Foto Ansa 

SAVERIO MA GIUSTO

I racconti "Due euro per... " in cima alla classifica dei casi di caro vacanze dell'estate 2023

Saverio Raimondo

Le storie di gente spennata in vacanza è ormai un genere consolidato, tra giornalismo e fiction. Ma l’obolo per il taglio del toast è segno di onestà: quei ristoratori non sono affatto dei ladri. Hanno battuto lo scontrino!

Il “caro vacanze” è ormai un genere letterario consolidato, un mix di giornalismo e fiction come “A sangue freddo” di Truman Capote, dove la realtà viene raccontata con raffinata sapienza per suscitare emozione nei lettori – nel caso del caro vacanze, della facile indignazione. Non è estate senza un giallo, un tormentone, le parole crociate, un’ondata di calore con un nome storico-mitologico, e la storia di un pollo spennato in vacanza. In quanto genere letterario, il caro vacanze ha le sue caratteristiche: l’ambientazione (di solito balneare: quest’anno vanno molto Liguria e Puglia, ma restano sempre suggestive le città d’arte o qualche posto in Trentino-Alto Adige con un ristoratore dall’accento tedesco in odore di nazismo), i protagonisti (o famiglia con prole o coppia di turisti), la scena madre (in un ristorante o in un bar). Ma soprattutto, il caro vacanze tratta di grandi temi come l’inflazione, la speculazione, e più in generale il caro vita, che unisce l’esistenzialismo all’economia: della serie “essere o non essere, in entrambi i casi il problema sono i soldi”.

   

Vi sono anche dei sottogeneri, come quello più introspettivo di chi resta in città perché non può permettersi di andare in ferie da nessuna parte, e quello esotico di chi va in vacanza all’estero perché costa meno: ha avuto un certo successo in queste ore la storia che in Albania, “le Maldive d’Europa”, ombrellone più lettino costano solo 10 euro, prezzo effettivamente vantaggioso nonostante l’Alain Elkann che è in me dica “e ti credo, quanto vorresti pagare un ombrellone con lettino a Tirana Marittima?”. Ma fra gelati costosissimi con panna pagata a parte, pizze quotate in borsa, piadine battute all’asta e stabilimenti balneari con accesso solo a chi paga in dobloni, in cima alla classifica dei casi di caro vacanze più cliccati e più letti quest’anno ci sono i titoli della serie “2 euro per…”: al momento sono usciti “2 euro per il taglio di un toast” e “2 euro per un piattino per la condivisione”, ma si suppone si tratti di una trilogia se non di una saga, quindi prepariamoci a leggere “2 euro per il sale”, “2 euro per il seggiolone”, “2 euro per un’altra forchettina per assaggiare il dolce”, “2 euro per aver chiesto dove fosse il bagno”.

  

Il successo di queste storie è dovuto anche al fatto che, essendo rivolte a un pubblico ampio (quindi anche agli analfabeti), sono illustrate: di solito sul post o nell’articolo che denuncia simile spesa c’è la foto dello scontrino che attesta la veridicità di quanto raccontato. E qui, mentre gli stolti guardano il dito, io fisso la luna: questi ristoratori non sono affatto dei ladri. Hanno battuto lo scontrino! Sono cittadini onesti, che denunciano regolarmente al fisco quanto guadagnano e si suppone che conseguentemente ci paghino sopra le tasse. Quanti di coloro che ordinano un toast diviso in due possono dire altrettanto? Chi è senza peccato scagli la prima cartella esattoriale. Parte di quei 2 euro surrealmente guadagnati andranno a pagare l’istruzione della bambina a cui era destinato il piattino per la condivisione delle trofie al pesto prese dalla mamma, la pensione della signora, e l’assistenza sanitaria di entrambe nel caso in cui il pesto fosse stato mal conservato e le due finissero ricoverate in ospedale per intossicazione da botulino. Ai titolari di quel locale, colpito – dopo la denuncia social dei 2 euro in più per un piattino – da centinaia di recensioni negative scritte da persone indignate ma che non sono mai state in quel ristorante, va tutta la mia solidarietà. Che poi, a conti fatti, è l’equivalente di 2 euro.

Di più su questi argomenti: