Foto Heather Paul via Flickr

Pensavo fossimo invasi e invece invadiamo. Il cibo italiano è la nostra artiglieria

Camillo Langone

È ora di piantarla con lo champagne-ma-non-posso

Pensavo fossimo invasi e invece invadiamo. Per chi come me è ossessionato dall’invasione africana è un sollievo sapere, giusto fra Natale e Capodanno, che esiste pure un’invasione italiana ed è qualcosa che non c’entra nulla con le guerre d’Africa vanitose e ottuse (“I benefici del colonialismo erano inferiori rispetto ai costi del mantenimento delle colonie”, Sabbatucci-Vidotto, “Storia contemporanea”) dichiarate da quelle cime di Crispi e Mussolini. Stavolta l’invasione è pacifica e redditizia e di respiro universale. “Quali paesi dominano le tavole del mondo?” si domanda l’Economist e sotto, in forma di infografica, ecco la risposta: l’Italia e poi, parecchio dietro, il Giappone, e poi, ancora più indietro, la Turchia, il Messico, la Thailandia… La Francia, ed è un piacere constatarlo in giorni di champagne e foie gras, arranca a centro classifica. L’elenco degli esportatori netti è seguito da quello degli importatori e si evince che il massimo deficit alimentare è sofferto da Cina e Stati Uniti, i due imperi potentissimi in molti campi ma non in quello della pappatoria. E la Coca-Cola? E gli involtini primavera? Pesano meno del previsto, e conterà il fatto che imbottigliamento e confezionamento avvengono in Italia con materie prime almeno in parte italiane.

 

Il primato negativo del paese delle multinazionali è un’altra consolazione: se piccolo non è e non può essere bello (come puoi esportare se non hai i soldi per fiere ed e-commerce?) anche enorme non è automaticamente bellissimo. Orazio ha sempre ragione: aurea è la medietà, la virtù sta nel mezzo.

 

La nostra industria agroalimentare esporta nel mondo non soltanto sé stessa ma anche l’idea che in Italia si mangi bene e dunque si viva bene, e magari è davvero così e comunque bisogna far finta che sia così per affascinare gli stranieri alto-spendenti, unico segmento turistico su cui ritengo saggio puntare (ogni volta che in tangenziale a Borgo Panigale vedo atterrare Ryanair piango sulle sorti di Bologna, il cui centro è stato repentinamente e completamente stravolto dal turismo poveraccio). Io giro senza tregua il bel paese ch’Appennin parte e solo in Langa ho visto una percentuale sufficiente di turisti ricchi, spesso svizzeri forse perché i loro avi si sono guardati bene dal dichiarar guerra all’Africa e alla Russia, preferendo accumular quattrini.

 

Non è che in Langa si vada per visitare i luoghi di Cesare Pavese, ad Alba e dintorni ci si va per mangiare tartufi e fassona e bere Barolo e Barbaresco, tutta roba che costa. Poi quando i turisti francofoni e germanofoni rivalicano le Alpi si portano a casa i prodotti, li gustano con gli amici e una volta finiti li riordinano, se li trovano su internet. E’ probabile che l’interesse per la nostra enogastronomia si riverberi su altri campi, quantomeno sull’arte e sul design. Ma affinché il circolo virtuoso si chiuda bisogna che l’enogastronomia sia di livello, bisogna dunque affrancarsi dal prosecco, dai milioni o miliardi di bottiglie veneto-friulane a basso prezzo che vagano per il mondo con quella triste immagine da champagne-ma-non-posso. Io che del prosecco sono nemico acerrimo mi scopro terrorizzato dall’esplosione della bolla del prosecco, per motivi biecamente economici: il detestabile frizzantino costituisce tanta parte del surplus vinicolo che a sua volta costituisce tanta parte del surplus agroalimentare enfatizzato dall’Economist…. Urge che il Veneto, come l’Italia intera, si faccia conoscere per ciò che è: territorio enologicamente plurale.

 

Pensavo fossimo invasi e invece invadiamo, e adesso bisogna esserne consapevoli, bisogna essere fieri dei nostri avi che si sono inventati prodotti così geniali, orgogliosi dei nostri produttori che sopravvivono e anzi esportano nonostante la palla al piede dello Stato italiano. Bisognerebbe anche ridurre il peso della suddetta palla, però questo sarebbe un altro miracolo (umanamente impossibile innalzare gli elettori italiani al livello dei produttori italiani).

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).