Maurizio Sarri si è dimesso da allenatore della Lazio (foto LaPresse)

Serie A

Sarri si è dimesso. Il finale malinconico di una storia che lui e la Lazio avevano immaginato migliore

Giovanni Battistuzzi

L'allenatore ha lasciato il club dopo quattro sconfitte di fila tra campionato e Champions League. Ora Roma è rimasta senza gli allenatori attorno ai quali aveva costruito l'illusione di ritornare ai vertici del calcio italiano

Maurizio Sarri non è più l'allenatore della Lazio. Nel pomeriggio ha rassegnato le sue dimissioni alla società. La scelta è arrivata dopo la sconfitta contro l'Udinese, la quarta di fila tra campionato e Champions League. Abbastanza per dire basta, per decretare la fine di una bella illusione, anzi, di una doppia illusione. Quella del tecnico di realizzare a Roma ciò che aveva già fatto a Napoli a Londra (sponda Chelsea) e a Torino (Juventus), ossia fare vita d'alta classifica offrendo agli spettatori un buon calcio, magari vincendo qualcosa. Quella della società che ingaggiando l'allenatore voleva continuare a essere la prima squadra della Capitale, offrendo ai tifosi un allenatore capace di competere per carisma e impatto mediatico con José Mourinho. Il portoghese è sparito dalla Roma giallorossa, il tecnico toscano-partenopeo da quella biancoceleste.

   

Maurizio Sarri (foto LaPresse)  
   

Resta tra i tifosi della Lazio la sensazione un po' malinconica e parecchio tristanzuola che questo sia il finale sbagliato di una storia (iniziata nel 2021) che sarebbe potuta essere bellissima ma che bellissima non è stata. Un'illusione iniziale di bel calcio e di supremazia territoriale, incrementatasi a dismisura solo nemmeno dieci mesi fa con un finale di campionato che aveva condotto la Lazio al secondo posto dietro al Napoli scudettato che aveva dato il via a pensieri magnifici e speranze enormi. Forse troppo grandi per una società che ha sempre investito, ma mai, forse, con la volontà di esaudire i desideri di un allenatore capace di rendere al meglio quando ha a disposizione giocatori volenterosi di lasciare ogni convinzione calcistica pregressa per abbandonarsi totalmente a quelle del tecnico. Quello che chiamano sarrismo, se ha un senso davvero creare -ismi per descrivere ciò che accade in un campo da gioco.

Maurizio Sarri ha avuto la conferma che qualcosa si era rotto tra lui, società e giocatori. Ha scelto di fare un passo indietro, di andarsene e togliere il disturbo in un ambiente nel quale si sentiva, a torto o a ragione non ha importanza, di troppo. Non un atto di coraggio, nemmeno di codardia, semplicemente la constatazione che andare avanti non avrebbe avuto più alcun senso.

Roma ha visto in pochi mesi l'abbandono dei due allenatori attorno ai quali aveva costruito la sua illusione di ritorno ai vertici del calcio italiano. Entrambi, tra le altre cose, finiti in una spirali di alibi per giustificare la distanza tra i risultati che avevano sperato di raccogliere e le difficoltà nelle quali erano incappati. Quella giallorossa è ripartita da un passato fresco e identitario, Daniele De Rossi. Quella biancoceleste potrebbe fare lo stesso.

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