Papa Francesco ha impartito la benedizione Urbi et orbi dalla Loggia centrale di San Pietro (LaPresse)

L'appello di Papa Francesco: "In Terra Santa due popoli e due stati"

Matteo Matzuzzi

Il medio oriente al centro del messaggio natalizio del Pontefice. Un pensiero per tutti i bambini che, dalla Siria all'Africa, vivono in zone del mondo in cui la pace e la sicurezza sono minacciate 

Roma. “Invochiamo dal Signore la pace per Gerusalemme e per tutta la Terra Santa; preghiamo perché tra le parti prevalga la volontà di riprendere il dialogo e si possa finalmente giungere a una soluzione negoziata che consenta la pacifica coesistenza di due stati all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti”. E’ il primo appello che il Papa fa durante la lettura del Messaggio natalizio che ha preceduto la solenne benedizione Urbi et orbi impartita dalla Loggia centrale della Basilica vaticana. Il Pontefice ha descritto un mondo sul quale "soffiano venti di guerra" e dove "un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale". Come di consueto, Francesco ha citato le diverse aree di tensione, ma è il medio oriente a rappresentare il cuore della riflessione: “Vediamo Gesù nei volti dei bambini siriani, ancora segnati dalla guerra che ha insanguinato il paese in questi anni”. L’auspicio è che la Siria “possa ritrovare finalmente il rispetto della dignità di ogni persona, attraverso un comune impegno a ricostruire il tessuto sociale indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa”. E poi l’Iraq, “ancora ferito e diviso dalle ostilità che lo hanno interessato negli ultimi quindici anni”, lo “Yemen, dove è in corso un conflitto ancora in gran parte dimenticato”.

 

La preghiera del Papa, poi, è rivolta ai bambini dell’Africa, “soprattutto quelli che soffrono in Sud Sudan, in Somalia, in Burundi, nella Repubblica democratica del Congo, nella Repubblica centroafricana e in Nigeria”. Quindi, un pensiero al Venezuela e all’Ucraina, prima di ricordare il recente viaggio in Myanmar e Bangladesh: “Auspico – ha detto il Pontefice – che la Comunità internazionale non cessi di adoperarsi perché la dignità delle minoranze presenti nella regione sia adeguatamente tutelata”.

 

Un passaggio del discorso è stato poi dedicato alle tensioni “nella penisola coreana”, affinché “si possano superare le contrapposizioni e accrescere la fiducia reciproca nell’interesse del mondo intero”. Infine, Bergoglio è tornato a sottolineare il dramma “dei molti bambini costretti a lasciare i propri paesi, a viaggiare da soli in condizioni disumane, facile preda dei trafficanti di esseri umani. Attraverso i loro occhi – ha chiosato Francesco – vediamo il dramma di tanti migranti forzati che mettono a rischio perfino la vita per affrontare viaggi estenuanti che talvolta finiscono in tragedia”.

 

E proprio i migranti, ieri sera, sono stati al centro dell’omelia della messa della notte celebrata dal Papa in San Pietro. “Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa”. A Betlemme, ha aggiunto Francesco, “in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa”.

 

Nei passi di Giuseppe Maria, ha sottolineato Bergoglio, “oggi si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente”. Maria e Giuseppe, “per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole”.

 

 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.