa alle europee. La Gelmini scrive a Fico

Roma. Alla fine, la fatidica goccia che fa traboccare il vaso della sopportazione è arrivata col “decreto crescita” che sembrava dovesse essere assegnato alla commissione Attività produttiva, e invece niente. “La presidente ci aveva già allertati, da giorni”, racconta Gianluca Benamati, del Pd. E poi? “E poi niente, ci è stato comunicato che non saremmo stati noi, a occuparcene”. Questioni tecniche, cavilli burocratici: questa è la motivazione ufficiale. Quella che però gode di maggiore credito, nei corridoi di Montecitorio, ha a che fare piuttosto con gli appuntamenti della presidente stessa, la leghista Barbara Saltamartini la quale, come dimostra la sua agenda, da qualche settimana è impegnata soprattutto con la campagna elettorale nel centro Italia, priorità suprema sul cui altare sacrificare i lavori della commissione. 

 

Ed è anche per questo che Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera, il 6 maggio scorso ha scritto una lettera di rimostranze al presidente Roberto Fico, ricevendo una risposta che, in burocratese, certifica che “l’assegnazione” del decreto alle commissioni Bilancio e Finanze “è stata disposta in conformità con le norme del regolamento” di Montecitorio. Ma è chiaro che la politica, e le contrattazioni che la caratterizzano, contano, al di là delle norme. E infatti Fico scansa le polemiche: “Debbo rilevare – scrive – come non possano venire in rilievo altre valutazioni quali quelle concernenti l’andamento dei lavori delle commissioni”. Segno, insomma, di come dietro alle polemiche legate al decreto “crescita” ci sia dell’altro.

 

“C’è, evidentemente, una presidente non troppo presente”, dice Claudia Porchietto di Forza Italia. E il riferimento è ai nuovi impegni che la Saltamartini è stata chiamata ad assolvere da fine gennaio. E’ stato allora che la deputata – dopo una lunga gavetta nella destra romana, passata per An e Pdl prima di aderire, nell’aprile del 2015, quando ancora non andava così di moda, alla Lega nord, dove è stata per parecchio tempo uno degli esponenti più stimati, tra i non padani, da Giancarlo Giorgetti – è stata scelta come commissario a Terni. Lì dove il Carroccio governa col sindaco Leonardo Latini e dove però il partito è dilaniato da tensioni intestine. Ed è in questa veste che ora si trova a coordinare anche la campagna elettorale in Umbria e dintorni, come dimostrano peraltro i suoi profili social che testimoniano di giornate febbrili – così febbrili che non le hanno consentito, ieri, di risponderci – fatte di riunioni, banchetti e tavolate, con l’inevitabile corredo di foto magnerecce in pieno “stile Salvini” (uno che del resto preferisce, pure lui, l’ebbrezza dei comizi alla fatica del Viminale). E forse anche così, alla luce del suo maggiore impegno nel partito, si spiega il fatto che, delle diciassette sedute svolte dalla commissione Attività produttive tra aprile e maggio, la Saltamartini ne ha presiedute solo sei, chiedendo per il resto ai due vicepresidenti, il grillino Luca Carabetta e Benamati del Pd, di sostituirla. “Cose che capitano, nella trafila parlamentare: nulla per cui scandalizzarsi”, taglia corto Carabetta, dissimulando un imbarazzo che pure però deve provare, se è vero che la scorsa settimana ha pregato i colleghi di commissione di non sollevare la questione della mancata assegnazione del dl “crescita” in assenza della presidente Saltamartini. “Diciamo che, per essere una commissione Attività produttive, siamo alquanto improduttivi”, dice la Porchietto.

 

E in effetti, a guardare i numeri, tutto appare evidente: in questo primo anno di legislatura, la commissione ha lavorato meno di 125 ore; nella scorsa, in media, si riuniva 215 ore all’anno. Quasi il doppio. E i dati emergono impietosi anche dal raffronto con le altre commissioni: la Giustizia è stata operativa per 208 ore, la Lavoro per 194, la Affari costituzionali per 245. “Al di là degli impegni della presidente, è avvilente il fatto che così poco dell’attività parlamentare passi attraverso la nostra commissione”, sospira Benamati. “Il che è di per sé emblematico – aggiunge – anche di un’agenda di governo che, in quanto a sviluppo e competitività, è assai povera di contenuti”. Anche per questo, laddove si riunisce, la commissione Attività produttive lo fa perlopiù per esprimere pareri o per svolgere audizioni. Ha avuto assai poco da dire sulla questione Ilva, il dl “semplificazioni” se l’è visto arrivare blindato dal Senato, e ora anche dalla discussione sul dl “crescita” è stata di fatto estromessa, benché una buona metà degli articoli presenti avessero a che fare con produttività e concorrenza. L’unico provvedimento su cui era stata chiamata a svolgere un ruolo da protagonista era quello relativo alle chiusure domenicali. Si era partiti con grandi entusiasmi, e con ben due proposte parallele (quella della Saltamartini e quella del sottosegretario grillino Davide Crippa) con analoghi intenti bellicosi: chiusura domenicale imposta di fatto per l’intero anno ai grandi centri di distribuzione. Poi, anche a seguito delle proteste dei rappresentanti di categoria, si è depotenziato il provvedimento, passando in sostanza a un massimo di 34 domeniche. Era febbraio. Poi il provvedimento è stato accantonato, lo si è rinviato. Poi lo si è rinviato ancora. E poi, ancora. Alla fine se ne sono perse le tracce, nella commissione più improduttiva del Parlamento.