Matteo Salvini (foto LaPresse)

Ohibò, le piccole imprese del nord beneficiano di più degli immigrati

Carlo Stagnaro

Considerazioni sullo scontro Salvini-Boeri tra imprenditori, consumi, bacini elettorali e una sfida demografica mai vista

Roma. Senza immigrazione gli italiani sarebbero due volte più poveri: avrebbero redditi reali più bassi e dovrebbero pagare più tasse. Bene ha fatto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a inquadrare la questione nell’ambito dei suoi impatti economici. Gli stranieri residenti in Italia sono poco più di 5 milioni e rappresentano l’8,4 per cento della popolazione. Di questi, circa la metà sono occupati (1,6 milioni di provenienza extraeuropea, 800 mila europei) e altri 440 mila sono in cerca di occupazione. Con la loro presenza, assolvono a due funzioni fondamentali, entrambe nell’interesse dei cittadini italiani. La prima è quella di creare valore: gli immigrati, che mediamente sono più giovani degli italiani, arricchiscono lo stock di competenze offerte sul mercato. Per la maggior parte sono relativamente poco qualificati, e sono disponibili a svolgere mansioni che i nativi rifiutano (e sono comparativamente più produttivi). Questo permette da un lato agli italiani di specializzarsi in occupazioni a più alto valore aggiunto, dall’altro di colmare un gap che altrimenti sarebbe difficile riempire.

 

Il rapporto Inps contiene i risultati di un’indagine empirica svolta da Edoardo Di Porto, Enrica Maria Martino e Paolo Naticchini, che hanno studiato gli effetti della più vasta sanatoria della storia italiana, quella conseguente alla legge Bossi-Fini del 2002. In quel contesto, sono emersi circa 210 mila lavoratori impiegati in 60 mila aziende. Due sono gli elementi interessanti. In primo luogo, le imprese che hanno approfittato della regolarizzazione erano mediamente di piccole dimensioni, localizzate nel centro-nord e nelle grandi città, e occupavano gli stranieri principalmente nei settori delle costruzioni, ristorazione e turismo. Come ha sottolineato Boeri, “nel lavoro manuale non qualificato sono oggi impiegati il 36 per cento dei lavoratori stranieri in Italia, contro solo l’8 per cento dei lavoratori italiani”. 

 

A beneficiare di più della presenza straniera è quel tessuto di piccole e medie imprese settentrionali che rappresentano il principale bacino elettorale della Lega.

 

Gli autori hanno fatto un passo avanti e hanno approfondito le carriere dei lavoratori interessati dalla sanatoria nel medio termine: a cinque anni di distanza, più del 70 per cento era ancora regolarmente occupato, sebbene solo il 20 per cento fosse legato alla medesima azienda. I lavoratori immigrati, inoltre, si sono dimostrati più dinamici – in termini di mobilità geografica e lavorativa – rispetto agli italiani. La loro intraprendenza emerge anche da un altro dato: quasi il 10 per cento delle imprese esistenti nel nostro paese è stato fondato da stranieri, specie nei settori delle costruzioni e del commercio.

 

Da ultimo, gli stranieri non sono soltanto portatori di braccia offerte nel mercato del lavoro: sono anche persone e famiglie che hanno esigenze di consumo. Con la loro presenza, espandono la domanda di beni e servizi, molti dei quali prodotti dai nativi, e contribuiscono a far crescere la domanda interna, ossia la gamba più debole della nostra fragile crescita economica.

 

Nel complesso, possiamo dire che non è vero che gli immigrati ci rubano il lavoro: anzi, occupano posizioni che gli italiani rifiutano, creano lavoro in quanto imprenditori, e ci fanno lavorare in quanto consumatori. Infine, è solo grazie alle loro tasse e contributi se non finiremo seppelliti dal nostro stesso welfare: nel 2045 il rapporto tra lavoratori e pensionati sarà di uno a uno. Secondo Boeri, “ciò significa che 4 euro su 5 guadagnati col proprio lavoro andrebbero a pagare le pensioni”. L’immigrazione non può essere l’unica risposta all’immensa sfida demografica che abbiamo di fronte, ma è senz’altro parte della soluzione.

 

Gli italiani sovrastimano la quota di popolazione di origine straniera, e ne sottostimano il contributo all’economia nazionale. La retorica bufalara dell’invasione poggia su una percezione distorta e dannosa. Quello che serve è riscoprire una narrazione positiva del libero scambio. Una narrazione che beneficia tutti quelli che vi prendono parte, e che rende il razzismo non solo odioso, ma anche costoso.