Giacomo Bonaventura (foto LaPresse)

Olive #8

Nel nome di Giacomo Bonaventura

Giovanni Battistuzzi

Il centrocampista è uno dei migliori giocatori della Fiorentina e sta contribuendo al buon campionato della squadra guidata da Vincenzo Italiano. Non è la prima volta che accade, eppure ha dovuto aspettare tre anni per tornare in Nazionale

Chi fosse il Giacomo a cui tremavano di continuo le gambe non ci è dato a sapere. E poco importa saperlo se sia davvero mai esistito. Certo non era Giacomo Bonaventura. Le gambe facevano giacomo giacomo già prima della sua venuta al mondo, figurarsi del suo arrivo in Serie A.

Giacomo Bonaventura è dalla stagione 2011-2012 che gioca nel massimo campionato italiano, da anni che i suoi compagni di squadra e i suoi allenatori lo considerano determinante in campo. È andata così all’Atalanta, al Milan e, ora, alla Fiorentina. Tante partite, tante palle guadagnate e passaggi fatti, molti assist, diversi gol. Soprattutto il suo zampino in quasi tutte le partite che contavano davvero: non sempre la sua squadra ha vinto, spesso è stato tra i migliori in campo, quasi mai ha fatto solo una comparsata. È accaduto un sacco di volte, l’ultima nel corso di Napoli-Fiorentina di domenica 8 ottobre. La Viola ha vinto 1-3, lui ha segnato, ha concesso un assist, ha creato le condizioni del primo gol dei compagni. Non è la prima volta che va così.

Sembra esserci però un netto distacco tra la percezione che ha di Giacomo Bonaventura chi sta vicino a lui in campo (o che lo dirige dalla panchina) e quella che offre a chi lo osserva da fuori. Forse è un gioco di prospettiva bizzarro, forse solo un difetto di messa a fuoco. O chissà, magari un’ancestrale maledizione verso chi porta il nome Giacomo.

Difficile che sia così. Un nome non ha peso, non determina nulla, tantomeno la bravura e il successo di un calciatore. Eppure anche a Giovanni Arpino era venuto il dubbio nel 1970. Si chiese quale fosse il motivo per il quale Giacomo Bulgarelli non giocasse in Nazionale e non venisse considerato il miglior mediano italiano. E nel farlo si domandava pure perché, trent’anni prima, lo stesso trattamento fu riservato a Giacomo Neri “divina ala, al punto divina da non essere stata compresa in questa terra”. Tra i due l’unico punto in comune era il nome: Giacomo, “che voglia dire qualcosa?”.

Non voleva dire nulla allora, non vuol dire nulla nemmeno ora.

Eppure quel senso di spaesamento che provava Arpino nei confronti della non piena considerazione delle qualità di Giacomo Bulgarelli (e prima di Neri), è quello che si può provare oggi nei confronti di Giacomo Bonaventura.

Perché è strano che un giocatore come il centrocampista della Fiorentina, uno dei pochi in questi anni capaci di essere determinanti sia in fase di copertura che in fase di rifinitura dell’azione – ora fortunatamente per Luciano Spalletti ce ne è qualcuno in più – abbia vestito la maglia della Nazionale solo in quindici occasioni. Pochine.

Si è detto che è stato fermato da troppi infortuni (lo dissero anche di Bulgarelli), ma a ben vedere gli anni passati, Bonaventura di infortuni né ha sì avuti, ma non così tanti. Si è detto che non fosse affidabile a livello di recupero degli sforzi, eppure sta giocando da tre anni con gran continuità. Si è detto che si facesse prendere troppo dall’ansia da prestazione, eppure difficilmente stecca nelle partite importanti. Certo Giacomo Bonaventura non è uno di quei calciatori capaci di rapire gli occhi e di far immaginare mondi calcistici incredibili, non un giocatore che rimarrà nei nostri sogni a imperitura memoria, ma di non tutti fenomeni vive il calcio, e tra i non fenomeni Bonaventura non ricopre certo il ruolo della schiappa.

Perché sia rimasto così lontano dall’Azzurro non è dato a saperse, come non ci è dato a sapere chi fosse quel Giacomo a cui tremavano le gambe.

Quel che è certo che Giacomo Bonaventura è tornato in Nazionale e che Vincenzo Italiano non rinuncia mai a lui. Quel che è certo che a volte non serve uno stuolo infinito di lodatori, basterebbe trovare un paio di persone a cui si piace davvero e per quello che si è, capaci di apprezzare la bontà del lavoro che si fa. E Giacomo Bonaventura ne fa tanto e tutto di buonissima qualità.

 


   

  

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli). Il secondo appuntamento è stato dedicato a Luis Alberto (Lazio); nella terza giornata vi ha tenuto compagnia Ruggiero Montenegro con Federico Chiesa (Juventus); nella quarta è stato il turno di Andrea Colpani (Monza); nella quinta di Romelu Lukaku (Roma); nella sesta è sceso in campo Yacine Adli (Milan); la settima puntata è stato il momento di Albert Gudmundsson (Genoa)