Luigi Di Maio (foto Imagoeconomica)

Ilva, Tav, Tap. Come si rende presentabile l'impresentabile?

Claudio Cerasa

Ragioni per diffidare di Di Maio quando dice di parlare “da cittadino”

Nel linguaggio manipolatorio del grillismo c’è una parola rivelatrice che periodicamente viene evocata per squalificare da ogni dibattito pubblico un qualsiasi avversario politico. Una parola che è stata utilizzata per giustificare la candidatura di Marcello Foa alla presidenza della Rai, la convocazione di sessantadue sigle al tavolo del Mise sull’Ilva, lo scetticismo rispetto alla costruzione del Tap, il balletto rispetto alla realizzazione della Tav. E quella parola è sempre la stessa: cittadini. “I cittadini della Val di Susa – sostiene Luigi Di Maio parlando di Tav – ci dicono che non c’è la possibilità di fare quell’opera perché è vecchia”. “Foa – dice Alessandro Di Battista – non risponderà alle forze politiche ma risponderà esclusivamente ai cittadini”. “Il mio obiettivo – dice Danilo Toninelli parlando di infrastrutture – è analizzare costi e benefici di tutte le opere e solo quelle che saranno buone per i cittadini dovranno essere finite”. “Il servizio pubblico – dice il presidente in pectore della Rai – io lo voglio davvero vicino agli interessi e hai (sic) bisogni dei cittadini”.

 

  

In un’ottica antisistema, si sa, la volontà del popolo non può essere mai mediata ed è nella natura del perfetto populista trasformare ogni corpo intermedio in un veicolo di falsità o interessi occulti. “I populisti – scrive Yascha Mounk in “Popolo vs democrazia” – si rendono conto che le istituzioni intermediarie con un vero diritto a rappresentare le opinioni e gli interessi di ampi settori della società mettono a rischio la menzogna secondo cui sono loro, e solo loro, a parlare in nome del popolo. Di conseguenza fanno di tutto per gettare discredito su tali istituzioni, bollandole come strumenti delle vecchie élite o di interessi esterni”. Il tentativo di far coincidere il “volere universale del cittadino” con “il volere di chi rappresenta il popolo in modo più genuino degli altri” è un’operazione pericolosa che porta con sé alcuni problemi che meritano di essere affrontati senza superficialità.

 

Il primo problema è legato alla volontà di aggredire il principio della delega che si trova al centro del rapporto di fiducia che esiste nella democrazia rappresentativa tra eletto ed elettore. E se si legittima che un eletto possa essere autorizzato a decidere solo sulla base del volere del cittadino non si fa altro che dare ragione a chi teorizza che la democrazia rappresentativa debba essere superata e a chi sostiene che il nostro sistema democratico debba essere affidato a una piattaforma di proprietà della Casaleggio Associati.

 

Il secondo problema è legato al fatto che se vale davvero il principio esplicitato ieri da Luigi Di Maio sulla Tav – “Non autorizzerò mai un’opera che dev’essere difesa con filo spinato e polizia” – varrà il principio che chi rappresenta lo stato dovrà agire non sulla base di ciò che reputa giusto fare per tutelare l’interesse nazionale ma sulla base di ciò che reputa giusto fare per non scontentare ogni genere di rivolta locale – e dunque perché non fare un referendum sull’Ilva, perché non farne uno sulla Tav, perché non farne uno sull’euro? Il terzo problema riguarda il punto che fare della democrazia uno strumento che funziona solo a condizione che sia un populista a guidarla significa ammettere che le istituzioni democratiche vanno difese solo quando sono i populisti a guidarle – altrimenti, impeachment per tutti. Il quarto problema, infine, ha a che fare con un dramma politico che è forse la vera cifra del populismo sovranista: usare la famigerata volontà dei cittadini per nascondere la propria incompetenza, per camuffare la propria incapacità e per dissimulare la propria inadeguatezza a prendere decisioni (come ha fatto ieri Di Maio sull’Ilva, congelando ancora il dossier). In un post intenso pubblicato ieri sul Blog delle stelle, Ale Di Battista ha sostenuto che il fascismo oggi non è “andare in camicia nera per ricordare un regime morto”, non è “pronunciare frasi senza senso su fantomatiche pacchie finite per provocare i giornali ”.

 

Il fascismo grazie al cielo non c’è più e nonostante gli sforzi di Salvini e Di Battista non tornerà mai. Ma se ci fosse in giro un qualche fascistello nostalgico non potrebbe lamentarsi di fronte a un governo che gioca con la xenofobia, che cita il duce nel giorno del suo compleanno e che prova a mascherare la sua incapacità di governare gli estremismi scaricando sui cittadini la propria vocazione allo sfascismo. Salvini dice di parlare “da padre”. Di Maio dice di parlare “da cittadino”. Ma ogni volta che sentirete Salvini parlare da padre o Di Maio parlare da cittadino sappiate che il trucco è facile da capire: provare a rendere presentabile ciò che è impresentabile.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.