Foto LaPresse

Perché su Ilva l'interesse politico di Di Maio non coincide col bene di Taranto

Maria Carla Sicilia

Le alternative ad ArcelorMittal hanno un costo elevato e il tempo stringe, ma al ministro conviene tenere una linea ambigua fino all'ultimo. "Il delitto perfetto" del populismo al governo

Spiegare a una città dove quasi un cittadino su due ha votato M5s che il cambiamento non sarà dirompente come promesso è un rischio che può costare consensi. Con la vertenza Ilva, Luigi Di Maio tiene Taranto appesa a un filo, ma se il filo dovesse spezzarsi la batosta potrebbe essere grande tanto quanto la fiducia che i tarantini hanno riposto nel Movimento 5 stelle, che in città ha raggiunto quasi il 50 per cento dei voti alle elezioni del 4 marzo.

  

Di Maio ha detto che proverà a capire se ci sono i presupposti per annullare la gara che ha consegnato Ilva ad ArcelorMittal, anche se nel frattempo esorta i sindacati a trattare con l'azienda per trovare una quadra sugli aspetti occupazionali, come se la gara non fosse in discussione. 

 

Da una parte, il vicepremier si coordina con il ministero dell'Ambiente per cercare un “interesse pubblico specifico” che consenta di fare decadere l'assegnazione a Mittal senza che questa possa poi fare ricorso e pretendere un costoso indennizzo. Dall'altra, rassicura il gruppo siderurgico dicendo di essere certo della sua buona fede, che gli errori sono tutti del precedente esecutivo, che ha esercitato “un abuso di potere” commettendo un “delitto perfetto” a cui oggi non si può proprio più rimediare. Un attacco politico di cui si capirebbe il senso in campagna elettorale ma non oggi, con i soldi pubblici in mano a Ilva che vanno esaurendosi, a tre settimane dal termine del mandato dei commissari, dopo una precedente proroga di due mesi e mezzo e una fabbrica che va sempre più degradandosi, pericolosa per gli stessi operai. Il tutto a fronte di un accordo che al momento prevede 10 mila posti di lavoro tutelati, un piano di investimenti che contempla interventi per l'ambiente e il rilancio dell'impianto siderurgico più grande d'Europa.

  

“Di Maio deve prendersi le sue responsabilità”, dicono concordi i sindacati, il sindaco di Taranto, la Confindustria locale, quella nazionale e molti cittadini. Ma rinunciare all'accordo con ArcelorMittal senza un'offerta alternativa significherebbe investire molti soldi pubblici o chiudere Ilva. Alcuni nel capoluogo pugliese sarebbero contenti, di sicuro i comitati ambientalisti che hanno votato il M5s e che oggi sono delusi di fronte all'attendismo del ministro, quelli che continuano a chiedere a muso duro “chiusura e riconversione”. Sì, ma chi la paga la riconversione? Certo non un gruppo siderurgico. Ancora oggi, sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno, il deputato grillino Giovanni Vianello, uno dei cinque eletti a Taranto, continuava a rassicurare la base: "Stiamo lavorando per la chiusura di tutte le fonti inquinanti, non solo Ilva. Adesso concentriamoci sulla procedura di gara che è stata evidentemente viziata. La bonifica dei territori inquinati e la riconversione economica sono i nostri obiettivi".

   

Gonfiare a reti unificate l'idea che sulla gara ci siano dubbi, come fanno i deputati tarantini che commentano Ilva con comunicati identici sui social, permette di confondere gli elettori smarriti. “Calenda&Co combinano “casini” inenarrabili contro i lavoratori e i cittadini tarantini e l'unica cosa che ti viene in mente di dire è che la colpa è di Di Maio che vuole risolverlo positivamente?”, commenta un utente su Facebook. La conferenza stampa senza risposte di ieri e il tavolo al Mise con 62 sigle invitate a partecipare sono tutti indizi del fatto che l'interesse politico di Di Maio potrebbe non coincidere con il bene di Taranto.

  

Di fronte a tutto questo, se l'impresa di annullare la gara fallisse, aprendo scenari non ancora chiari, Di Maio sarebbe pronto a consegnare le chiavi di Ilva ad ArcelorMittal entro il prossimo 15 settembre. Altro che vento di cambiamento. L'unico vantaggio sarebbe riuscirci diminuendo il numero di esuberi, più di 3 mila persone che altrimenti dovrebbero essere tutelate con incentivi all'esodo e cassa integrazione. Oppure il ministro potrebbe provare a strappare altre garanzie ambientali, anche se a riguardo ArcelorMittal ha già migliorato il suo piano accorciando i tempi previsti per gli interventi, rivendicandone i meriti. Il resto è solo un tentativo di spacciare per migliore un accordo che migliore potrebbe non essere, provando così a limitare la delusione di chi ha creduto nelle promesse impossibili del M5s. Un “delitto perfetto”, sì. Ma del populismo al governo.