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Gli effetti imprevisti del virus: anche i numeri non dicono tutto

Lorenzo Borga

Quante le persone contagiate? C’è chi il test non lo fa. Tamponi, vittime, guariti: l’importanza del criterio con cui si contano

Ogni giorno siamo in affannosa ricerca di informazioni. Quando finirà il contagio? Quando potremo tornare alla normalità? Quando non avremo più paura? Sono domande che ci ripetiamo quotidianamente, e a cui non sappiamo dare risposta. La sete di informazione non trova soddisfazione in Italia, e allora spesso ci si affida a informazioni inattendibili. Un po’ come se i naufraghi della Zattera della Medusa di Géricault avessero risolto l’arsura bevendo acqua salata: si perde la testa. Le bufale e dicerie si diffondono a macchia d’olio nelle solite chat WhatsApp (dove le informazioni circolano in network più chiusi che in altri social e quindi è più complesso bucare le bolle di disinformazione), ma talvolta sono rilanciate anche dai media tradizionali.

 

Forse c’è un solo modo per dare risposta alle tante domande: ammettere che sappiamo molto, troppo poco sull’evoluzione della pandemia in Italia. Ogni giorno si riempiono conferenza stampa e pagine di giornali di numeri, spesso comunicati e classificati in modo differente fra loro. Dati che sono utili per capire dove stiamo andando, ma con la fondamentale premessa che nella maggior parte dei casi creano alla meglio scarsa chiarezza, alla peggio veri e propri falsi miti. Soprattutto per chi non ha la competenza per leggerli e integrarli l’un l’altro. Ogni indicatore che sentiamo quotidianamente ha dei punti deboli che non permettono di trarne delle conclusioni. Al più si possono tentare supposizioni e ipotesi, con la cautela che i tempi impongono. Ecco una guida su cosa (non) ci dicono i dati sul nuovo coronavirus, per evitare false illusioni.

 

I contagiati

Per capire come si muove l’epidemia cosa meglio dei numeri sui contagi? Così pensavamo in maggioranza a fine febbraio. Eppure non è così: l’evoluzione delle persone positive al Covid rispecchia inevitabilmente la strategia di monitoraggio del virus, e quindi le scelte su come assegnare i tamponi. Per questo non conosciamo il reale numero delle persone contagiate, ma solo quelle di cui è stata verificata la positività. E purtroppo nel nostro paese la capacità di effettuare tamponi è ancora troppo bassa rispetto ad altri paesi: secondo i dati raccolti dal sito Our World in Data la Germania è riuscita ad effettuare un numero maggiore del nostro di tamponi misurato rispetto alla popolazione, a fronte di un numero di infetti decisamente inferiore.

 

Per calcolare un numero che si avvicini ai contagiati reali ci possiamo affidare alle stime a partire dalla letalità che il virus sembra aver avuto in Cina. Così ha fatto il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa che incrociando i dati sulla letalità plausibile cinese del virus (a proposito, altri dubbi stanno emergendo anche sull’attendibilità di Pechino) a quelli delle fasce d’età della popolazione italiana, ha ottenuto una stima terribile: con un certo grado di incertezza, i casi totali di coronavirus hanno probabilmente superato il milione. In questo modo si comprenderebbe il perché del tasso di letalità apparente italiano così alto rispetto ad altri paesi, come la Germania: conosciamo ancora troppo poco dell’epidemia e questo ci impedisce sia di controllarla che di capire le proporzioni di quanti ne muoiono rispetto a chi contrae l’infezione.

 

I tamponi

Come già dicevamo, i tamponi sono un elemento chiave per capire la diffusione dell’epidemia. Ma non è facile interpretarli. Infatti il confronto tra le persone contagiate e il numero di tamponi effettuati, che ci potrebbe aiutare a capire se gli aumenti giornalieri sono frutto di controlli più numerosi oppure della maggiore diffusione, soffre del fatto che i tamponi vengono effettuati più volte sulla stessa persona (per verificare che l’esito sia effettivamente negativo). Per di più quelli diffusi giornalmente dalla Protezione civile sono i dati riferiti ai test effettuati, e non a quelli che hanno dato esito: così non si può mettere in relazione diretta i contagi con i tamponi giorno dopo giorno.

 

I guariti

Anche il numero dei guariti risulta problematico. Secondo l’analisi di Gimbe e Youtrend esiste una notevole – e preoccupante – eterogeneità tra i dati che le regioni inviano alla Protezione civile: alcune includono tra i guariti chi ha ricevuto due esiti negativi, altre chi è ancora in attesa della doppia conferma, altre ancora i pazienti che semplicemente vengono dimessi dall’ospedale perché non più in condizioni critiche. Così però il pubblico perde un altro pezzetto del puzzle.

 

I morti

E infine il dato più tragico, quello dei decessi. Per diverse settimane è sembrata l’unica ancora di realtà a cui affidarsi: fare i tamponi solo ai pazienti più sintomatici – cioè coloro con maggiore probabilità di morte – ha portato questo indicatore a essere più credibile rispetto a quello dei casi positivi, a cui sfuggono tutti coloro che non ricevono un tampone. Ora però sappiamo che non possiamo fidarci nemmeno di quel numero. Da settimane i sindaci hanno denunciato la mancanza di test per chi muore in casa. E i numeri dell’Istat della settimana scorsa lo hanno dimostrato: nei comuni più colpiti si sono verificati circa 10mila morti in più rispetto a quelle dichiarate dalla Protezione civile. Ma anche in questo caso rimangono dei dubbi: ci sono problemi di selezione dei comuni scelti dall’Istat che sovrastimano questo delta e potrebbero aver influito anche altri fattori (con il lockdown è probabile che si siano verificati meno incidenti stradali mortali, per dirne una). Insomma, non abbiamo ancora gli strumenti per definire con chiarezza quanti siano morti per il Covid in Italia. Sicuramente sono tanti, e saranno tantissimi. Per farci un’idea della potenza di fuoco del nemico bastano i numeri elaborati dall’Eco di Bergamo e l’agenzia di data analysis InTwig: in Val Brembana e in Val Seriana, nel bergamasco, è probabile che quasi metà della popolazione sia stata infettata dal virus.

Per tutte queste ragioni i numeri dell’epidemia, più di ogni altra cosa, ci insegnano che conosciamo ancora pochissimo degli effetti che il virus sta avendo sulla nostra vita. Stiamo conducendo una guerra contro un nemico invisibile e con una benda sugli occhi.

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