Foto Epa, via Ansa

è arrivato il calcio del futuro?

Il grande calcio dell'Europa ai monopoli

Claudio Cerasa

Le sberle alla Uefa e alla Fifa sulla Superlega sono una grande lezione sui benefici della concorrenza. Considerazioni dopo la sentenza della Corte di giustizia europea

Il no al Mes del governo è importante, il sì alla concorrenza della Corte europea lo è ancora di più. E la notizia di ieri, in fondo, è spettacolare. La Corte di giustizia dell’Unione europea, come sapete, ha mollato una clamorosa legnata alle federazioni calcistiche più famose del mondo, la Uefa e la Fifa, e a sorpresa ha dato ragione al Real Madrid e al Barcellona, che due anni fa avevano denunciato il monopolio illecito della Fifa (Fédération Internationale de Football Association) e della Uefa (Union of European Football Association) sull’organizzazione delle competizioni internazionali.

La storia forse la ricorderete. Nel 2021, dodici club europei annunciarono all’improvviso la creazione di una nuova competizione continentale infrasettimanale che si sarebbe andata a sovrapporre alla Champions League. Obiettivo: creare un campionato in Europa innovativo e permanente, tra venti grandi squadre del nostro continente, per cercare di offrire al mondo del calcio un nuovo spettacolo, nuove risorse, nuovi ricavi e nuove opportunità. La mossa fece scalpore. L’Uefa minacciò l’esclusione delle dodici squadre dai campionati, alcuni governi come quello inglese intimidirono le squadre dei propri paesi desiderose di partecipare alla competizione e anche in Italia le reazioni della politica furono al limite del surreale. L’allora leader del Pd, Enrico Letta, disse che “l’idea di una Superlega per i più ricchi club europei di calcio è profondamente sbagliata”. Matteo Salvini disse che “il denaro non è tutto e i milioni non sono sufficienti per azzerare simboli”. Giorgia Meloni disse che “la Superlega è la deriva da tempo avviata alle nostre società applicata al mondo del calcio: scavalcare la rappresentanza dal basso e imporre dall’alto l’istituzione di una oligarchia”. In pochi, tra cui questo giornale, fecero notare che l’idea del calcio come bene comune, come bene intangibile che deve appartenere prima ancora che ai club ai tifosi, al popolo, al paese, alle città, è un’idea romantica e genuina che non tiene conto delle difficoltà economiche che hanno buona parte dei campionati europei e in pochi ricordarono che provare a creare alternative allo status quo significa creare più spettacolo, significa creare più business, significa creare più ricchezza, significa creare più opportunità per tutti.

Il progetto della Superlega, di cui facevano parte in Italia inizialmente Inter, Milan e Juventus e che è stato assai elogiato dal presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, si è andato rapidamente a sfaldare, complici i ricatti della Fifa e della Uefa, e la sentenza di ieri della Corte di giustizia europea è storica per almeno due ragioni.

In primo luogo, scardina per la prima volta un monopolio come quello creato dalla Uefa e dalla Fifa sul mercato dei tornei calcistici e dei relativi diritti economici, perché una federazione è un ente privato e non ha alcun diritto di sabotare un eventuale campionato alternativo bloccando la fuga dei club e cercando di sanzionare i club coinvolti nella fuga.

In secondo luogo, afferma un formidabile diritto universale che non vale naturalmente solo per il calcio: le regole che limitano la competizione in un settore sono regole anti concorrenziali che possono arrecare gravi danni agli attori che competono all’interno di un mercato. Nel 1995, la famosa sentenza Bosman rivoluzionò il sistema dei trasferimenti dei giocatori in Europa impedendo alle varie leghe continentali di porre un tetto al numero di atleti europei. Il ribaltamento del sistema, contribuì ad aprire ancora di più il mercato, a rendere i campionati più spettacolari, a far aumentare le retribuzioni dei migliori giocatori e a offrire più chance a tutte le squadre in grado di trasformare il mercato unico non come una minaccia ma come un’opportunità. La sentenza di ieri dalla Corte di giustizia europea è storica perché sancisce il diritto dei privati a organizzare come meglio credono il proprio mercato, evidenzia quanto sia pericoloso avere una società che abusando della sua posizione dominante diventa sia organizzatore sia regolatore, mostra i danni generati da chi non rispetta la concorrenza e indica le potenzialità enormi che può avere per una squadra di calcio la libertà di movimento all’interno del proprio mercato. E lo fa insistendo su un elemento interessante che è quello naturalmente dei diritti tv. Uefa e Fifa, dice la Corte, non possono avere il monopolio sui diritti tv, non possono impedire di organizzare altre competizioni e non possono togliere ai club la possibilità di avere altre occasioni per avere ricavi più remunerativi rispetto a quelli che hanno ora.

Nel farlo, la Corte mette in discussione il modo in cui vengono redistribuiti i diritti audiovisivi ed è interessante la mossa compiuta ieri dagli organizzatori residui della Superlega, che ovviamente hanno rilanciato. “Abbiamo ottenuto il diritto di competere. Il monopolio Uefa è finito. Il calcio è libero”, ha detto ieri Bernd Reichart, ceo di A22 Sports, la società costituita ad hoc per spingere verso la creazione della Superlega, che poi ha aggiunto: “I club sono ora liberi dalla minaccia di sanzioni e liberi di determinare il proprio futuro. Ai tifosi proponiamo la visione gratuita di tutte le partite della Super League. Per i club: le entrate e le spese di solidarietà saranno garantite”.

Non ci vuole molto a capire che l’idea di una Superlega gratuita per tutti senza costi per il pubblico significherebbe avere un campionato europeo nuovo capace di scardinare non solo il potere di Uefa e Fifa ma anche quello degli operatori tv che oggi pagano i diritti tv alle squadre e alle federazione per poi far pagare abbonamenti agli appassionati. E significherebbe cercare un modo nuovo per guadagnare, per appassionare, per far fruttare lo spettacolo,  per portare più quattrini nelle tasche delle squadre di calcio (oltre che tutelare i consumatori offrendo loro partite più attrattive). L’idea che il calcio possa essere un bene comune è un’idea romantica che rischia però di distruggere il calcio e di spingere i campioni laddove vi sono competizioni in grado di investire nel pallone. Ieri la Corte di giustizia ha offerto un’alternativa al collasso del pallone: scardinare i monopoli, sbloccare l’innovazione, creare alternative, esplorare nuove formule, studiare nuovi business. Avere alternative, nel peggiore dei casi costringe i custodi dello status quo a migliorare se stessi (se non ci fosse stata la Superlega, ci sarebbe stata una nuova Champions League nel 2025). Nel migliore dei casi, aiuta a creare le condizioni per avere più libertà, più concorrenza, più opportunità, più ricavi, più spettacolo, più calcio. Il no al Mes del governo è importante, il sì alla concorrenza della Corte europea lo è ancora di più.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.