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La “regola dei 30 libri” secondo alcuni scrittori italiani

Simonetta Sciandivasci

Lasciateci nel caos! Marie Kondo e quei volumi da gettare via

Roma. Marie Kondo ha 30 libri in casa, più o meno quanti ne trovate in un orripilante caffè letterario o quanti ci viene da immaginare ne abbia il tizio che scrive cmq nei messaggi che ci invia su Messenger, ragione per la quale, dopo esserci assicurate che la sua foto profilo faccia schifo, desistiamo dal rispondergli. Quei pochissimi trenta hanno agitato e indignato molte persone perbene e di forti letture, ragionevolmente convinte (sarcasmo) che il molto florido mercato dei libri (sarcasmo) potesse risentire del libretto di istruzioni (o distruzioni, come dice Fedez) che Kondo dispensa nella serie Netflix di cui parlano e sparlano tutti da settimane, “Facciamo ordine con Marie Kondo”, ispirata a “Il magico potere del riordino”, il libro che l’ha resa la potenza che è. Quando uscì, tre anni fa, Annalena Benini scrisse su questo giornale: “Lo spietato metodo di Marie Kondo riguarda gli oggetti, ma viene la tentazione di applicarlo anche alle persone: tirarle giù dagli scaffali, metterle sul pavimento e chiedere: ‘Mi rendi ancora felice?’. Se la risposta è no, dire addio, con gentilezza”.

 

Gli indignati perbene hanno pensato: ma come si permette questa giapponese maniaca di venire a dirci che dobbiamo buttar via i libri; se per lei spolverare facilmente è più importante di avere sottomano tutti i Meridiani Mondadori e i Coralli Einaudi lo tenga per sé e non dia il cattivo esempio alle giovani generazioni. Qualcuno ha persino scritto che Kondo ha invitato l’umanità a bruciare le librerie e così lei è stata costretta a specificare che non ha mai fatto o detto niente del genere e che quella dei trenta libri non è una regola generale: è la sua.

 

“Forse la più deliziosa metafora del nostro tempo è che Marie Kondo venda milioni di copie d’un libro in cui c’è scritto di buttare tutto (anche i libri: sono oggetti come gli altri, e non sono irripetibili come certi vestiti) e nessuno dei feticisti dei libri se ne accorga: per scandalizzarsi ed ergersi in difesa dell’oggetto-libro, Kondo han dovuto vederla alla tele”, dice al Foglio Guia Soncini, che tutto è meno che una kondista: “Vivo in mezzo alla polvere, la maggior parte dei libri non li ho mai aperti, ma non importa; sono dal lato giusto del dibattito culturale: quello di chi, se vede arrivare la Kondo, chiama la buoncostume”.

 

Non è kondista neanche Nadia Terranova, scrittrice: “Marie è una giapponese crudele e come dice una mia amica i giapponesi procedono per amputazioni, noi invece siamo siciliani e procediamo per accumulo”. Anche accumulare è una mania e, di più, può diventare una malattia: lo abbiamo imparato grazie a Real Time, che per anni ci ha fatto vedere mini docu fiction su obesi americani che vivevano sommersi dalla propria immondizia, incapaci di gettar via anche i vasetti di yogurt. Dice Soncini: “Per chi non l’avesse vista, quella in cui Kondo ha detto di buttare libri era una casa di Los Angeles, un posto per definire la cui vocazione culturale rimando al Woody Allen di ‘Io e Annie’. Il tizio aveva una trentina di libri. Siam buoni tutti, a fare ordine così. Venga a fare la differenza in case dove toccherebbe buttarne migliaia”. A casa Terranova va così: “Non ho più spazio per le persone. Ora devo necessariamente diventare ricca per comprare una casa più grande”. E ospitare molta gente a cena? “No: per avere più spazio per i libri”. A casa di Elena Stancanelli, scrittrice, va cosà: “Accumulo ovunque finché posso, poi quando fare qualsiasi gesto, compreso mangiare e dormire diventa impossibile, e si arriva all’entropia e al collasso totali, riordino: trascorro due mesi in una gioia assoluta e penso di essere una persona di senso, e che persino che la vita abbia senso”. E poi? “Tutto torna come prima, naturalmente”. Dice Terranova che dai libri che ammonticchia s’aspetta che “prima o poi mi venga rivelato il senso della vita”. E’ per questo che non li getta via? “Per questo e perché sono di provincia, del sud e di provincia, figlia e nipote di insegnanti: a casa mia i libri sono un culto”. C’è stato un tempo in cui i libri erano persino uno status symbol e c’era chi si faceva riempire gli scaffali in alto di volumi finti (con tragici errori di cui non s’accorgeva nessuno, per esempio una collezione di “Tutti gli scritti di Saffo” in otto volumi, che la cronista vide, molto giovane, in un prestigioso salotto milanese). “Di questi tempi, mi sembrano uno status symbol al contrario”, dice Andrea Pomella, che non ha mai buttato un libro in vita sua perché “Ho troppo rispetto per il lavoro collettivo che c’è dietro per poter anche solo pensare di buttarne uno” e infatti ha comprato una nuova libreria, che però gli è stata montata storta e quindi ha dovuto chiamare qualcuno altro che la raddrizzasse – sarà colpa del Kindle se pure i falegnami e montatori di librerie hanno perso la mano?

 

S’è arresa all’opzione libreria nuova anche Stancanelli: “Mi ero decisa ad adottare un criterio preciso: per ogni libro che entra, deve uscirne uno”. E che ne fa di quello che esce? Lo butta dalla finestra a capodanno? “No, lo regalo o lo infilo negli scaffali sul mio pianerottolo, dove ho allestito un piccolo spazio di bookcrossing per i miei vicini. Lì, i libri rimangono per un po’ a disposizione di tutti, fanno il loro Purgatorio, poi li passo a un ragazzo che li rivende in un banchetto da queste parti”. Non è kondista neanche Stancanelli, ma c’è un però: “Ho buttato nel cassonetto, senza neanche aprirli, tutti i libri di un solo autore, tutte le volte che mi sono arrivati”. Chi? “Non posso dirlo, però è maschio, italiano, caucasico”.

 

Elisa Casseri, scrittrice anche lei, ha un metodo più duraturo (e si vede che è anche ingegnere) e dice: “Sono cresciuta in una biblioteca, convincendomi che tutta la mia vita sarebbe stata sistemata secondo la classificazione decimale Dewey. Quell’idea è morta quando ho visto l’espressione dei miei genitori mentre appiccicavo l’etichetta “O30 – Enciclopedia”, sotto l’enciclopedia. Oggi, i miei libri sono sistemati secondo una configurazione che li posizione sulla base di quanto li ho amati, quanto li rileggo, chi li ha scritti. Dormiamo tutti insieme, nella mia camera da letto, non esposti al pubblico”. Se vi si dovesse parare davanti un kondista, ditegli quello che ha detto a noi Soncini: “Tra i libri bisogna passeggiare, diceva Fruttero, e forse è lui il responsabile principale del mio vivere in un troiaio”.

 

E certo che è colpa di Fruttero.

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