Papa Francesco con il cardinale Angelo Sodano (foto LaPresse)

Il Papa alla curia: "Non siamo più nella cristianità, questo è un cambiamento d'epoca"

Matteo Matzuzzi

Francesco augura buon Natale al personale dei dicasteri curiali, congeda il decano Sodano e spiega la ragione profonda della grande riforma che vuole condurre in porto. Citando Carlo Maria Martini

E’ stato un discorso importante (qui il testo integrale) quello che il Papa ha pronunciato questa mattina davanti alla curia romana, riunita come da tradizione per lo scambio degli auguri natalizi. Importante non solo perché ha segnato il congedo del decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano, che diventa decano emerito (è stato contestualmente promulgato un motu proprio in cui il Papa dispone che il mandato del decano sarà d’ora in poi quinquennale, salvo un rinnovo), ma soprattutto perché Francesco ha spiegato la ragione primaria della riforma che cambierà il volto della struttura vaticana.

 

“Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza”, ha detto il Papa all’inizio del suo intervento. “Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: ‘Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi’ (ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa)”. “L’atteggiamento sano – ha aggiunto Francesco – è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento, della parresia e della hypomoné. Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più umano, e anche più cristiano. Sarebbe sempre un cambiamento esterno, ma compiuto a partire dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica”.

 

“Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: ‘Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa’. Da ciò siamo sollecitati a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede, affinché la direzione di questo cambiamento ‘risvegli nuove e vecchie domande con le quali è giusto e necessario confrontarsi’”.

 

Il Pontefice ha quindi delineato ancora una volta la missione che avrà la curia romana una volta che sarà approvata la grande riforma alla quale si lavora da ormai quasi sette anni. “Il mio pensiero va oggi ad alcuni fra i Dicasteri della Curia romana che con tutto questo hanno un esplicito riferimento già nelle loro denominazioni: la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; ma penso anche al Dicastero della Comunicazione e al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Quando queste prime due Congregazioni citate furono istituite, si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Ciò fu sottolineato da Benedetto XVI quando, indicendo l’Anno della Fede (2012), scrisse: ‘Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone’. E per questo fu istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per 'promuovere una rinnovata evangelizzazione nei paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di eclissi del senso di Dio, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo’. A volte ne ho parlato con alcuni di voi... Penso a cinque paesi che hanno riempito il mondo di missionari – vi ho detto quali sono – e oggi non hanno risorse vocazionali per andare avanti. E questo è il mondo attuale”.

 

A ogni modo, “la percezione che il cambiamento di epoca ponga seri interrogativi riguardo all’identità della nostra fede non è giunta, a dire il vero, all’improvviso. In tale quadro s’inserirà pure l’espressione ‘nuova evangelizzazione’ adottata da San Giovanni Paolo II, il quale nell’enciclica Redemptoris missio scrisse: ‘Oggi la chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo’. C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione”.

 

Infine, per far capire l’orientamento che fa da sfondo alla riforma, Francesco ha citato una celebre e controversa frase del cardinale Carlo Maria Martini: “La chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. [...] Solo l’amore vince la stanchezza”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.