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Non ci sono prove che insieme ai migranti arrivino i terroristi

Massimo Bordin

Un rischio da non trascurare ma che finora la statistica confina nella marginalità assoluta che compete a circostanze eccezionali

La nuova operazione della direzione distrettuale antimafia della procura di Palermo, annunciata con una certa enfasi dai giornali di due giorni fa, ieri era già praticamente scomparsa dalla carta stampata, con una sola eccezione che vedremo fra un momento. “Dalla Tunisia alla Sicilia. La rotta della Jihad verso l’Italia” era il titolo che presentava ai lettori della Stampa lo spessore della faccenda che peraltro si ridimensionava un poco leggendo l’articolo. Nell’inchiesta si sommano comunque temi di stretta attualità. I viaggi in gommone verso le coste siciliane di finti profughi, in realtà terroristi, un rischio da non trascurare ma che finora la statistica confina nella marginalità assoluta che compete a circostanze eccezionali, si saldano alla presenza di una rete operativa fra la Tunisia e la costa siciliana, guidata da tunisini residenti all’uno e all’altro capo del tragitto. Dunque un meccanismo oliato, parallelo ai flussi migratori. Facile per il lettore incrociare comunque le notizie e dedurre come insieme ai migranti arrivino i terroristi. Ieri però solo Il Dubbio dava la notizia che due dei tunisini inquisiti erano stati imputati e assolti per lo stesso filone di indagine in una inchiesta di due anni fa. Ora rientrano in gioco sulla base dei verbali di un terzo tunisino detenuto in Liguria per traffico di droga. La novità sta nella finalizzazione terroristica del traffico. L’inchiesta sarebbe importante, se non fosse per l’uso di un verbo usato dal pentito in premessa del suo racconto di veloci gommoni che trasporterebbero i terroristi suicidi. “Ritengo che...” dice il pentito. Tradotto vuol dire che prove non ce ne sono.

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