Persone in attesa del discorso di Matteo Salvini a Bibbiano (LaPresse)

Il vero partito di Bibbiano

Claudio Cerasa

Una rete di psicologi e onlus ossessionata dalla caccia a mostri che non lo erano (come poi dimostrato dai tribunali). Il giustizialismo applicato all’infanzia: trasformare gli abusi presunti in abusi reali. Contro le regole e lo stato di diritto

Almeno fino a oggi, l’incredibile caso di Bibbiano, con il suo presunto sistema illecito di gestione dei minori in affido, ha appassionato buona parte dell’opinione pubblica italiana più per questioni di forma che per questioni di sostanza. Le questioni di forma sono quelle relative alla polemica politica tra il Movimento cinque stelle e il Partito democratico e nelle ultime settimane, intorno a questo caso, i due partiti hanno scelto allegramente di insultarsi stando sempre bene attenti però a disinteressarsi in modo scientifico al merito dell’indagine portata avanti dalla procura di Reggio Emilia.

  

E così da una parte, a causa del coinvolgimento nell’indagine del sindaco del comune di Bibbiano – Andrea Carletti, del Pd, indagato per concorso in abuso di ufficio per aver “omesso di effettuare una procedura a evidenza pubblica per l’affidamento del servizio di psicoterapia che aveva un importo superiore a 40 mila euro” – il Movimento cinque stelle ha pensato bene di utilizzare l’indagine giudiziaria per trasformare il Pd nel “partito di Bibbiano, sottintendendo insomma che i compagni del Pd forse non hanno più a che fare con il Pci, ma al contrario di quello che si potrebbe credere non hanno mai smesso di mangiare i bambini.

 

Dall’altra parte, invece, il Partito democratico non si è limitato a dare degli “sciacalli” ai dirigenti del Movimento cinque stelle ma ha contribuito a far sapere in giro che in verità ad aver dato un notevole sostegno economico alla onlus sotto accusa a Bibbiano è stato proprio il Movimento cinque stelle, il cui gruppo consiliare piemontese mesi fa ha fatto una donazione da quasi 200 mila euro ad alcune onlus, compresa quella (la Hansel e Gretel) accusata di aver organizzato a Bibbiano un presunto sistema illecito di gestione dei minori in affido.

  

Entrambi i partiti sono stati però ben lontani dall’occuparsi come dicevamo del merito dell’indagine perché il merito fa paura e perché doversi occupare del merito significherebbe essere costretti ad aprire gli occhi su una serie di tematiche delicate, legate alla lotta agli abusi e in particolare ai finti abusi, che la procura di Reggio Emilia, in fondo, non ha fatto altro che ricordare. La storia di Bibbiano raccontata dai pubblici ministeri di Reggio Emilia descrive, come ha sintetizzato bene il Post di Luca Sofri, un sistema all’interno del quale psicologi e assistenti sociali, per guadagnare denaro attraverso lo strumento dell’affidamento dei bambini, avrebbero falsificato documenti e manipolato le dichiarazioni dei bambini in modo che emergessero situazioni di abusi e violenze in famiglia – che in realtà non sarebbero mai avvenute – tali da giustificare il loro affido ad altri nuclei famigliari. I minori venivano poi mandati in una struttura pubblica di Bibbiano, La Cura, nata come un centro di sostegno per i minori vittime di violenza e abuso sessuale, che era stata data in gestione a una onlus di Moncalieri, la Hansel e Gretel, un centro privato specializzato in abusi su minori gestito da Claudio Foti e da sua moglie, entrambi indagati. Le indagini naturalmente ci diranno se i magistrati avranno la forza oppure no di dimostrare con prove schiaccianti la rilevanza penale di ciò che hanno esposto nei propri teoremi.

   

Ma al di là dei singoli reati contestati ciò che meriterebbe di essere studiato con attenzione anche da partiti come il M5s e il Pd (e anche la Lega, il cui leader ieri è stato in visita proprio nel paese emiliano) è la vera storia nascosta nel dramma di Bibbiano. Una storia dove la politica è qualcosa in più di una semplice passante (secondo l’accusa Carletti, nel 2016 avrebbe affidato la gestione del centro La Cura a Foti nonostante la referente del servizio di neuropsichiatria infantile della Asl di Montecchio Emilia avesse detto che non c’era bisogno di rivolgersi agli psicologi del centro Hansel e Gretel, specificando che nella Asl di Reggio Emilia c’erano figure professionali in grado di gestire i bambini segnalati dai servizi sociali). Ed è una storia al centro della quale vi è una incredibile costellazione di onlus, di fondazioni e di associazioni che da anni ha scelto di affrontare il tema della lotta contro gli abusi utilizzando uno schema finalizzato a rovesciare le coordinate dello stato di diritto, a trasformare ogni abuso sospetto in un abuso certo e a combattere con tutte le forze possibili quelle che la stragrande maggioranza della comunità scientifica (psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili e criminologi) considera le giuste linee guida da seguire per l’esame del minore in caso di abuso sessuale: la famosa Carta di Noto, stilata nel 1996 e aggiornata nel 2002, che costituisce da anni il riferimento principale per la giurisprudenza su queste tematiche ma che viene considerata un ostacolo dagli psichiatri e dagli psicologi più disinvolti in quanto troppo rispettosa delle garanzie degli indagati e troppo rigida nei protocolli con cui si preoccupa di “garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti tecnici e la genuinità delle dichiarazioni, assicurando nel contempo al minore la protezione psicologica”.

 

Claudio Foti, gli psicologi del centro Hansel e Gretel e del Cismai e la teoria che l’abuso sui minori c’è sempre, anche se non provato

Tra coloro che in Italia hanno deciso da tempo di combattere contro i rigidi paletti imposti dalla Carta di Noto vi è uno dei protagonisti dell’indagine di Reggio Emilia, lo psicoterapeuta Claudio Foti, uno degli animatori della onlus Hansel e Gretel, che fino a qualche anno fa gravitava attorno all’orbita di un’associazione molto importante di nome Cismai. Secondo Foti, la Carta di Noto darebbe troppa importanza alla suggestionabilità dei bambini nel corso delle sedute di psicoterapia e impedirebbe allo psicologo di aiutare i minori nella ricostruzione di possibili eventi traumatici del passato. In altre parole, ciò che l’indagine di Bibbiano ha messo sotto l’occhio del riflettore non è tanto il presunto sistema criminale costruito attorno alla Cura ma è lo scontro tra due metodologie diverse nella lotta contro gli abusi i cui profili fanno parte di due grandi famiglie italiane: da un lato garantisti e dall’altro i giustizialisti. Non c’è inchiesta che riguardi presunti abusi dei minori in cui le due famiglie non si confrontino tra di loro e non c’è una sola grande inchiesta che riguardi i presunti abusi dei minori in cui in qualche modo non spunti o il nome del Cismai o il nome di Claudio Foti.

  

È successo ai tempi dell’inchiesta sui famigerati pedofili satanisti della bassa modenese, quando tra il 1997 e il 1998 sedici bambini vennero allontanati dalle proprie famiglie tra Massa Finalese e Mirandola, piccoli centri abitati della bassa modenese, su indicazione dei servizi sociali, sulla base di un’inchiesta, che i magistrati seguirono con l’aiuto del Cismai, che il tempo dimostrò essere farlocca. E’ successo anche nel 2007 quando a Rignano Flaminio, nell’inchiesta sulla falsa pedofilia alla scuola materna Olga Rovere, il dottor Marco Mansi, allora pm di Tivoli, affidò le indagini a un perito di nome Claudio Foti (allora affiliato al Cismai). In quel contesto, come qualcuno ricorderà, le valutazioni cliniche sui bambini di Rignano vennero svolte presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che era un centro affiliato Cismai, e come psicologa referente per le valutazioni venne scelta la dottoressa Catia Bufacchi, allora referente regionale del Cismai per il Lazio. Quando nella primavera del 2007 il tribunale del Riesame di Tivoli decise di scarcerare le cinque persone ingiustamente incriminate a Rignano Flaminio dedicò uno spicchio della sua ordinanza proprio al lavoro fatto da una consulente del Cismai, la dottoressa Fraschetti, a cui l’allora pubblico ministero, sempre Marco Mansi, scelse di affidare la prima perizia sui bambini della scuola Olga Rovere. Quella perizia fu il fulcro dell’ordinanza di custodia cautelare contro i cinque di Rignano Flaminio ma quella perizia secondo il tribunale del Riesame presentava qualcosa di strano: “Allarmanti sì da inficiare ogni passo della relazione del consulente del pm erano diversi aspetti sempre emergenti dagli atti, tenuto soprattutto conto della palese violazione delle raccomandazioni contenute nella così detta Carta di Noto, unanimemente riconosciuta quale testo guida per l’esame dei minori in caso di abuso”.

 

Da Mirandola a Rignano Flaminio, lo stesso schema inquisitorio, gli stessi consulenti dei pm, e l’appoggio di certa politica

Anche ai tempi di Rignano Flaminio, come oggi, la vicenda giudiziaria in qualche modo si andò a saldare con la politica. Nel 2008, l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, partito allora alleato con il Pd di Walter Veltroni, inserì nella lista dei candidati per il Senato nel Lazio la capa dell’Associazione dei genitori Rignano Flaminio, Roberta Lerici (ricandidata poi cinque anni dopo anche da Centro democratico di Bruno Tabacci, all’epoca alleato con il Pd di Pier Luigi Bersani), e poco tempo dopo sempre l’Idv nominò la Lerici come responsabile delle politiche per l’infanzia del partito. In quei giorni però, nei giorni di Rignano, ci fu un altro volto che si fece conoscere e che diventò famoso non solo per aver sposato in tutto e per tutto le tesi degli accusatori ma per aver fornito loro tutto il supporto necessario per portare avanti la caccia alle streghe. Il volto in questione era quello dell’allora presidente del Cismai, Roberta Luberti, che dieci anni dopo, forte del suo approccio critico nei confronti della garantista Carta di Noto, sarebbe stata lanciata, il 16 novembre del 2017, da un partito italiano come “il profilo perfetto” per il ruolo di garante per l’infanzia e l’adolescenza.

  

Quel partito è lo stesso che oggi definisce i suoi avversari come appartenenti al partito di Bibbiano. Lo stesso che non ha fatto una piega quando ha scoperto che un suo esponente politico, Rossella Ognibene, già candidato sindaco di Reggio Emilia e già capogruppo del movimento al comune di Reggio, era diventato avvocato di una delle indagate nell’inchiesta di Bibbiano, Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali dell’Unione Val d’Enza, finita ai domiciliari. Al centro del caso di Reggio Emilia c’è dunque qualcosa di più importante di un caso di cronaca giudiziaria.

 

C’è uno scontro tra due modi diversi di intendere la giustizia. C’è uno scontro tra due culture giuridiche differenti. C’è lo scontro tra dottrine ufficiali e dottrine alternative. C’è uno scontro tra giustizialisti e garantisti. C’è uno scontro tra chi gioca con la cultura del sospetto e chi la combatte. C’è infine un metodo di lavoro impostato su una dottrina alternativa e fieramente giustizialista che è riuscito a conquistare terreno grazie a un favorevole ecosistema mediatico all’interno del quale la cultura del sospetto tende spesso a trionfare, complici anche alcuni politici che, giocando con la grammatica del più becero populismo penale, hanno dato un contributo sostanziale alla trasformazione del garantismo in una forma occulta di innocentismo, in una forma collaterale di sostegno a coloro che il processo mediatico ha preventivamente trasformato in mostri (concetto ieri perfettamente e autorevolmente sintetizzato da Ornella Vanoni, che ha così tuonato sul suo profilo Twitter: “Queste persone dovrebbero andare in galera senza processo”).

  

 

Ieri Matteo Salvini ha fatto visita a Bibbiano, “prima di tutto da papà”, spiegando di aver organizzato il viaggio per esprimere solidarietà “a chi non si può difendere”. Se il ministro avrà avuto la pazienza di aprire bene gli occhi si sarà accorto che il caso Bibbiano purtroppo parla anche ai partiti che giocano con il cappio in Parlamento. Si scrive Bibbiano, si legge Italia.