"Noi dell’orchestra non possiamo suonare distanziati e con le mascherine in una buca con altre 75 persone, racconta Pino Ettorre, primo contrabbasso del Teatro La Scala di Milano (foto LaPresse)

Il teatro in quarantena

Valeria Sforzini

Non esiste smart working per attori, musicisti di orchestra e ballerini. Viaggio in un mondo che resistete con tenacia, ma che è in ginocchio a causa del coronavirus

Il profumo amaro di polvere e legno, quello inconfondibile che sprigiona dalle poltroncine di velluto e dai listoni scricchiolanti del pavimento, manca a tutti. Agli appassionati che si godono lo spettacolo dagli stessi posti della platea che rinnovano con l’abbonamento annuale e a chi seleziona accuratamente le opere, i balletti e le prose da vedere nei momenti liberi della settimana. Ma manca anche e soprattutto a chi il teatro lo viveva tutti i giorni e ne aveva fatto la propria vita, e che sa meglio di chiunque altro che su un palco, in una buca, dietro le quinte o durante le prove, il metro di distanza da colleghi e compagni proprio non possa essere rispettato. Prima i sipari, poi uffici e laboratori e alla fine le porte: dall'inizio dell’epidemia di Covid-19 i teatri italiani sono stati chiusi progressivamente, fino alla serrata totale. Alla fine di febbraio al nord, e i primi giorni di marzo in tutto il resto del paese. L’incertezza sul futuro non permette di fare piani o pronostici, ma solo di ipotizzare degli scenari e cercare di essere pronti per quando arriverà il momento. Tutto dipenderà dall’andamento della curva dei contagi, dal contenimento del rischio, dalla scoperta di un vaccino o di una cura, dalle decisioni del governo. Fino a quando non si uscirà dalla situazione di emergenza, le programmazioni saranno interrotte e i dipendenti resteranno a casa. Qualcuno in smart-working, altri, dai musicisti dell’orchestra ai coristi, ai ballerini cercheranno di mantenersi in esercizio, ognuno nel proprio appartamento, ma senza una coreografia, uno spartito o una sceneggiatura da imparare e provare insieme, è tutto sospeso.

  

"In questo momento siamo di fronte a una tragedia che non ha niente a che vedere con l’ennesima crisi dei teatri lirici – spiega il sovrintendente del teatro La Fenice di Venezia, Fortunato Ortombina – I nostri lavoratori stanno lavorando da casa e sono quasi tutti in cassa integrazione. Qualcuno sta finendo le ferie che aveva a disposizione. E' una situazione molto dolorosa. Non ho ricordi di quando il nostro comparto ne abbia vissuta una simile". Nonostante i dati drammatici per il settore, il primo pensiero va ai numeri diffusi ogni sera dalla Protezione civile. "Il 3 aprile dovrebbe segnare una data di svolta, ma nessuno si illude – continua – non tanto per i teatri, ma perché dovrebbe verificarsi un crollo verticale del numero di infetti. Cifre a cui guardiamo come a un bollettino di guerra. Prima ripartiranno i lavori e poi faremo ritornare il pubblico. I calcoli che stiamo facendo ci portano a pensare che l’attività possa ricominciare in settembre". Dallo stato sono arrivati aiuti, ma lo stanziamento di un unico fondo destinato a tutte le imprese culturali non può fare miracoli. "Siamo quasi 300 dipendenti, e solo nel mese di marzo ho perso quasi due milioni di incasso – continua Ortombina - Se questa chiusura dovesse andare avanti fino al mese di luglio, parliamo di un danno di circa 7/8  milioni di euro. Adesso stiamo cercando di calcolare e mettere sul tavolo tutti i parametri per riuscire a determinare uno stato di salute dell’impresa Fenice quando riaprirà. Ma dobbiamo considerare che niente sarà più come prima, sarà una sorta di day-after".

 


 

Quando l’Italia è diventata “zona rossa”, al Teatro dell’Opera di Roma stavano cominciando i preparativi per la messa in scena della Turandot, con repliche previste fino al 5 aprile. "Quando possiamo ricominciare? Bella domanda – commenta Carlo Fuortes, sovrintendente della Fondazione del Teatro – Ora come ora ci vorrebbe una sfera di cristallo. L’unica cosa certa è che saremo in grado, a distanza di pochi giorni, di andare in scena con un’opera di repertorio, per dare il messaggio che anche il teatro può rinascere. Per il momento, il programma è stato rimandato all’anno prossimo, e la Turandot è stata spostata a marzo 2021". Le misure stanziate dal governo prevedono 130 milioni di euro per tutto il comparto dello spettacolo, voucher da spendere in teatro al posto del rimborso dei biglietti per gli spettatori che li avevano già acquistati, fondi di sostegno al reddito per i dipendenti e lo spostamento del pagamento di imposte e tributi. Basterà? "Le misure che sono state adottate ci consentono di andare avanti per alcuni mesi, ma se la chiusura dovesse proseguire fino all’estate sarà tutta un’alta cosa – spiega Fuertes – Le perdite di biglietteria fino al 4 aprile per Turandot e parte de Il Corsaro ammontano a 1 milione e 400 mila euro. Più è lungo il fermo più saranno gravi i problemi che si creeranno".

 

La sera del 4 marzo, proprio mentre Conte stava annunciando le misure del primo decreto, invece, al Teatro Petruzzelli di Bari stava andando in scena la prima dell’Adriana Lecouvreur. All’unica rappresentazione hanno potuto assistere solo gli abbonati al primo turno. Di lì a poco ci sarebbe stata la chiusura delle porte del teatro e la sanificazione delle sale e degli uffici. "Perché un’opera d’arte esista, ci vogliono un artista che la componga, dei musicisti che la eseguano e il pubblico. Se uno dei tre elementi viene a mancare, l’opera d’arte non esiste – spiega Massimo Biscardi, sovrintendente del Teatro Petruzzelli di Bari - Il nostro problema per il futuro è il pubblico. Non sappiamo quando la gente tornerà a essere tranquilla e potrà serenamente affollare platea e spalti. Il teatro si sta preparando a riprogrammare tutto il proprio futuro da settembre in poi. Mi sembra difficile  che si possa tornare completamente alla normalità prima della fine dell’estate. Sarà il caso, ad esempio, di fare più titoli d’opera con meno recite".

  

 

Le perdite economiche non sono l’unico problema. "Il teatro Petruzzelli è l’ultima delle fondazioni nate – continua Biscardi - negli ultimi cinque anni ha rincorso le altre fondazioni per arrivare allo stesso livello. Eravamo a buon punto, ma ora la nostra corsa ha subìto un rallentamento". L’obiettivo per tutti, per il momento, è riuscire a garantire la sicurezza dei dipendenti e degli spettatori, ma la vera sfida è rappresentata dal lungo periodo. "Il Petruzzelli è in una buona situazione economica e finanziaria, ma diventa un problema in prospettiva, per il domani". Nel caso in cui i teatri dovessero restare chiusi oltre al periodo estivo, gli aiuti dello stato dovrebbero diventare più consistenti: "Se la chiusura si prolungasse, servirebbe solo l’aiuto dello stato – aggiunge il sovrintendente del teatro La Fenice Fortunato Ortombina - Altrimenti nessuno di noi è in grado di andare avanti. Noi non siamo istituzioni a scopo di lucro. La Fenice non è un’azienda che può mettere da parte quello che risparmia. Alla fine dell’anno dovremo essere in pareggio".

  

Ma se chi lavora nella comunicazione e nell’amministrazione ha la possibilità di portarsi il lavoro a casa, questo diventa estremamente più complicato per chi vede platea e palchetti dalla buca o dal palco. "Noi dell’orchestra non possiamo suonare distanziati e con le mascherine in una buca con altre 75 persone. – Racconta Pino Ettorre, primo contrabbasso del Teatro La Scala di Milano, che ha chiuso le attività a fine febbraio - Se faccio smart working? È veramente difficile definirlo tale. Mi sto esercitando, registro brani che carico sui social, ma lavorare insieme ai colleghi a distanza è impossibile. Nessuna piattaforma che io sappia è ottimizzata sulla parte audio, e il risultato è indegno per chi come me fa questo lavoro a un livello di professionalità molto alta". Sui social intanto stanno girando dei video che hanno per protagonisti i ballerini dei corpi di ballo dei teatri italiani, per ridare speranza e cercare di regalare un po’ di leggerezza a chi è chiuso in isolamento. Ma la realtà è diversa da quella che vede etoile volteggiare sul balcone o in cortile, tra i giocattoli dei bambini e i panni stesi ad asciugare. "A casa non c’è una struttura adeguata di pavimento. Tra fughe e mattonelle è molto pericoloso per un danzatore – racconta Enza Milazzo, ballerina del teatro San Carlo di Napoli – cerchiamo di arrangiarci con i tappeti, e io per esempio uso la penisola della cucina come sbarra. Non c’è spazio per gli esercizi che svolgevamo al centro della sala, come salti o virtuosismi. Gran parte della forma fisica si perde. Erano previsti balletti e opere per l’inizio dell’estate, ma se la situazione procederà in questo modo, rischiamo di perdere i contratti".

   

La speranza per tutti è che la cultura possa resistere per quando l’emergenza sarà finita e che possa esserci un ritorno alla normalità. "La priorità per il nostro paese è e deve restare la sanità – commenta il sovrintendente della Fenice Ortombina – E in questo momento voglio pensare alla funzione pubblica della cultura. Rispetto a un’industria privata, noi che facciamo vivere il settore dello spettacolo siamo ancora più obbligati a essere in forma per quando tutto questo sarà finito. Siamo una resistenza resiliente, invisibile e silenziosa in questo momento, ma che lavora per essere pronta quando le persone avranno bisogno di noi".

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