Mariano Rajoy (foto LaPresse)

Ragioni per dubitare della storia degli spagnoli “più ricchi” di noi

Marco Fortis

Cambiando le misure cambia anche il risultato. Perché l’Italia regge bene (e anzi vince) il confronto con la Spagna

Negli ultimi giorni sono stati spesi fiumi di parole sul presunto “sorpasso” della Spagna ai danni dell’Italia per ciò che riguarda il pil pro capite a parità di potere d’acquisto (Ppa). In particolare, il modello economico spagnolo è stato esaltato quasi come una meraviglia del creato rispetto al nostro sistema produttivo. Alcune osservazioni sensate, apparse soprattutto nei commenti su questo giornale, sono state più che pertinenti. In effetti, gli spagnoli hanno un governo che dura in genere per una intera legislatura e può imbastire una politica economica di lungo periodo; noi invece siamo (ora più che mai) nella palude dell’ingovernabilità. Gli spagnoli hanno una pubblica amministrazione più efficiente della nostra; intercettano ed usano meglio di noi i fondi europei; hanno infrastrutturato il loro paese in modo moderno; sono anche riusciti a salvare le loro banche disastrate con denari ricevuti in prestito a tassi bassissimi dall’Europa, mentre noi non lo abbiamo fatto. Il governo e la Banca di Spagna prevedono una crescita ora complessiva nel 2018 del 2,7 per cento, in calo dopo tre anni consecutivi di crescita superiore al 3 per cento.

 

Fin qui ok. Ma il resto del dibattito, a ben vedere, è stato abbastanza surreale. Innanzitutto, perché le stime sul “sorpasso” elaborate dal Fondo monetario internazionale (analizzate prima dal Financial Times, poi rilanciate dalle nostre agenzie di stampa e infine riprese e dibattute dai nostri giornali) sono, per l’appunto, solo stime. Per di più preliminari e molto diverse, anche nella metodologia di calcolo, da quelle ufficiali dell’Eurostat, che nessuno si è preso la briga di andare a vedere. Nel 2016, ad esempio, il pil pro capite in Ppa dell’Italia stimato dal Fmi era solo dell’1,3 per cento più alto di quello spagnolo, mentre quello stimato dall’Eurostat era superiore del 5,6 per cento. Partendo da queste basi è evidente che sarà piuttosto difficile che nelle future statistiche dell’Eurostat relative al 2017 la Spagna sorpassi l’Italia per pil pro capite in Ppa, come invece ha preconizzato il Fmi.

 



 

Tuttavia, il tema non è tanto quello del “sorpasso” quanto il significato stesso dei dati di cui stiamo parlando. Infatti, abbiamo letto vari editoriali e commenti i quali hanno sottolineato che gli spagnoli sono ora più ricchi degli italiani e ciò sarebbe dovuto alle loro migliori politiche economiche e alla loro superiore crescita. Ma è proprio così? Non ci pare proprio. Intanto molti continuano a dimenticare che la sostenuta dinamica del pil spagnolo degli ultimi anni è avvenuta in contemporanea con deficit statali assai elevati; deficit assolutamente non consentiti all’Italia, dato il nostro alto rapporto debito pubblico/pil. Nel 2014, infatti, il deficit/pil di Madrid è stato del 6 per cento, nel 2015 del 5,3 per cento, nel 2016 del 4,5 per cento e infine nel 2017 del 3,1 per cento (cioè quattro anni sempre fuori i parametri di Maastricht). I dati dell’Italia, per un confronto, sono invece stati, nell’ordine: 3 per cento; 2,6 per cento; 2,5 per cento; 2,3 per cento (cioè quattro anni sempre dentro i parametri di Maastricht). Se per ipotesi l’Italia avesse potuto fare più spesa pubblica, toccando negli scorsi anni i deficit della Spagna, anche il nostro pil sarebbe cresciuto del 3 per cento all’anno.

 

Ma è l’idea stessa che gli spagnoli siano diventati più ricchi degli italiani a non avere alcun fondamento. Più che i dati del pil pro capite in Ppa, lo dimostrano inequivocabilmente le statistiche sui consumi delle famiglie in Ppa. Infatti, sempre secondo l’Eurostat, nel 2016 i consumi delle famiglie italiane espressi in Ppa risultavano non solo del 12,6 per cento più alti di quelli delle famiglie spagnole ma anche del 7,1 per cento superiori a quelli delle famiglie francesi e del 5,5 per cento superiori a quelli delle famiglie olandesi. Sempre nel 2016 il rapporto tra ricchezza finanziaria netta e reddito disponibile delle famiglie italiane era pari al 284 per cento contro il modesto 185 per cento delle famiglie spagnole. Non dimentichiamo poi che nel 2017 l’Italia ha fatto registrare una bilancia commerciale manifatturiera con l’estero in surplus per 89,9 miliardi di euro contro un deficit corrispondente della Spagna di 16,2 miliardi, a dimostrazione anche di una netta superiorità industriale del nostro paese rispetto a quello iberico.

 

Torniamo però ai dati sul pil pro capite in Ppa che tanto scalpore hanno suscitato. Perché è soprattutto la loro disaggregazione su base regionale, che l’Eurostat ci fornisce (vedi comunicato stampa Eurostat del 28 febbraio scorso), a far emergere i veri temi di cui economisti, giornali e politici italiani dovrebbero discutere e cioè quelli della distribuzione del reddito e dei divari territoriali. Infatti, se analizziamo i dati sui pil pro capite regionali in Ppa del 2016, scopriamo che vi sono ben 11 regioni italiane e soltanto 4 spagnole a presentare un Pil pro capite in Ppa uguale o superiore alla media europea. In pratica, tutto il nord Italia più Toscana e Lazio contro solo Madrid, paesi Baschi, Navarra e Catalogna. Detto in altri termini, quasi i 2/3 della popolazione italiana (62 per cento, pari a 37 milioni di persone) vive in regioni che presentano un Pil pro capite medio in Ppa superiore alla media europea contro solo poco più di 1/3 della popolazione spagnola (36 per cento, poco meno di 17 milioni di persone).

 

C’è però un risvolto della medaglia: il nostro Mezzogiorno è molto più grande e molto più povero di quello della Spagna. Infatti, l’Italia ha ben 7 regioni (Basilicata, Sardegna, Molise, Campania, Puglia, Sicilia, Calabria) sotto il 75 per cento del pil pro capite medio dell’Unione europea in Ppa, per complessivi 19,5 milioni di abitanti, pari al 32 per cento della popolazione italiana. I dati della Spagna sono meno negativi: solo 5 regioni con un Pil pro capite in Ppa inferiore al 75 per cento di quello medio europeo (Castilla-la Mancha, Andalucia e Extremadura più le piccole Ceuta e Melilla) per complessivi 11,7 milioni di abitanti, corrispondenti al 25 per cento della popolazione spagnola.

 

In conclusione, più che inseguire il modello spagnolo dovremmo essere molto contenti del nostro nord-centro (che è anni luce davanti alla Spagna) ed essere consapevoli del fatto che in questa porzione d’Italia le nostre politiche economiche funzionano piuttosto bene, come dimostrano anche i dati assoluti e di crescita del “triangolo d’oro” Lombardia-Emilia-Romagna-Triveneto (di cui abbiamo recentemente scritto). Piuttosto, l’attenzione andrebbe invece focalizzata sui ritardi del nostro Mezzogiorno che possono essere superati solo con strategie di governo serie (zone economiche speciali, incentivi alle assunzioni, potenziamento di infrastrutture e turismo, sviluppo ulteriore di porti, agricoltura e industria alimentare, attrazione di investimenti stranieri, ecc.) e non certo facendo balenare promesse di un nuovo assistenzialismo. Le prime necessitano di coraggio politico e sudore della fronte per essere tradotte in pratica; le seconde si sono sprecate in campagna elettorale ma, oltre a non essere finanziabili, non genererebbero nessun reale progresso.

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