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Perché non c'è da esultare per l'uscita dalla recessione autoindotta

Maria Carla Sicilia

L'Istat certifica la fine della recessione tecnica ma la crescita tendenziale dice che siamo in stagnazione. Il pil è sostenuto dalla domanda estera, ancora una volta il fardello gialloverde lo portano le imprese. Parla Fortis (Edison)

Roma. Non c'è solo la crescita congiunturale dello 0,2 del pil nei dati diffusi oggi dall'Istat, che permette di tirare un sospiro di sollievo rispetto alla condizione di recessione tecnica che l'Italia si è lasciata per il momento alle spalle. Un altro dato contenuto nella stima preliminare spiega bene la debolezza della ripresa e la fragilità dei conti pubblici ed è quello relativo alla crescita tendenziale, che è ferma allo 0,1 per cento in questo primo trimestre dell'anno. Questo vuol dire che il lieve rimbalzo del trimestre riporta l'Italia sostanzialmente agli stessi livelli di crescita del 2018. Una magra consolazione, come spiega al Foglio Marco Fortis. "Il quadro tendenziale è veramente sconfortante, soprattutto se comparato con la dinamica dell'Eurozona – dice l'economista, vicepresidente della Fondazione Edison e collaboratore del Foglio – Da un pil tendenziale dello 0 per cento siamo passati allo 0,1 per cento. E' vero che l'economia globale ha rallentato, ma noi siamo in una situazione ben diversa, siamo in stagnazione". 

             

Nei paesi europei la crescita tendenziale di questo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2018 è stata pari all’1,2 per cento. "Uscire da una recessione tecnica per entrare in stagnazione, mentre il resto dell'Eurozona cresce a ritmo sostenuto, vuol dire essere messi molto male". Anche guardando ai dati congiunturali, il ritmo di crescita dell'Italia resta molto al di sotto della media registrata nell'Eurozona nello stesso periodo (più 0,4 per cento) e l'unico paese che cresce meno dell'Italia è la Grecia. D'altra parte, nei dati diffusi oggi c'è un altro motivo per pensare che le difficoltà dell'economia italiana non siano legate solamente al contesto internazionale ma soprattutto a quello interno. "In questo primo trimestre l'Istat ha certificato che non è vero che la crisi europea ha frenato la ripresa italiana – dice Fortis – perché la domanda estera netta ha dato un contributo positivo al pil". E' la domanda interna che andrà invece indagata e compresa, per determinare se il dato congiunturale positivo di oggi può essere replicato o meno: "Nei due trimestri precedenti sappiamo che a determinare il dato negativo è stato un calo dei consumi e degli investimenti delle imprese. Questa volta non sappiamo ancora quali componenti della domanda interna abbiano guidato la ripresa. Il timore è che sia legata a fattori occasionali come la ricostituzione delle scorte – continua Fortis – In questo caso non ci sarebbe molto di cui gioire, anche perché nel frattempo il profilo tendenziale, come già detto, continua a restare in una situazione di stagnazione. E questa condizione sommata all'aumento del debito è una combinazione letale per il nostro paese".

    

"L'idrovora del debito pubblico continua a prosciugare tutte quante le entrate generate dal sistema Italia". Questo vuol dire che una crescita così modesta non può garantire la stabilità di cui il paese ha bisogno per tenere a bada i suoi conti pubblici e bilanciare gli interessi che paga sui titoli di stato. Un confronto con la realtà che sarà duro soprattutto all'indomani delle elezioni europee, quando mercati e agenzie di rating torneranno a giudicare la tenuta politica ed economica del paese. Con il rischio reale che il debito pubblico aumenti oltre le stime dell'esecutivo. "Abbiamo davanti un peggioramento di tutti i parametri di finanza pubblica che ci esporranno ai giudizi delle agenzie di rating e dei mercati. E rispetto al 2011 avremo un debito pubblico più ingente. Questa pericolosa deriva dei conti pubblici rende vani i profitti delle aziende – continua Fortis – che finiscono inghiottiti dal debito e dai suoi interessi. Non rimane nulla per investimenti, scuola, per la tecnologia: c'è solo un paese che rimane fermo. Senza una crescita adeguata che generi un extraprofitto non si può compensare questa situazione". 

              

"La colpa grave di questo governo è quella di aver sprecato un'occasione preziosa, quella di utilizzare in maniera efficace i margini di flessibilità", dice Fortis, impiegandoli cioè per generare crescita. "Nonostante il pensiero di molti commentatori, misure come Industria 4.0 e gli 80 euro del governo Renzi hanno portato i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese italiane a superare la media dell'Eurozona in alcuni trimestri del 2017. Adesso le risorse della flessibilità sono impegnate in misure come quota cento e reddito di cittadinanza, che danno un contributo nullo al pil del paese. Così, oltre alla flessibilità, abbiamo perso anche la credibilità".