Papa Francesco (foto LaPresse)

Gli auguri del Papa alla curia: “Basta con la logica dei complotti o dei finti martiri”

Matteo Matzuzzi

Francesco ai cardinali riuniti per lo scambio degli auguri natalizi si scaglia contro “il cancro che porta all’autoreferenzialità, i traditori di fiducia e gli approfittatori”

Roma. “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”. Parte così, il Papa, citando la massima di mons. De Mérode, nel consueto discorso natalizio alla curia romana. Già l’incipit fa capire che il discorso non si discosterà troppo dalla linea tenuta negli ultimi anni. E infatti, le parole successive confermano il sospetto. Francesco richiama il “primato diaconale relativo al Papa” e ricorda che “altrettanto diaconale è di conseguenza il lavoro che si svolge all’interno della curia romana ad intra e all’esterno ad extra”. Da questo punto di vista, aggiunge il Pontefice, “il richiamo ai sensi dell’organismo umano aiuta ad avere il senso dell’estroversione, dell’attenzione a quello che c’è fuori”. E questo “è molto importante per superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano”. Quindi, parla dell’altro pericolo, “ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggiore vigore al corpo e alla riforma, ma – non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità – si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si autodichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’, invece di recitare il ‘mea culpa’. Accanto a queste persone – aggiunge Francesco – ve ne sono poi altre che ancora operano nella curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella zperanza che trovino nella pazienza della chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene”.

 

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Quindi, il Papa spiega che “i dicasteri della curia romana devono operare in maniera conforme alla loro natura e alla loro finalità: nel nome e con l’autorità del Sommo Pontefice e sempre per il bene e al servizio delle chiese. Essi sono chiamati ad essere nella chiesa come delle fedeli antenne sensibili: emittenti e riceventi. Antenne emittenti in quanto abilitate a trasmettere fedelmente la volontà del Papa e dei superiori”. Insiste molto, Bergoglio, su tale concetto, ricordando che “la parola fedeltà per quanti operano presso la Santa Sede assume un carattere particolare, dal momento che essi pongono al servizio del Successore di Pietro buona parte delle proprie energie, del proprio tempo e del proprio ministero quotidiano”. E però, “l’immagine dell’antenna rimanda altresì all’altro movimento, quello inverso, ossia del ricevente. Si tratta di cogliere le istanze, le domande, le richieste, le grida, le gioie e le lacrime delle chiese e del mondo in modo da trasmetterle al vescovo di Roma al fine di permettergli di svolgere più efficacemente il suo compito e la sua missione di principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione”.

 

Il Papa poi ha accennato ad “alcuni aspetti fondamentali a partire dai quali non sarà difficile, nel prossimo futuro, elencare e approfondire gli altri campi dell’operato della curia”. E cioè, la curia e il rapporto con le nazioni, la curia e le chiese particolari, la curia e le chiese orientali, la curia e il dialogo ecumenico, la curia e l’ebraismo, l’islam e le altre religioni – “il dialogo è costruito su tre orientamenti fondamentali, il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni” – ha sottolineato il Pontefice, che augurando il buon Natale ai membri della curia, ha ricordato che “una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede, che potrebbe realizzarsi quando arriverà a coinvolgere il cuore, l’anima, lo spirito e tutto il nostro essere, quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore, quando permettiamo alla stella di Betlemme di guidarci verso il luogo dove giace il Figlio di Dio, non tra i re e il lusso, ma tra i poveri e gli umili”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.