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Crocicchi #33

Cambi in panchina che non salvano le squadre

Enrico Veronese

L'Udinese ha esonerato Gabriele Cioffi e affidato la squadra a Fabio Cannavaro. Ma davvero cambiare allenatore serve? Cosa ci ha detto, sinora, questa Serie A

Illuso è chi pensa che un cambio salvare la squadra potrà, chi un giorno decide che un mister ti mantenga in Serie A. Parafrasando un Daniele Silvestri d’annata, avvicendare un allenatore – magari a poche giornate dalla fine di un torneo – per cercare di ottenere il risultato minimo, nella maggior parte dei casi la salvezza, non dà spesso gli esiti sperati. Questo accade nelle situazioni incancrenite da un mercato deficitario, da atleti che preferirebbero partire, da spogliatoi critici, in buona sostanza anche dalla cosiddetta fortuna.

Ma è un dato che, di otto panchine che hanno cambiato fisionomia, quasi solo la Roma ha beneficiato dell’avvicendamento tecnico: Daniele de Rossi, a prescindere dalla qualificazione alla prossima Champions e dalla conquista dell’attuale Europa League, ha portato con sé un upgrade percepibile in termini di idea tattica, spirito condiviso, quindi gioco e risultati rispetto all’ultimo José Mourinho.

Altrove le cose non sono andate proprio così: se a Empoli il triplo carpiato da Paolo Zanetti a Davide Nicola passando per Aurelio Andreazzoli ha stabilizzato qualche punto di vantaggio sopra le pericolanti, senza tuttavia trarre i toscani fuori dalle secche, lo stesso non si può dire dello switch tra Alessio Dionisi e il pluriabbonato Davide Ballardini a Sassuolo, dove lo stop a Domenico Berardi è una mazzata troppo ingente da poter essere elusa mediante ripescaggi o accorgimenti.

Fermo restando che nessuno può ormai più salvare la Salernitana, dopo la successione tra Paulo Sousa, Filippo Inzaghi, Fabio Liverani e il curatore fallimentare Stefano Colantuono (nessuno ha cavato un ragno dal buco, ma c’è da chiedersi se la rosa fosse davvero così scarsa), probabilmente mai nella stessa stagione – in evo contemporaneo – sia la Roma sia la Lazio avevano esonerato il proprio coach: il passaggio da Maurizio Sarri a Igor Tudor si era reso necessario per via del deteriorarsi di molte questioni, con il croato che prova a salvare il salvabile attraverso l’ingresso in una qualche competizione continentale.

Meno comune ancora, la rivoluzione in casa dei campioni d’Italia: il Napoli di Luciano Spalletti non esiste più, di Rudi Garcia non è mai stato, Walter Mazzarri era solo un’operazione radicale e infine Francesco Calzona da Bratislava traghetta verso la rifondazione. Lo choc è atteso invece nei paraggi di Udine, dove Fabio Cannavaro sta per subentrare al silurato Gabriele Cioffi, a sua volta “esecutore” di Andrea Sottil: al netto dell’aggravarsi della situazione in classifica (il gol di Diego Coppola potrebbe essere il crocevia decisivo per i destini incrociati di Hellas Verona e Udinese, che aveva quasi dominato la partita dal punto di vista delle occasioni da gol), sono diffusi i dubbi relativi al fatto che “il manico” scelto possa non essere l’uomo giusto per scongiurare la Serie B.

In questi casi intervengono altre logiche, non solo procuratoriali: in Friuli sono privi di due degli elementi di maggior tasso tecnico (Gerard Deulofeu, mai schierato, e Florian Thauvin), con Lazar Samardzić svagato dalle promesse estive sfumate e Lorenzo Lucca che ancora non sfonda le reti. Cosa potrà fare un sostanziale neofita come Cannavaro in un ambiente poco abituato alle zone calde, sta scritto nei corsi e ricorsi che furono della Sampdoria, del Parma, del Chievo e di altre brillanti realtà: anche se niente lasciava pensare una versione così dimessa delle zebrette, che i numeri per rimanere nella massima categoria li hanno ancora tutti.

Se c’è invece un luogo in Italia che può ringraziare il fato complice di risoluzioni societarie già avviate, è il caldo Salento: poco più di un mese fa, la concitazione post partita contro il Verona è costata il posto a Roberto D’Aversa, reo di aver (forse?) colpito con una testata il centravanti scaligero Thomas Henry. Il conseguente takeover e l’avvento di Luca Gotti hanno rimesso in carreggiata la squadra, protagonista di un positivo avvio di campionato, atto a esaltare il solito eccentrico “bazar” di Pantaleo Corvino. Nonostante alcune prestazioni siano andate scemando rispetto all’anno scorso -una su tutte, quelle di Federico Baschirotto- il Lecce ha ritrovato l’efficienza di Valentin Gendrey, Antonino Gallo, Marin Pongračić, scoperto la concretezza di Ylber Ramadani e Nikola Krstović, benedetto il piede delicato di Remi Oudin e ringraziato le reti di Roberto Piccoli.

Ma soprattutto, l’uomo nuovo in panchina ha consentito a Wladimiro Falcone di registrare il suo quarto clean sheet in cinque partite: a dimostrazione che la salvezza si costruisce sempre prendendo meno gol. La nave giallorossa così si è staccata dalle fosse e sta rientrando in porto per merito del rimorchiatore di Porto Viro, la cui ostentata ritrosia mediatica è pari al talento: in Rete spopolano i meme dedicati al trainer polesano e al suo pensiero profondo ed enigmatico, tanto quanto vengono considerate le sue dichiarazioni (una tra tutte, il futuro preconizzato a Patrick Dorgu con la versatilità nei ruoli). Inutile girarci attorno, Gotti è uno dei più bravi in circolazione e l’ha dimostrato proprio a Udine, così come a La Spezia: sempre adattando il modulo ai giocatori a disposizione, ora un 4-4-2 asimmetrico a geometrie variabili, utilizzando le ali a piede invertito e non fermandosi al “primo non prenderle”.

Eppure, senza il brutto affare D'Aversa-Henry, chissà se il presidente Saverio Sticchi Damiani avrebbe poi cacciato D'Aversa per davvero: in fondo, stava ancora lottando e non pareva il meno attrezzato. Tuttavia, la forzatura quasi dovuta ha avuto il merito generale di riportare sopra alla guida di una squadra di Serie A un professionista che sa il fatto suo, e che probabilmente sconta proprio la carenza di lustrini e di fantascienza nei riflessi del proprio lavoro. Cionondimeno, e a Lecce lo sanno, l’andazzo delle prime settimane del 2024 lasciava intendere che il piano inclinato fosse vicino: provvidenziale dunque il crocicchio, per quanto rocambolesco, e la prossima estate c’è già un elemento sicuro attorno a cui riorganizzarsi.

È ciò che sperano anche a Frosinone, dove la parabola è per certi versi simile: ottimo avvio di stagione, giovani messi in mostra, gioco fluido, qualche vittoria a sensazione, poi i remi in barca. Eppure la proprietà non ha ritenuto di “liberare” Eusebio di Francesco, allungando la triste lista dei suoi ultimi incarichi non portati a termine: un gesto che fa onore alla famiglia Stirpe, consapevole che ricominciare da zero con un nuovo maestro e dettami di allenamento differenti non sarebbe il toccasana ideale. Il calendario non è proibitivo, davanti non stanno correndo troppo, e comunque lo fanno a intermittenza: ci sono ancora margini per affermarsi, e consolidare le dimostrazioni il principio secondo cui non sempre è necessario sbarazzarsi di chi conosce il contesto affinché tutto torni magicamente a funzionare.

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