(foto Ansa)

Uffa!

Tenere Schwazer lontano dai Giochi è un'offesa all'umanità e alla bellezza

Giampiero Mughini

Il prodigio di un atleta che non vuole arrendersi: la sentenza dell'Agenzia mondiale antidoping di Losanna nega lo sconto di squalifica di otto anni

No, poco importa che l’altoatesino Alex Schwazer, il quarantenne ex campione olimpionico della marcia sui 50 chilometri a Pechino 2008, tocchi nei suoi attuali allenamenti quotidiani tempi vicinissimi a quelli di quando era stato il più giovane atleta ad avere mai vinto l’oro olimpico in quella specialità. No, la sagoma saettante di Schwazer non la vedremo ad agosto sul qualcuno dei percorsi di marcia alle Olimpiadi di Parigi. Lo ha deciso l’Agenzia mondiale antidoping di Losanna, che non ci sarà alcuno sconto seppur minimo alla squalifica di otto anni piombata sul capo di Schwazer nel giugno 2016, quando le sue urine rivelarono a una prima e a una seconda analisi tracce di una sostanza dopante, il testosterone. Era la seconda volta che Schwazer risultava positivo a un controllo antidoping, dopo quella prima volta che gli aveva sbarrato le porte delle Olimpiadi di Londra del 2012 dove l’atleta azzurro partiva favoritissimo. Né in quell’occasione Schwazer lo aveva negato di avere fatto uso di sostanze dopanti. Tanto che aveva impresso una svolta al suo destino di atleta, al punto da affidarsi – in vista delle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 – alla curatela tecnica del Maestro dello Sport e intermerato protagonista della lotta al doping Sandro Donati e a un’altrettale immacolata équipe di professionisti della materia che da allora in poi lo avrebbero seguito passo passo durante i suoi allenamenti. Al termine di quella prima squalifica Schwazer era tornato in campo e il 29 aprile 2016 è decisivo nel contribuire alla vittoria della squadra azzurra  nel campionato del mondo a squadre di marcia.

Pochi mesi dopo, il 21 giugno 2016, arriva la notizia fulminante che un controllo antidopig effettuato nel gennaio precedente aveva rivelato le tracce del testosterone di cui avevo detto prima. Sono tracce esigue che non assurgono all’entità di un doping, reagisce compatta l’intera équipe di Schwazer. Il 10 agosto 2016 subisce una squalifica, questa volta a otto anni. E tuttavia una superperizia rivela che nelle urine sono stati riscontrati dati di concentrazione del Dna talmente alti da indurre il sospetto che la provetta sia stata manipolata. Il 3 dicembre 2020 la procura di Bolzano chiede l’archiviazione del procedimento penale nella convinzione che i dati della provetta siano stati effettivamente manipolati e questo al possibile scopo di gettare discredito su Donati, che dell’Agenzia mondiale antidoping è sempre stato un critico strenuo. E comunque la richiesta che i legali di Schwazer fanno al tribunale svizzero di sospendere la qualifica, viene respinta. Un estremo e ulteriore ricorso legale di Schwazer, la richiesta di alleviare la sua squalifica di appena pochi mesi pur di permettere all’ex campione olimpionico di partecipare alle Olimpiadi di Parigi del prossimo agosto, è stata a sua volta bocciata.

Sto parlando di tutto questo come qualcosa che mi tocca da vicino. Per tutto il mese del 2023 in cui sono stato ospite nella Casa del “Grande Fratello” a Cinecittà, tutte le mattine che Dio mandava in terra nell’uscire dalla mia stanza mi trovavo di fronte Alex in maglietta e calzoncini che stava rombando sul tapis roulant, quelle sue gambe affilate e lunghissime che mitragliavano la base del tappeto su cui si avventavano con armonie musicali mosse com’erano da quelle spinte perfette delle piante e dei polpacci. Alex aveva un orologio di che misurare minuto per minuto i tempi della sua cavalcata contro la distanza e la relativa fatica, e ne risultavano i tempi dei suoi record nazionali di vent’anni fa o magari di quella sua marcia verso il record olimpico conquistato a Pechino nel 2008.

Amo lo sport e so di che cosa sto parlando, e senza dire che l’atletica leggera è la regina di tutti gli sport. Ebbene lo spettacolo eccelso del suo allenamento quotidiano era degno di figurare in un ideale Olimpo dello sport. Lì dove un uomo oltrepassa i limiti che pur gli ha imposto madre natura. Da quanto Alex era assieme potente ed elegante, ostinato nello sforzo e rifinito in ogni gesto tecnico. Che a un tale prodigioso atleta venga impedito di gareggiare il  prossimo mese di agosto è un’offesa all’umanità e alla bellezza. Vi assicuro che non ne sto parlando a vanvera.

Di lui scrissero una volta che era l’unico campione olimpico nato in un consesso urbano fatto di nove case. Da quattordicenne aveva debuttato in tutt’altro tipo di competizione sportiva, l’hockey su ghiaccio. Se ne stufò presto, provò per qualche tempo ad andare il più forte possibile su una bicicletta, si stufò anche di quello e cedette alla malia della marcia, dell’andare a forza di gambe, di anche e soprattutto di testa. Di testa. Il suo primo tecnico di gran valore, Sandro Damilano, era stupito di quanto fossero bassi i battiti del suo cuore pur dopo ore di sforzo prolungato. Macinava allenamenti e allenamenti a forza di decine e decine di chilometri a volta. Imparò e sperimentò che tutto stava nello scegliere l’attacco al momento giusto. Non aspettare troppo, ché altrimenti i tuoi avversari più quotati non li raggiungi più. Non attaccare troppo presto perché altrimenti la tua azione nel finale cede e rallenta e subirai il contrattacco vittorioso dei tuoi avversari di rango.

A Pechino nel 2008 mancavano ancora sette o otto chilometri al traguardo quando erano rimasti in testa quattro o cinque marciatori, un francese e un russo gli avversari più temuti da Alex. Lui non aveva ancora deciso il momento dell’attacco quando si accorse che non aveva più nessuno attorno. Si voltò per un’ultima volta a vedere se c’era qualcuno che lo stava braccando e poi accelerò, realizzando un tempo mostruoso nell’ultimo chilometro di gara. Entrò nello stadio tumultuante di tifo, percorse tutta la pista fino al traguardo e ancora non era entrato nello stadio nessuno dei suoi avversari. Superato il traguardo, Alex scoppiò a piangere di un pianto irrefrenabile.

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