Un ritratto di Iosif Stalin (Olycom)

Uffa!

I contorti percorsi dell'odio e dell'amore nell'Europa tra le due guerre

Giampiero Mughini

Nel suo ultimo libro Florian Illies racconta vicende sentimentali nascoste che hanno riguardato alcune delle figure più tragicamente rilevanti degli anni '20 e '30, tra cui Stalin e Goebbels, ministro della propaganda di Hitler

Di quella febbricitante Europa delle lettere e delle arti tra le due guerre magistralmente esplorata dallo scrittore tedesco Florian Illies (L’amore al tempo dell’odio, Marsilio, 2022), non so quale personaggio o amore o tradimento raccontarvi per primo data la frastornante ricchezza di questo suo libro. C’è che io non lo avevo letto il libro precedente di Illies (1913. L’anno prima della tempesta, edito anch’esso in Italia da Marsilio), pubblicato in oltre venti lingue e la cui costruzione saggistica immagino similare a quella del libro da cui sto partendo. Ossia mettere sotto l’ingranditore narrativo tutto quanto attiene a un dato momento psicologico e sentimentale della storia della cultura europea, pedinarne giorno per giorno i protagonisti intellettuali, scovarne le luci e le ombre tanto nella loro scena pubblica che in quella privata e meglio ancora le contraddizioni talvolta lampanti tra l’una e l’altra. 

E a proposito di contraddizioni tra sfera pubblica e sfera privata non credo di avere mai letto un libro in cui la dissacrazione del matrimonio sia così totale come in questo di Illies. Non c’è uno dei vibranti personaggi su cui lui punta i riflettori che non metta assieme in un dato momento della sua vita tanto una moglie/marito quanto un paio di amanti. Non c’è “amore”, in questo tempo dell’“odio” che sarebbe sfociato nelle carneficine della Seconda guerra mondiale, che non sia accompagnato dai “tradimenti” i più spudorati. Stando alle triangolazioni sentimentali perlustrate da Illies – ci siano di mezzo Pablo Picasso, Anaïs Nin, Bertolt Brecht e mille altri – ci troviamo dinnanzi a un vero e proprio modus vivendi radicalmente avverso alla monogamia. Quanto al valore del matrimonio come istituzione molti tra i protagonisti di questo libro condividerebbero senz’altro quel che ne pensava Gottfried Benn (nato nel 1886, morto nel 1956), uno dei massimi scrittori e poeti tedeschi del Novecento: “Per l’uomo esiste solo l’illecito, il disordine, l’orgasmo. Tutto ciò che sa di legami è contrario alla sua natura. Il matrimonio invece è fatto di questioni economiche, questioni dietetiche, momenti di socialità, interessi comuni  – tutte cose che silurano irrimediabilmente il sesso”. 

E tuttavia il cuore di questo libro sta altrove, nel numero infinito di personaggi e relative vicende personali che Illies ci restituisce come se stessero avvenendo innanzi ai nostri occhi. Ne trascelgo due. Una riguarda l’eroe negativo per antonomasia di tutto il Novecento, Giuseppe Vissarianovich detto Stalin. C’è che la sera dell’8 novembre 1932 al Cremlino è previsto il festeggiamento del quindicesimo anniversario del gran colpo bolscevico dell’Ottobre 1917. Stalin e sua moglie Nadja vi si apprestano con cura. Seggono uno dirimpetto all’altra, Stalin che ingoia una sorsata di vodka dopo l’altra e che non si perita di fare il galante con un’ospite al suo fianco. La moglie imbarazzatissima manifesta intanto il suo dolore per la carestia (provocata dalla politica del governo) che sta mietendo vittime a centinaia di migliaia in Ucraina. Stalin per tutta risposta alza il bicchiere e brinda “Morte ai nemici dello stato”. La sola che non leva il suo bicchiere nel brindisi è sua moglie. Al che lui la rimbrotta pesantemente. Nadja si alza e se ne va. Quando a notte fonda Stalin rientra a casa si lascia cadere sulla sua branda da campo, ciò che fa spesso. Alla mattina lo svegliano dicendogli che sua moglie si è sparata un colpo di revolver alla testa, cosa che sembra farlo impazzire di dolore. Scrive Illies: “Dopo il suicidio della moglie Iosif Stalin si avvicina sempre di più alla famiglia della defunta. A suo fratello Pavel e a sua moglie Zenia, a sua sorella Anna e a suo marito Stanislas […]. Per qualche tempo tutto fila liscio. Solo nel 1938 i cognati verranno sterminati in blocco dagli scherani del dittatore”. Tutto sommato inezie, trattandosi di uno come Stalin.

La sera del 16 giugno 1933 Viktor Haim Arlosoroff (nato in Ucraina nel 1899), un ebreo sionista emigrato in Palestina nel 1924 che viveva a Tel Aviv e che da laburista è una sorta di ministro degli esteri della Jewish Agency, l’ente che rappresentava gli ebrei emigrati in Palestina prima della fondazione dello Stato di Israele, sta passeggiando con sua moglie su una spiaggia di Tel Aviv. Arlosoroff era appena tornato dalla Germania dove aveva concluso con il governo tedesco l’Ha’avara Agreement in base al quale un numero rilevante di ebrei tedeschi si videro facilitare l’espatrio nella futura Israele. A un tratto da dietro una palma sbucano due uomini, uno dei quali gli chiede se è proprio lui il dottor Arlosoroff. Al che gli spara un colpo di pistola e lo uccide. Il funerale che accompagnò la salma di Arlosoroff al cimitero di Trumpeldor è stato il più grande grande mai svoltosi nella Palestina sotto mandato britannico. A tutt’oggi l’identità dei due assassini è sconosciuta. Due sono le ipotesi possibili. La prima è che i due uomini venissero dai ranghi del gruppo radicale ebraico guidato da Ze’ev Jabotinski, il quale s’era detto contrarissimo a qualsiasi trattativa con i nazi, e senza dire che Arlosoroff aveva criticato il loro andare a testa bassa contro gli arabi che vivevano in Palestina. Due militanti di quel gruppo – un gruppo che non scherzava quando c’era da menare le mani – vennero effettivamente identificati e messi sotto processo, salvo poi essere assolti. La seconda ipotesi è che i due assassini fossero dei sicari mandati da Joseph Goebbels a vendicare il fatto che l’ebreo Arlosoroff avesse avuto una relazione sentimentale a tratti tempestosa con la futura moglie di Goebbels, Magda, quella che al momento giusto avrebbe ucciso tutti e sei i suoi figli con il cianuro purché non cadessero nelle mani dei bolscevichi. I contorti percorsi dell’odio e dell’amore. E’ stato il Novecento, bellezza.