Il magico potere del disordine e gli scherzi telefonici

Annalena Benini
Perché votarci al caos educativo o alla dittatura del riordino zen non vincerà il nostro senso di colpa. Annalena Benini racconta sul Foglio i figli, i genitori, i figli degli altri. Scrivete tutto quello che vi passa per la testa a [email protected].

Questa non è una carta di merendina abbandonata sul tavolo accanto alla cannuccia del succo di frutta, sopra un quaderno con la copertina rotta, tre tappi di penna morsicati, una matita spaccata in due, una tazza da cui spunta il telecomando e un cavo di qualcosa, anche se nessuno in famiglia è mai riuscito a scoprire di che cosa (da dieci mesi proviamo, a turno, a infilarlo in ogni computer, tostapane, televisore, macchina fotografica, lettore dvd, lavastoviglie o ferro da stiro, e non lo spostiamo perché abbiamo paura di trovare un giorno l’oggetto in cui va infilato il cavo, ma avendo perso per sempre il cavo). Questo non è disordine, è un atto creativo, ha detto la maestra d’inglese hippie: è entrata in casa per fare l’ultima lezione prima delle vacanze, si è seduta sul divano e ha sobbalzato sopra un dinosauro di plastica anche piuttosto acuminato, ma dice che l’ha letto sul New York Times, i figli devono crescere nel disordine, solo così troveranno liberamente la loro strada e diventeranno adulti coraggiosi: the importance of messy play, ripeteva la maestra americana addentando con entusiasmo un biscotto che qualcuno aveva nascosto dietro un cuscino del divano, mentre io cercavo il libro per la lezione di mia figlia, e questo libro era sparito, l’avevo visto fino al giorno prima sulla mensola della finestra, e vuoi cercare il tuo libro invece di farmi scherzi telefonici per favore?

 

Lo scherzo telefonico di solito funziona così: io sono in bagno, l’unico posto in cui si può davvero lavorare in pace, con un cuscino per terra, il computer sulla tavoletta del water e tutto quello che mi serve dentro il lavandino, e mi squilla il telefono, appare la scritta: numero sconosciuto, rispondo con terrore per il numero sconosciuto e dall’altra parte una voce contraffatta, risultato di due dita che stringono il naso, mi chiede se ho ordinato una pizza alla cipolla. Anche se sono in bagno con la porta chiusa sento le risate soffocate in salotto e ormai al dodicesimo scherzo telefonico ho imparato a fingere di crederci, e aggiungo ingredienti alla pizza e anzi ne ordino altre, per quelli del piano di sopra. Ma a casa nostra è arrivata mia madre per qualche giorno, e un pomeriggio mi ha telefonato in ufficio molto preoccupata giurandomi che non aveva ordinato nessuna pizza alla cipolla ma che un uomo molto strano insisteva per avere i soldi, e com’è possibile che abbia il mio numero di telefono, sei stata tu? No mamma è uno scherzo dei tuoi nipoti, lo fanno sempre, non ci badare. Mia madre ha riso, ma non troppo, e non si è mai tranquillizzata del tutto rispetto a quella pizza, io so che dentro di sé sospetta che qualcuno l’abbia ordinata davvero, è convinta che ci sia in giro un individuo pericoloso che minaccia la mia famiglia, un colpevole insomma, e quel colpevole, nonché individuo pericoloso per la famiglia, non posso che essere io.

 

Ma alla fine ho trovato il libro per la lezione di inglese: era sotto una piccola montagna di giornali, nemmeno un metro di altezza. Evidentemente qualcuno aveva pensato di fare ordine in salotto ammucchiando cose che avevano in comune il fatto di essere state costruite con la carta, quindi oltre ai giornali di due anni fa ho trovato bugiardini di medicine, volantini pubblicitari, buste vuote ma anche raccomandate arrivate dieci giorni prima, bollette scadute, una carta d’identità e la pagella scolastica, fondamentale per l’iscrizione alla scuola media. La magica bellezza del disordine è che alla frustrazione di non trovare mai quel che serve corrisponde una gioia violenta se all’improvviso, rovistando alla ricerca di cose minori, compaiono oggetti che la mente non aveva nemmeno il coraggio di pensare, per non provare mai più l’angoscia della sparizione, quel dolore allo stomaco formato da senso di colpa e paura. La felicità collettiva per il ritrovamento della pagella ha convinto ancor più la maestra d’inglese della teoria del New York Times: il disordine aiuta a crescere individui moralmente coraggiosi, stimola la creatività e libera dall’ansia. Sarebbe un sollievo abbandonarsi a queste teorie e abbracciare serenamente il caos, come diceva Nora Ephron (che aveva in verità la fissazione per l’ordine e il controllo), almeno per smettere di urlare: metti in ordine la tua stanza, raccogli i vestiti da terra, raccogli gli asciugamani in bagno, metti i tappi alle penne, non sono la schiava Isaura, e anche, a sorpresa: fammi vedere il libro che ti ho comprato la settimana scorsa, quello che hai detto non posso vivere senza ti prego mamma non ti chiederò mai più niente.

 

Se vedo la faccia di mio figlio gonfiarsi e gli occhi diventare lucidi, ho la certezza che ha perso il libro, che l’ha portato a scuola e dimenticato là, e la scuola adesso è chiusa e il libro è stato inghiottito, oppure l’ha lasciato a casa di qualcuno, o al parco, o semplicemente l’ha perso dentro casa e sono trionfante, con la parte peggiore di me, per averlo scoperto così in fretta, ma sono anche sconfitta, con la parte migliore, perché guardare la sua faccia che si gonfia è come ammettere di guardare in uno specchio: il suo disordine è anche il mio, la sua disperazione (momentanea) è anche la mia, quel libro perduto è anche la mia perduta possibilità di ordine.

 

Per contrastare il caos, quando la tendenza esistenziale è il caos, ma non si riesce a essere felici nel caos, l’unica salvezza è quella giapponese, proposta da Marie Kondo in un bestseller mondiale (“Il magico potere del riordino”, Vallardi) che mi spaventa perché impone di chiedere ai vestiti e agli oggetti se sono felici prima di decidere che per loro è arrivata l’ora della fine. L’unica possibilità, insomma, è buttare via molte cose, e farlo spesso. All’insaputa di tutti. Se chiedi a tuo figlio: ti serve ancora il triciclo di quando avevi due anni, quello senza una ruota e con il manubrio rotto?, lui risponderà con entusiasmo e completa adesione al triciclo: sì! E andrà a prenderlo e lo abbraccerà e ci giocherà con passione per dieci minuti almeno, si ferirà con la plastica rotta e dopo avere pianto per la ferita dimenticherà il triciclo in bagno. La madre infida, ispirata da Marie Kondo, non dirà nulla, ma prenderà di nascosto un sacco nero della spazzatura e ci infilerà il triciclo e molte altre cose, prima di uscire nella notte a buttare tutto nel cassonetto della plastica. Dovrebbe dire a questi oggetti, prima di infilarli nel sacco nero: “Grazie per la strada fatta insieme, buon viaggio”, come ordina Marie Kondo, ma più probabilmente starà in silenzio e sentirà un sollievo misto a senso di colpa scioglierle l’ansia da disordine. Così, dopo avere riempito alcuni sacchi neri in assoluto tormento e segretezza e essermi di nuovo chiusa in bagno a lavorare, ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto. Ho risposto tranquilla, pensando alla solita pizza con cipolla. Ma una voce non contraffatta e davvero minacciosa ha detto: “Abbiamo trovato un triciclo rotto che spuntava dal cassonetto e piangeva, l’abbiamo riportato a casa, sappiamo che sei stata tu, ce l’ha detto lui”.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.