(foto Olycom)

Uffa!

Conoscere l'arte e la cultura nel Ventennio. Un volume monumentale

Giampiero Mughini

I cinque chili di carta del "Fascio Primogenito". Un tomo introvabile del 1938 per comprendere meglio come funzionava la dittatura

Lo sapete bene che se i partigiani a tutto tondo dell’antifascismo targato 2024 (di quando il fascismo è morto e sepolto da 80 anni) fossero entrati qualche tempo fa nella casa privata dell’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, vi avrebbero trovato un busto di Benito Mussolini, e dunque un manufatto simbolico che alcuni di loro giudicano un’offesa alla repubblica antifascista che l’Italia s’è data 70 anni fa.
Ne parlo con memoria di mio padre, il quale sulla parete retrostante la scrivania del suo studio teneva in bella evidenza una fotografia di Benito Mussolini da giovane, una bella fotografia che attestava quanto quel personaggio dovesse risultare accattivante ai suoi contemporanei. Sì, perché mio padre era stato fascista e né lo rinnegava né lo rivendicava. Lo era stato, punto e basta. Oltre che tenere la foto di Mussolini di cui ho detto, quell’ex fascista mi dava una paghetta mensile di che io compravo e pagavo ratealmente i libri della Einaudi, su tutti i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. E  se io dovessi indicare la vera data di nascita dell’uomo che sono oggi, quella indicherei. Il tempo in cui lessi per la prima volta le pagine di Gramsci, dell’uomo che il fascismo tenne in cella per oltre sette anni, che dormiva male la notte e che all’indomani scriveva al figlio invitandolo a conoscere la storia degli uomini, la storia di tutti gli uomini del mondo. L’ho presa larga e me ne scuso con i miei seppur pazienti dieci/quindici lettori. Il fatto è che da qualche giorno se i partigiani a tutto tondo dell’antifascismo targato 2024 piombassero a casa mia vi troverebbero qualcosa di ben più allarmante che un busto di Mussolini, e bensì un tomone che le mie due braccia stentano a trasportare da un angolo all’altro del mio studio/biblioteca, un libro del 1938 di ipnotizzante bellezza dal titolo Il Fascio primogenito, cinque chili o più di carta le cui fotografie e i cui testi – cuciti graficamente assieme con impareggiabile maestria – fanno da apologia dei momenti primogeniturali del fascismo mussoliniano. Avete letto bene, apologia del fascismo mussoliniano e non è che io sia impazzito nel momento in cui ne sto scrivendo così.

E’ un libro di cui non sapevo nulla e che  d’ora in poi fungerà da cimelio della mia collezione di testi e documenti della storia italiana del Novecento. Me lo ha prima segnalato e poi venduto Piero Piani, un antiquario bolognese mio carissimo amico e complice in fatto di squisitezze librarie del secolo scorso. Mi ha raccontato da par suo che quel libro lo pedina incessantemente da anni, e che tutte le volte che ne ha avuta una copia si sono mossi personaggi di gran calibro a volerla comprare. Due grandi librai antiquari americani – entrambi ebrei – si sono fatti i 20 chilometri che separano Bologna dalla badia di campagna dove Piero tiene i suoi tesori, e questo pur di tastarne la copia de Il Fascio primogenito per poi pagarla un occhio della testa. Piero mi acclude la scheda con cui un libraio newyorchese lo mette attualmente in vendita a un prezzo strabocchevole e dove lo annuncia così: “Possibly the most stunning of the many works of propaganda to extol Fascism and Mussolini during his rule (…) a monumental work”. Un lavoro monumentale.

Vi sto raccontando tutto questo perché voglio che ciascuno di voi muti di un ette il suo giudizio morale e politico sui vent’anni della dittatura fascista? Spero non mi farete così imbecille. Voglio solo aiutarvi e aiutare innanzitutto me stesso a capire meglio come funzionò quella dittatura – e come entro a quella dittatura continuarono a funzionare la società italiana e il suo animo –, e soprattutto voglio che vi sbarazziate della baggianata secondo cui durante quei fatali vent’anni non ci furono in Italia una cultura e un’arte degne di questo nome, e che l’una e l’altra risorsero intatte e pure solo dopo il 1945. Caso vuole oltretutto che una settimana prima dell’aver ricevuto il tomone raccomandatomi da Piero, mi fossi buttato a pesce su un’altra leccornia editoriale degli anni tra le due guerre offerta dal libraio modenese Paolo Bongiorno, anche quello un libro di cui fino a quel momento non sapevo nulla. Datata “anno X” in quella sua copertina da far invidia alla gente della Bauhaus, si tratta di una cartellina editoriale che ha per titolo Monolite Mussolini e dove sono raccolte 25 foto una più bella dell’altra (firmate Alberto Cartoni) dei vari momenti di quel 1932 in cui stavano erigendo i quaranta metri e le 700 tonnellate dell’obelisco Mussolini, quel capolavoro dell’architetto Costantino Costantini che sta al cuore del più ampio complesso architettonico che ha nome Foro Italico, ai cui lavori presiedettero prima Enrico Del Debbio e poi Luigi Moretti, e di cui qualche demente (non demente dell’antifascismo, demente e basta) aveva raccomandato a suo tempo l’alterazione se non la distruzione.

Le foto di Cartoni contenute nella cartellina fanno parte del Fondo Alberto Cartoni che l’architetto e studioso Giorgio Muratore aveva acquistato nel 1990. Per essere un allievo di Bruno Zevi e uno che veniva dalla sinistra intellettuale, Muratore (nato nel 1946, morto nel 2017) era stato il primo a riconoscere la bellezza e l’importanza dell’architettura cosiddetta “fascista” dei Trenta, come quella bellezza fosse parte integrante della storia della nostra migliore architettura. Al tempo in cui fingevo di fare il giornalista, ricordo con commozione il momento in cui andai a intervistarlo in un suo studio attiguo alla mia casa romana. A me quell’architettura già allora piaceva da sturbo, il professor Muratore mi aiutò a capire perché. Resta comunque uno scandalo il fatto che il restauro del gioiello architettonico il più lucente dell’intero Foro Mussolini, la Casa delle Armi di Luigi Moretti, sia a tuttora rimasto a metà.

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