Susanna Camusso (foto LaPresse)

Perché è l'Ilva l'alleanza più pericolosa tra la Gigi Economy e la Cgil

Alberto Brambilla

Se non protesti ora, quando? A Taranto, la sottomissione al sindacato è una minaccia per l’interesse nazionale. Paletti e rischi della dottrina Di Maio

Roma. Intervistata dal Corriere della Sera, Susanna Camusso, ha fatto la parte della sostenitrice del governo Salvini-Di Maio sostenendo che sta andando nella “direzione giusta” dopo l’approvazione, lunedì in Consiglio dei ministri, del cosiddetto “decreto dignità” nel quale c’è l’ispirazione della Cgil.

 

I giuslavoristi vicini al sindacato Marco Barbieri e Piergiovanni Alleva hanno contribuito al testo (la smentita di un rapporto di consulenza da parte del ministero del Lavoro sa di excusatio non petita). Confindustria, imprese multinazionali, Pmi ed esperti di diritto del lavoro hanno avvertito che la limitazione dei contratti a termine e l’intenzione di vincolare l’allocazione geografica delle produzioni (le “delocalizzazioni”) sarebbero fatali per molte aziende e per attrarre di investimenti.

 

Se l’atteggiamento morbido verso il ministro del Lavoro e dello Sviluppo, Luigi Di Maio, al suo primo atto di governo, da parte Camusso servirà a contenere l’uso dei contratti a termine (già inferiore in Italia rispetto alla media europea) o a ripristinare l’articolo 18 sarà triste vedere se i lavoratori colpiti da un governo che depotenzia il sistema produttivo avranno forza per festeggiare a pancia vuota.

 

E’ un quesito per i 13.700 dipendenti dell’acciaieria Ilva, la più incancrenita crisi industriale attuale - di cui Camusso non ha parlato al Corriere. Per il governo gialloverde è più critica che per i precedenti Monti, Letta, Renzi, Gentiloni perché la soluzione non è rimandabile a lungo. Il passaggio con affitto di ramo d’azienda ad ArcelorMittal è stato procrastinato da giugno a settembre per volere dei commissari dell’amministrazione straordinaria dopo il cambio di governo. Il M5s come soluzioni offrirebbe una riconversione a elettrico (con taglio drastico della forza lavoro per via del calo fisiologico della produzione e inferiore qualità dell’acciaio venduto per cui non fornirebbe più, ad esempio, il settore Auto che ha standard più alti) o a gas – linea Michele Emiliano –, una tecnologia costosa e usata in poche siderurgie nel mondo.

 

Il M5s ha ipotizzato anche la chiusura. Sono “non soluzioni” dato che è in corso una trattativa con ArcelorMittal. Ma più passa il tempo e più Ilva somiglia a un sito di archeologia industriale avendo ridotto di oltre la metà la capacità produttiva: tre altoforni su cinque sono spenti e da rifare. Qualcuno dice che per evitare di rifinanziarla col 12esimo decreto ad hoc si potrebbe spegnerne un quarto forno facendo esplodere il debito giornaliero a milioni di euro (ora perde un milione al giorno). La Fiom-Cgil sembra più attenta ai rapporti con i 5 stelle e con il governatore pugliese Emiliano che alle sorti dell’azienda. Ha contestato i recenti biomonitoraggi per metalli pesanti sui lavoratori insistendo sull’inquinamento ambientale. Non è una novità: in più occasioni Fiom ha sposato le tesi della procura che sequestrò l’impianto indagando per “disastro ambientale” nel 2012. Condivisibile l’attenzione per la salute dei lavoratori. Non lo sarebbe altrettanto quella per le condizioni di una fabbrica dove aumentano gli infortuni per lo stato di decozione degli impianti? Non per caso Fiom è il quarto sindacato per iscritti a Taranto e al contempo accorda voti al M5s. La liason M5s-Cgil può sollevare un conflitto di interesse con la politica al punto da non fare capire se il sindacato tuteli i lavoratori o il governo. Solo Fim-Cisl e Usb erano disposti a manifestare sotto il ministero dello Sviluppo se Di Maio non avesse convocato i sindacati per un confronto su Ilva come ha fatto martedì sera solo quando si era capito che all’indomani la protesta sarebbe arrivata in Via Veneto. Camusso tace e la Cgil sembra avere perso lo spirito barricadero anestetizzata dalle Stelle. A gennaio prossimo Camusso non sarà più segretario generale ma vorrebbe diventare segretario della Confederazione sindacale internazionale, un sindacato mondiale. La decrescita sarebbe assicurata.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.