Luigi Di Maio e Matteo Salvini (fotomontaggio Enrico Cicchetti)

Con i giochi di Salvini e Di Maio, i conti italiani rischiano grosso

Roberto Gualtieri

Il pericolo è di non riuscire a disattivare le clausole di salvaguardia se non a prezzo di interventi insostenibili sulla spesa

Al direttore - Su queste pagine Guido Tabellini, in un opportuno richiamo alla concreta realtà dei conti pubblici e alla necessità per l’Italia di affrontare con forza e credibilità il negoziato in corso in Europa sul bilancio dell’Unione e la governance dell’eurozona, ci ha ricordato che non solo non esistono margini per misure “fantasiose” come quelle proposte da Salvini e Di Maio, ma che la stessa eliminazione degli aumenti Iva da tutti auspicata richiede l’individuazione delle necessarie coperture.

 

E’ bene tuttavia, per impostare seriamente una discussione quantomai utile, chiarire i termini effettivi delle scelte che l’Italia dovrà compiere in materia di finanza pubblica e di regole europee. E’ verosimile attendersi che la Commissione europea, nelle Raccomandazioni che si appresta a varare, chiederà per il 2019 uno correzione del deficit strutturale dello 0,6 per cento (circa 10 miliardi). Sulla base delle stime indicate dal governo nel Def questo aggiustamento è già incorporato nel quadro tendenziale di finanza pubblica (che computa lo scatto delle clausole di salvaguardia con l’aumento dell’Iva). Per avere una full compliance con l’aggiustamento dello 0,6 per cento previsto dalla “matrice” allegata al patto di stabilità ed evitare l’aumento dell’Iva occorrerebbe quindi individuare le coperture per quest’ultimo, e realizzare una correzione strutturale di 12,5 miliardi, significativa ma ben distante quindi dai “due o tre punti percentuali del reddito nazionale” indicati da Tabellini. Il quadro non cambia di molto se si considerano le stime della Commissione europea nelle sue recenti previsioni di primavera, che da questo punto di vista si discostano da quelle del governo di appena lo 0,15 per cento.

 

E’ bene tuttavia ricordare che in questi anni il governo italiano ha avuto la credibilità e la capacità di negoziare, con la flessibilità, un percorso di riduzione del deficit più graduale, che ha consentito di conciliare la sostenibilità delle finanze pubbliche con le necessarie misure di sostegno alla crescita e al welfare. E’ ragionevole ritenere che un governo altrettanto capace e autorevole potrebbe proseguire su questa linea e – senza entrare in questa sede nel merito delle diverse possibili opzioni tecniche – realizzare un aggiustamento strutturale minore dello 0,6 per cento, e quindi più sostenibile, evitando sia gli aumenti Iva che una procedura di deficit eccessivo. Ciò sarebbe quantomai opportuno, se si considera che in questi anni il percorso di razionalizzazione della spesa pubblica è andato molto avanti e in realtà non esistono nel bilancio italiano i margini per significativi interventi aggiuntivi di spending review che non abbiano un impatto molto severo sulla scuola, l’università, la ricerca, la sanità, gli enti locali, la sicurezza: risultando quindi molto dannose per la crescita, la coesione sociale e la stessa competitività del paese.

 

Va da se però che questo negoziato appare un compito alquanto improbo per chi, come Salvini e Di Maio, si balocca con proposte e numeri del tutto fuori dalla realtà. E rischierebbe in realtà, se messo alla dura prova del governo, non solo di non poter mantenere le proprie mirabolanti promesse, ma neanche di riuscire a disattivare le clausole di salvaguardia se non a prezzo di interventi insostenibili sulla spesa o di una procedura di deficit eccessivo che non tarderebbe a farsi sentire sullo spread.

 

 

Roberto Gualtieri è presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo

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