Il presidente dell'Inps, Tito Boeri (foto LaPresse)

Salvini, Boeri e la forza dei numeri

Giuliano Cazzola

Il ministro fa l'energumeno con il presidente dell'Inps. Ma sull'immigrazione ha ragione lui: senza il lavoro degli stranieri, interi settori dell’economia italiana rischiano di andare in difficoltà

Lo sapevamo già, ma nella sua polemica a distanza con Tito Boeri, Matteo Salvini dimostra di essere un energumeno. Un ministro in carica non può permettersi di dileggiare (“Boeri fa il fenomeno”, “in che mondo vive”) e di minacciare (“ci occuperemo di lui”) un civil servant prestigioso, soltanto perché ha opinioni diverse dalle sue sul tema cruciale dell’immigrazione. Il governo gialloverde ha il diritto di sostituire Boeri quando verrà a scadenza il mandato al vertice dell’Inps (del resto il professore della Bocconi fu nominato inaspettatamente al posto di Tiziano Treu). Ma non può il ministro di Polizia assegnare a questo ricambio un significato di ritorsione né permettersi di trattare un valente studioso come l’attuale presidente del maggior ente previdenziale d’Europa (con un bilancio che è secondo soltanto a quello dello Stato) al pari di uno di quegli scalzacani di regime che si presentano in televisione propinando agli italiani mini-bot o altre soluzioni miracoliste. Tanto più che dalla sua parte Boeri può vantare la forza dei numeri, mentre Salvini solo quella dei pregiudizi e delle chiacchiere dei tanti Bar Sport che per lui rappresentano la realtà del Paese.

 

Tutto ciò premesso, i dati parlano chiaro. Oggi, l’Italia ospita 5 milioni di stranieri residenti (più un milione di “naturalizzati”), circa il 8,5% della popolazione (era al di sotto del 3% nel 2001 e pari allo 0,1% dieci anni prima), mentre la quota degli occupati è salita ormai al 10% come dato medio, con punte più elevate nelle regioni più ricche e sviluppate (nel Centro-Nord il numero degli immigrati è di quattro volte maggiore di quello del Sud). Quanto al futuro, a causa degli effetti dell’invecchiamento, la popolazione in età di lavoro diminuirà di circa il 20% (già nel 2020 si profilava il fabbisogno di 1,3 milioni di stranieri in più, molti dei quali già cittadini Ue). Secondo talune valutazioni un po’ datate, l’Italia doveva essere, nel 2060, il Paese mediterraneo con il maggior numero di immigrati residenti (12 milioni).

 

Recentemente, da parte degli osservatori internazionali, sono emerse delle preoccupazioni sulla tenuta degli equilibri del sistema pensionistico anche dopo la riforma Fornero, proprio in conseguenza dell’assetto ancor più negativo dei trend demografici (maggiore invecchiamento e più accentuata denatalità, nonostante l’apporto delle famiglie straniere) a fronte di un possibile calo della immigrazione. Nelle previsioni della Rgs una delle condizioni per la sostenibilità del sistema, oltre agli altri indicatori di carattere macroeconomico, consisteva in un saldo migratorio di 380mila unità nel 2010; questo apporto veniva dimezzato nei successivi 50 anni. Nelle proiezioni più recenti si temono saldi ancora inferiori con effetti negativi sulla tenuta dei conti nel futuro.

 

Senza il lavoro degli stranieri, interi settori dell’economia (agricoltura, turismo, costruzioni, servizi alla persona, ma anche comparti dell’industria manifatturiera) incontrerebbero delle enormi difficoltà. In Italia, infatti, vi è ormai un gap strutturale tra domanda ed offerta di lavoro – soprattutto nelle regioni del Centro-Nord - in conseguenza degli andamenti demografici: da anni in Italia viene al mondo la metà dei bambini che nascevano negli anni sessanta e vanno in pensione - magari continuando a lavorare in altre forme non sempre regolari - più persone di quelle che sono pronte e disposte ad entrare nel mercato del lavoro. Inoltre, molti dei posti disponibili vengono rifiutati dalla manodopera nostrana, come è risultato anche dalle statistiche degli anni della Grande Recessione.

 

 

 

Boeri ha, pertanto, ragione da vendere quando afferma che: “Nel confronto pubblico degli ultimi mesi si è parlato tanto di immigrazione, ma nessuno sembra preoccuparsi del declino demografico del nostro Paese. Gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni. Questo avviene anche in altri Paesi, ma la deviazione fra percezione e realtà è molto più accentuata da noi che altrove. Non sono solo pregiudizi - sottolinea Boeri -. Si tratta di vera e propria disinformazione”. Bisognerebbe dire agli italiani “la verità”, invece di agitare “continuamente lo spettro delle invasioni via mare quando gli sbarchi sono in via di diminuzione”. Certo, il presidente dell’Inps ha ben presente che i profughi non possono svolgere lo stesso ruolo degli immigrati regolari, ma teme – giustamente – che tutto il pandemonio scatenato su di un’invasione soltanto percepita, faccia dimenticare che l’Italia ha necessità di riempire i vuoti nella struttura della popolazione. Nel Rapporto, il presidente Boeri ha denunciato i pericoli per la finanza pubblica, insiti in talune proposte di revisione (quota 100 e 41 anni a prescindere dall’età) della riforma Fornero. Se ci è consentito, in queste iniziative, Boeri ha la sua parte di responsabilità. “Al di là di questo problema legato alla particolare intensità e durata della Grande Recessione e della successiva crisi del debito pubblico dell’area euro – scriveva l’Inps nel documento Per equità e non per cassa - una maggiore flessibilità in uscita, se sostenibile, aumenterebbe grandemente il benessere delle famiglie che hanno, specie in quella fascia di età che precede il ritiro dalla vita attiva, esigenze ed aspirazioni molto diverse tra di loro. Il tutto alleggerendo la gestione del personale di imprese che altrimenti si troverebbero a dover dare lavoro a persone poco motivate, presumibilmente, poco produttive”. Ma queste considerazioni – seppur corredate di proposte più rigorose – non sono le stesse che va facendo Salvini? Boeri, comunque, è stato difeso “grillini”: in fondo è stato lui il protagonista della crociata contro i vitalizi e le pensioni d’oro. 

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