Milano, Salone del mobile 2010. Gli artigiani dell'isola Nella foto: Monica Castiglioni, designer di gioielli, fotografa e video artista (LaPresse)

C'è penuria di talenti (perfino) nel Made in Italy

Giancarlo Salemi

Dall’industria della moda al design, dall’alimentare al turismo, saranno 236mila i posti di lavoro vacanti per mancanza di competenze. Come se ne esce?

Roma. Disallineamento delle competenze. O se vogliamo dirla in inglese: skill mismatch. Cresce la difficoltà per le imprese italiane a trovare figure professionali adeguate, soprattutto tra i millennial per diventare tecnici in calzature, sartoria o specialisti nel design. Già l’Istat ci ha ricordato come “i posti vacanti” sono saliti all’1,2 per cento nell’ultimo anno e in particolare risultano non pervenuti l’1,1 dei posti dell’industria e dell’1,4 nel settore dei servizi. Si tratta dei livelli più alti sperimentati negli ultimi otto anni, ovvero da quando il nostro istituto di statistica compie questo genere di rilevazione.
Una conferma è arrivata anche dalla fondazione Altagamma che riunisce le migliori imprese dell’alta industria culturale e creativa, un’industria da 115 miliardi di euro e che in Italia fornisce un contributo al pil del 6,8 per cento coinvolgendo oltre 400 mila occupati. Ebbene secondo i loro calcoli nei prossimi cinque anni alle aziende manifatturiere e a quelle dei servizi tipici del Made in Italy, dalla moda al design, dall’alimentare al turismo, mancherà una parte consistente della forza lavoro qualificata che serve alla loro crescita. In tutto 236mila posti di lavoro che ci sono ma che non vengono occupati perché mancano “i talenti del fare” come li ha chiamati il presidente, Andrea Illy.

  
Numeri che fanno riflettere sull’arretratezza del sistema Italia se si considera anche che il nostro Paese ha il più alto livello di disoccupazione giovanile, oltre il 30 per cento nel 2018. Secondo lo studio, il settore con più bisogno di lavoratori qualificati sarà quello dell'automotive con 89.400 richieste, nella moda serviranno 46.400 persone, nel design 18.300, nel settore alimentare 49.000 e in quello dell'ospitalità 33.220.

    
Come se ne esce? La soluzione di certo non è dietro l‘angolo anche perché i provvedimenti del governo gialloverde hanno puntato, almeno fino ad oggi, sull’aiuto ai più deboli con il reddito alla cittadinanza o si sono occupati di chi invece vuole andare in pensione anticipata con quota 100. E per questo, spesso, le aziende sono costrette poi a fare da sole, a puntare sulla formazione fatta in casa. “Le aziende stanno creando moduli formativi al loro interno”, ha detto Stefania Lazzaroni direttore generale di Altagamma presentando la ricerca a Montecitorio. Si cerca quindi di supplire al deficit pubblico e di competenze, anche se le Università si muovono e il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta – “mi sento un po’ sul banco degli imputati” – ha ricordato che sono attive nella sua facoltà 120 startup ma, di certo, questo non basta per sopperire alla richiesta che arriva dal mondo delle imprese. Manca proprio la competenza tecnica per certi mestieri, sono praticamente scomparse quelle che un tempo si chiamavano le maestranze in grado di guidare e formare i più giovani.

 
In Italia, gli studenti che al termine delle scuole secondarie decidono di proseguire gli studi presso gli Istituti Tecnici sono solo il 30,7 per cento, e ancora chi sceglie un Istituto Professionale rappresenta il 15, laddove i licei tradizionali assorbono più della metà degli studenti dopo la licenza media. Gli iscritti agli Istituti Tecnici Superiori italiani sono 10mila, un numero davvero esiguo se paragonato agli allievi degli equivalenti tedeschi, Fachhochschule, che arrivano a 880mila, e a quelli francesi che rilasciano il Bts (Brevet de Technicien Supérieur) e attraggono 240mila studenti. “Non deve sorprenderci che oggi il primo mestiere che vogliono fare i giovani è il cuoco – ha ricordato Laura Carofoli chief content officer di Discovery – la televisione detta l’agenda delle professioni”.

   
Allora ciò che serve è certamente un cambio di passo. Ci prova almeno a metterlo nell’agenda il ministro per i Beni Culturali Alberto Bonisoli: "Stiamo uscendo con grande fatica da tempi di crisi – ha detto – Il Made in Italy é a tutti gli effetti un settore che traina. Il governo si è occupato a sufficienza di questa parte dell'economia di cui andiamo così orgogliosi? Quello che è sicuro è che il Made in Italy deve diventare uno dei principali punti dell'Agenda governativa." Come? "Parlando ai ragazzi e alle famiglie per incentivare la scelta di professioni tecniche e restituire a questi mestieri il valore e la reputazione che meritano”.