Bertolt Brecht e Thomas Stearns Eliot

Eliot e Brecht, poeti fin troppo intelligenti per la terra desolata d'oggi

Alfonso Berardinelli

Nello stesso giorno, il 2 gennaio scorso, sono apparsi su Avvenire un articolo di Fofi in memoria e lode di Eliot (morto nel 1965) e su Repubblica una pagina di Asor Rosa in lode e memoria di Brecht. Due anziani e inconciliabili guru della sinistra culturale scoprono per caso due dei più importanti, influenti e discussi poeti del Novecento.

Nello stesso giorno, il 2 gennaio scorso, sono apparsi su Avvenire un articolo di Fofi in memoria e lode di Eliot (morto nel 1965) e su Repubblica una pagina di Asor Rosa in lode e memoria di Brecht. Due anziani e inconciliabili guru della sinistra culturale ripensano al loro passato di lettori ventenni che scoprono per caso due dei più importanti, influenti e discussi poeti del Novecento. Due maestri anche loro inconciliabili della letteratura del secolo scorso: un metafisico cristiano sulle orme di Dante e un cinico dialettico marxista attratto dalla saggezza taoista. Anche a me, per puro caso, nelle settimane precedenti era accaduto di trafficare con Eliot e Brecht, rinnovando la mia simpatia e curiosità per il primo e la mia indifferenza o antipatia (tardive: arrivate a quasi quarant’anni) per il secondo.

 

Quando è ormai chiaro che la cultura letteraria di oggi ha ben poco in comune con quella novecentesca, viene in mente il Novecento. Parlo di letteratura e non di poesia perché la poesia è, nel suo insieme (critica compresa), precipitata così in basso nella banalità e nell’inconsapevolezza culturale da impedire qualunque confronto con i due autori ricordati. Il 90 per cento della poesia attuale (non solo quella italiana) è soprattutto stupida: e lo è nel modo più evidente quando si sforza di esibire un pensiero, dato che un pensiero stupido è più ridicolmente tale di qualunque non-pensiero.

 

Eliot e Brecht sono stati due eccezionali esemplari di poeta intelligente. Pienamente consapevoli, fin troppo, della situazione in cui scrivevano, avevano entrambi una visione del passato storico e del presente sociale così lucida da rischiare l’inaridimento inventivo. Oltre alla spiccata attitudine sia filosofica che realistica, avevano un forte senso dell’umorismo, della parodia e del paradosso, sentivano molto il pubblico e anche per questo hanno scritto opere teatrali. Come poeti intellettualistici e teatrali non sono stati i soli nel Novecento. Filosofici erano anche Antonio Machado e Paul Valéry, teatrali anche Majakovskij e soprattutto García Lorca. La cosiddetta “poesia monologica”, tendente alla pura musicalità e alle fascinazioni associative, usciva così da se stessa acquistando un’energia costruttiva precedentemente quasi impensabile, diventando dialettica e dialogica. Il solo grande erede sia di Eliot che di Brecht sarà Wystan H. Auden, il cui acume analitico è spinto a estremi di sottigliezza e la cui potenza oratoria, allegorica, satirica potrebbe superare perfino quella dei suoi maestri, se non fosse minacciata da una labirintica inafferrabilità di allusioni.

 

L’eliotiana “The Waste Land” resta l’opera poetica più classica del Novecento. Il chiacchiericcio così domestico e un po’ metafisico di Beckett è già previsto e praticato da Eliot in alcuni inserti dialogati del suo poemetto. Anche in Eliot “En attendant Godot” si gioca a scacchi, si prende il tè, noiosamente ci si lamenta e ci si ubriaca fino a notte fonda. La storia umana non è una marcia trionfale ma, dopo la guerra 1914-’18, è un cumulo di rovine. Il mondo è in frantumi, non si riesce più a connettere niente, l’edificio della civiltà è sconnesso. Nella sua logica di costruzione, “The Waste Land” è una confutazione in atto della forma-romanzo, della sua tecnica e fiducia nella possibilità di connettere l’eterogeneo (l’“only connect” di E. M. Forster). Se la vita sociale nasce, sopravvive e si perpetua grazie alle sue connessioni istituzionali, comunicative, comunitarie e abitudinarie, quando le connessioni saltano prevale il caos e la conseguente impossibilità di capire.

 

[**Video_box_2**]Il mondo di Eliot è diviso fra mistica e ottusità, comico e sublime, desolazione e redenzione. In questo che è stato il maggiore pedagogo letterario-morale della cultura anglosassone nell’ultimo secolo, la società borghese appare senza speranza: sola salvezza sarebbe il ritorno a una società cristiana, poiché il tempo storico e biografico acquista senso soltanto grazie a ciò che lo trascende. Anche i re Magi, il cui viaggio Eliot racconta in una delle sue poesie più note, vanno incontro a una nascita che per loro, per ciò che erano prima, è una forma di morte: “Fu un freddo inverno per noi, / Proprio il tempo peggiore dell’anno / Per un viaggio, per un lungo viaggio come questo: / Le strade erano fangose e la stagione rigida, / Nel cuore dell’inverno. (…) Questo considerate / Questo: ci trascinammo per tutta quella strada / Per una Nascita o per una Morte?”.

 

Brecht lo lessi e lo rilessi (il suo teatro però mi ha sempre annoiato), poesie, aforismi, raccontini e teorie estetico-politiche, perché prima avevo letto Fortini, che di Brecht marxista aveva fatto una guida. Le poesie che preferivo però erano le prime, quelle degli anni Venti, o le ultimissime, del tutto disincantate. Ma qualcuna delle “Storielle del signor Keuner”, suo alter ego, le ricordo e le apprezzo ancora. Soprattutto due, quella sul rapporto tra forma e contenuto in arte e quella sul rapporto tra filosofia e comportamento quotidiano. La prima racconta di un giardiniere incaricato di arrotondare una pianta di alloro. Taglia di qua e taglia di là, la forma sferica non sembra mai perfetta e l’alloro diventa insignificante: “Bene, questa è la sfera, ma dov’è l’alloro?”. E’ una storiella che usai contro gli esteti. La seconda contro i marxisti anni Sessanta-Settanta e anche in polemica con Fortini: “Un professore di Filosofia andò dal signor K. a raccontargli della sua saggezza. Dopo una pausa il signor K. gli disse: – Tu siedi scomodamente, tu parli scomodamente, tu pensi scomodamente – . Il professore di filosofia andando in collera disse: – Non è su di me che volevo sapere qualcosa ma sul contenuto di quanto ho detto. – Non ha contenuto, – disse il signor K. – Ti vedo procedere goffamente e procedendo non raggiungi una meta. Tu parli in modo oscuro e dalle tue parole non proviene alcuna luce. Osservando il tuo comportamento, la tua meta non mi interessa”.