Alberto Bonisoli (foto LaPresse)

Settis, Montanari, i 5 stelle e i danni alla Cultura della setta passatista

Maurizio Crippa

All’arte sono sfascisti! Guai del ministro a sua insaputa Bonisoli

All’arte sono sfascisti! Se la piantasse di occuparsi, a parole, del ritorno del fascismo e di stare a scrutare i balconi alla ricerca di segnali inquietanti, l’opposizione politica (e culturale) di questo paese dovrebbe occuparsi della marcia sul Collegio Romano che gli sfascisti e il ministro a sua insaputa dei Beni culturali Alberto Bonisoli stanno conducendo, per disfare una delle poche riforme moderne rimaste in piedi. Quella dei grandi musei detta Franceschini. Delle mire della squadraccia (lui probabilmente nemmeno si rende conto) si è già avuto modo di parlare. Così pure della “riforma della riforma” (chiedetevi il senso) che Bonisoli con un ristrettissimo comitato da lui scelto va preparando da tempo.

 

Sono note però, da alcuni giorni, le pessime prime scelte del Mibac, che potrebbero essere approvate entro il 30 giugno e hanno lasciato allibiti gli addetti ai lavori, soprattutto a Firenze, prima città martire della controriforma. Quattro musei e parchi autonomi, se Bonisoli non farà dietrofront, potrebbero perdere lo status di autonomia conferitogli dalla legge Franceschini e tornare alle dipendenze dei soprintendenti. Il perché, e il vantaggio, sono ignoti. Ma la possibilità del downgrade è reale per il Parco dell’Appia antica, il Museo etrusco di Villa Giulia, il Parco del Castello di Miramare a Trieste e le Gallerie dell’Accademia a Firenze, un gioiello che ha preso a funzionare come una fuoriserie con la direzione di Cecile Hollberg (più 22 per cento di visitatori), la quale continuerebbe volentieri il suo lavoro, ma non verrà confermata in autunno. Lo stesso rischio corrono molti suoi colleghi – senza che ancora siano chiari i criteri di scelta, e del resto ai quattro “perdenti posto” nessuno ha fatto sapere niente. Ancora peggio: una nuova direzione Contratti e concessioni controllerà gli appalti più importanti anche degli altri musei che restano così solo formalmente autonomi, e sarà la famigerata Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio di Gino Famiglietti, il blocca-tutto di fedele osservanza Settis, a decidere.

  

Il senso di smantellare una riforma perfettibile ma che ha iniziato a produrre ottimi risultati è oscuro. Smontare tutto è un danno, persino economico per un paese che fa dell’arte uno dei suoi punti di forza nel turismo mondiale. Ed è un danno d’immagine, che allontana prestigiosi musei dagli standard di qualità delle grandi istituzioni mondiali. In nome di uno statalismo e di una concezione conservatorista che definire ottusi è poco. Giovedì il guru della setta sovietico-passatista, Salvatore Settis, se l’è presa sul Fatto con i rischi che deriverebbero al settore Beni culturali dall’autonomia regionale chiesta da alcune regioni. Il che è oggettivamente vero: ma Settis non è stato in grado di spiegare in che cosa si differenzi quel progetto di statalismo in piccolo, a misura regionale, dal suo.

 

Molto meno oscuri, purtroppo, sono i motivi che muovono il Mibac. Bonisoli non ha competenza né visione, ma deve disperatamente dare un contentino pseudo pauperista al suo partito di riferimento, che annaspa ovunque. E i Cinque stelle sono da sempre contro l’autonomia dei musei, come sono contro qualsiasi forma di autonomia nel pubblico e di intrapresa privata. La gratuità del danno che sono in grado di produrre, pure nel patrimonio artistico, nasce da un odio ideologico. Poi c’è la brama di restaurazione dell’ancien régime che muove le burocrazie ministeriali e le soprintendenze, poteri da sempre incontrollati e non sottoposti alla responsabilità di rendere conto del loro operato (il disastro del restauro di Palazzo Citterio a Milano guidato dalla Soprintendenza, oltre venti milioni per un museo che non può aprire, e su cui Bonisoli non sa che pesci pigliare, è un esempio drammatico). Poi ci sono le carriere e le ambizioni personali. La controriforma di Bonisoli è pilotata da esponenti dell’accademia ben noti che hanno acquistato sempre più potere. Tomaso Montanari, il vero ministro ombra di Bonisoli, è stato nominato presidente del Comitato tecnico scientifico per le Belle arti del Mibac. Carica cui da pochi giorni ha sommato la nomina nel Comitato scientifico degli Uffizi. Il suo primo virgolettato al Corriere Fiorentino è stato: “Sarò nel comitato per far uscire le Gallerie dalla logica economicista”. Qualsiasi cosa voglia dire, ovviamente: nessuno ha aperto un McDonald’s tra un Giotto e un Cimabue, né venduto dei Raffaello. Il museo è semplicemente diventato più fruibile, più frequentato, più funzionale. Ma si sa che il direttore tedesco Eike Schmidt ha già annunciato da oltre un anno che non rimarrà dopo la fine del mandato. E le brame di Montanari di fare il gran salto dalla direzione scientifica a direttore degli Uffizi non sono oscure, ma alla luce del sole.

 

Tutte queste cose sono sotto gli occhi di chi le vuole vedere. Incompetenza, conservatorismo e interessi di cordata sono gli ingredienti di una restaurazione che non ha nessun senso e vantaggio pratico. Ciò che appare incomprensibile è però che nessun giornale – a parte Repubblica, che per grazia ricevuta s’è disfatta da qualche tempo della tutela ideologica Settis-Montanari – denuncia un simile clima e un simile disastro. Peggio ancora la politica. A partire dal Pd. Dario Franceschini ha rilasciato un’intervista tempo fa, dopo il vergognoso caso Caravaggio, piuttosto istituzionale, da ex ministro. Il Pd, che del resto al momento non ha ancora un responsabile Cultura, non ha aperto bocca o quasi per difendere una riforma che è stata sua (ma si sa: in verità era molto più di Renzi) e che è stata un fiore all’occhiello dell’immagine internazionale del “paese dell’arte”. Solo il confermato sindaco di Firenze Dario Nardella (essendo toccato sul vivo) ha alzato la voce: “Da Bonisoli un colpo mortale ai nostri musei”, ha dichiarato. E ancora: “Firenze guiderà un fronte determinato contro questo tentativo maldestro di indebolire i più grandi musei del paese, i gioielli della cultura italiana”. Ma è al momento una voce nel deserto in mezzo a un’opposizione miope.

 

Bonisoli era a Firenze per l’inaugurazione di Pitti Uomo, ma non ha ritenuto, nemmeno per rispetto istituzionale, di dover parlare dei suoi progetti che toccano così da vicino proprio le città d’arte. Del resto dove avrebbe potuto impararlo, il rispetto istituzionale, alla Casaleggio Associati? Ha invece farfugliato qualcosa sull’idea di portare sotto la nuova direzione Creatività contemporanea e rigenerazione urbana anche “un ufficio” per la moda e il design, manco fossero la stessa cosa. Gli operatori di Pitti erano perplessi. O forse spaventati da un pensiero: e se a fare il soprintendente per la moda e il design nominasse Rocco Casalino?

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"