Il Foglio del Weekend

Trieste di grappe e rivolte: cosa succede nella città meno italiana d'Italia?

Michele Masneri

Dagli Asburgo ai No vax, da Bazlen a Puzzer: che cosa succede nell’ex capitale dell’Impero. Tra culto dello spirito e del corpo, pazzia e psicanalisi, nostalgia e voglia di far casino per contare un po’. Un reportage 

Insomma Trieste è in subbuglio, le piazze, i cortei. I portuali, i no vax. Che succede nella città più strana d’Italia, quella meno italiana? Unico porto del defunto impero asburgico, portatore di infinite nostalgie; da patria della psicanalisi e delle Assicurazioni Generali è diventata capitale dei fricchettoni no green pass? Da Bazlen a Puzzer?

 

Andiamo con ordine. Negli ultimi giorni la protesta si è spostata dal porto al consiglio comunale: ecco un nuovo soggetto anzi soggettone, Ugo Rossi, eletto con un movimento 3V che nessuno aveva mai sentito (“Vaccini Vogliamo Verità”, sic), un passato da attivista Cinquestelle e fan di Greta Thunberg, col suo 3v ha ottenuto 3.702 voti ma si è soprattutto distinto per aver menato due carabinieri che insistevano per sedare una rissa in cui si chiedeva di indossare “le museruole”: dai domiciliari è passato direttamente al consiglio comunale. Due giorni fa il processo: si è presentato senza mascherina, con un certificato medico di uno psicologo (sarebbe esente perché la “museruola” gli provoca attacchi di panico. Il giudice glie l’ha fatta mettere).

 

Trieste, cosa succede nella città meno italiana d'Italia?

Rossi si aggiunge ai due altri protagonisti delle rivolte triestine, Stefano Puzzer il portuale (che ora fonda un nuovo movimento, “Gente come noi”, vabbè), e l’ex pugile Fabio Tuiach (quello che “Gesù non era ebreo”, e che “il Covid è roba da froci”, quello che se l’è preso, quello che dice che è colpa degli idranti della polizia). Intanto crescono i contagi, siamo a 70, tra i rivoltosi. E per forza: stanno tutti accalcati, senza mascherine, a gridare slogan inondandosi di droplets di grappa in barrique. Giovedì pomeriggio, arrivati a Trieste, si è andati, di fronte alla chiesa di San Giacomo, ecco il raduno che sembra un po’ un raduno di scout fuori tempo massimo (il tormentone: “La gente come noi non molla mai”); striscioni: “Metalmeccanici no pass”; “scuola contro il green pass”; odore di grappa; uno vestito da robot con due volpini su uno skateboard. Tanti fricchettoni. Molti pensionati. Gente normale. Giovani. Dei poveri cameraman che vengono spintonati da ubriachi senza denti.  

 

I triestini fanno come hanno sempre fatto durante i rovesci storici: si rifugiano nei caffè. Perché Trieste è la città del caffè (Illy, ovvio) ma anche dei caffè, quelli dagli alti stucchi e dai piccoli tavolini di marmo dove i nevrotici scrittori componevano i loro romanzi. Al San Marco, il più celebre, non c’è stata gentrificazione, ha una bella aria vissuta, i tavolini smangiati; c’è il tavolo di Claudio Magris, che ancora viene, c’è quello di Covacich, c’è quello dei ragazzi che giocano a scacchi o consultano libri (è diventato anche una libreria) ed è insomma simbolo di come Trieste si è reinventata negli anni. Alexandros Delithanassis da quasi dieci anni ha preso in mano lo storico locale che ovviamente, siccome siamo a Trieste, è di proprietà delle Assicurazioni Generali. E’ stremato. “Ci abbiamo messo un sacco di anni a far conoscere questa Trieste aperta, cosmopolita. E adesso arrivano loro a rovinare tutto”. Loro sono “i vari no vax, no green pass, no qualunque cosa”, che si sono aggregati in questa piccola Woodstock. “Te ne potrei raccontare mille. Entrano, dicono che vogliono avere accesso ai libri, che è un diritto costituzionale, e non hanno il green pass, ma questa è una libreria, mica una biblioteca. Oppure, l’altro giorno, suona il telefono, uno mi dice senta, lei potrebbe portare 400 caffè e 400 cornetti nella tal piazza?”. Rifornimenti per i rivoltosi. “Avran cercato ‘bar + Trieste’ su Google, non sanno che locale è questo, ma non sanno neanche usare Google, e poi io 400 caffè non glieli porto certo, a questi sfessati. Mia moglie invece ha incontrato una specie di processione, perché adesso ci sono anche i neocatecumenali. Vanno in giro, ‘preghiamo’, dicono, ‘per questo brutto momento che Trieste sta attraversando’. Ma il brutto momento glielo state facendo attraversare voi a Trieste!”.

 

Viaggio dentro alle rivolte dei no vax

Sì perché in questa Woodstock triestina c’è dentro tutto. “C’è l’estrema destra, l’estrema sinistra, i no vax puri, quelli invece diciamo sì vax ma che non vogliono mostrare il green pass. E poi un sacco di new age: qualcuno dice che a piazza Unità ci sono i semi stellari. I semi stellari, capisce?”. In effetti anche giovedì alla manifestazione a San Giacomo c’erano diverse signore dai capelli crespi uguale alla mamma hippy della serie “The Maid”. “Due ragazzi, uno di Napoli e uno di Bergamo, che mi dicono: ci siamo licenziati dai nostri lavori, finalmente siamo liberi, e siamo venuti qui". Insomma è davvero una specie di Summer of Love, tutti vengono qui in questa San Francisco italiana, e certo al posto di Allen Ginsberg c’è Puzzer. Una tre giorni di poesia, musica e no green pass. “Stiamo raccogliendo i più pazzi d’Italia”, dice sconfortato Delithanassis.

 

Diverse teorie sul perché a Trieste stia succedendo tutto questo. Teoria della crisi del melting pot. Sempre Delithanassis: “Io per esempio faccio parte della minoranza greca, a Trieste ci sono quella greca, quella ebraica, quella serba. C’è la chiesa greca ortodossa, quella serba ortodossa, c’è la sinagoga. Tutti convivono pacificamente e si interessano uno dell’altro. Mia figlia per esempio va alla scuola ebraica, e poi torna a casa e mi parla in ebraico e io non capisco niente, e questo è il bello di Trieste. Però questo meraviglioso melting pot è andato in crisi, a un certo punto, e tu guardi all’altro con sospetto”. Teoria del corpo. Come del corpo? “Be’, non ti sei accorto di quanto sono tutti sportivi? Tutti fanno yoga. Tutti sanno perfettamente sciare (non è scontato in una città di mare). Tutti nuotano. Se vai un giorno in spiaggia te ne accorgi” (effettivamente il mio host dell’Airbnb la mattina mi ha detto “vado in acqua” e alla mia richiesta di spiegazione mi ha detto che andava a fare surf). Insomma, con questa cura, diciamo pure ossessione del corpo, sarebbero restii a introdurvi, in questo tempio, qualcosa di sospetto. Mah.

 

Teoria della ribellione: a questo punto al San Marco entra Alessandro Mezzena Lona, per anni capo della cultura del Piccolo, si diletta a scrivere raffinati gialli letterari (ultimo, “L’amore danza sull’abisso”, protagonista un Italo Svevo, al secolo Ettore Schmitz, che constatato l’insuccesso dei primi romanzi, si convince a seguire il business di famiglia e parte per Venezia). Trieste compete forse solo con Napoli per la quantità di libri scritti sulla città e sui e dai propri scrittori. La libreria del San Marco tra Asburgo, impresa di Fiume, Svevo, Joyce, ne trabocca. “Trieste è lontanissima da Roma, più rivolta verso l’Austria che non verso l’Italia”, dice Mezzena Lona. Già, arrivarci è difficilissimo, da e per  Roma esiste un solo Freccia oppure c’è un Intercity che ci impiega nove ore.

 

"Capitale politico-illuministica dell’impero austro-ungarico all’inizio del Settecento” scriveva Piovene nel suo “Viaggio in Italia”. “Da piccolo municipio di 3000 abitanti e di breve respiro, abitato da pescatori, salinatori, orticultori, artigiani, divenne per decisione sovrana l’unico porto di un impero vasto ma povero di coste. La qualità della sua origine rende Trieste succuba di ogni variazione della carta politica, dipendente dalla tutela di organismi politici centrali; in maggiore o in minor misura Trieste avrà sempre bisogno dell’assistenza dello Stato”. Se non altro per pagare le pensioni ai suoi tantissimi elegantissimi anziani, una delle città con età media più alta, in Italia (infatti la sede Inps, colossale, troneggia vicino alla stazione). Trieste non crogiuolo ma cassa di risonanza, come diceva Bazlen. Di amore e odio per Roma, anche.  Di nostalgie anche un po’ suonate (in città è pieno di austriaci veri e finti, sul Canal Grande a un chiosco di wurstel “austriaco” si trangugiano grandi birre ma il wurstelaro dice “veramente mi son de Trento”. 


“Devi capire che a differenza di quello che si dice generalmente, Trieste l’Italia la scelse proprio”, dice Mezzena Lona, e fu subito una fregatura, “arrivarono il fascismo e i disordini. Arrivò subito la delusione dell’italianità”. E così “Trieste da sempre registra prima alcuni scossoni che si verificano nel resto d’Italia. Come negli anni Settanta la Lista per Trieste, fondata tra gli altri da una nipote di Svevo, che prese quasi il trenta per cento alle elezioni battendo i partiti tradizionali e anticipando di vent’anni Tangentopoli”. 

 

“Come questo 3V che ha preso il 4 per cento. Ma chi l’aveva mai sentito?”, si inserisce un signore appoggiato al bancone del bar. Insieme a un amico sta prendendo un bello spritz alle dieci e diciotto di mattina. “Devi considerare anche il fattore alcolico”, per cui nell’atmosfera sospesa triestina c’è anche questo. Racconta che in piazza ci vanno tantissimi, in questi giorni, ci sono quelli con la madonna e il rosario, ci sono cartelli in rumeno, e non si capisce che minoranza sia; ci sono i no vax, ma c’è anche un attivista Lgbt locale, Antonio Parisi, già vittima di aggressioni omofobe, che sfila insieme a Tuiach, il super no vax antigay, capisci? Io la vedo come le processioni secentesche, dopo l’epidemia di peste. Tutti hanno voglia di fare casino”, dice l’avventore. Il fattore no vax e no green pass sarebbe insomma solo un pretesto. “C’erano state proteste dei portuali già l’anno scorso, poi si sono mescolate col resto. E’ anche questa città così provinciale, anche se si crede ancora una capitale, che per una volta ritorna sotto i riflettori”.

 

Insomma questa città così tranquilla, patria delle Generali (coi loro 190 anni di storia e con la battaglia per il suo controllo che durano e intrattengono più di un Beautiful. Nei suoi archivi la letteratura, Kafka, Svevo, e cosa c’è di meno italiano di una polizza di assicurazioni?). Soldi vecchi, buona qualità della vita, macchine tutte vecchiotte, educazione. “La decenza civile, la moderata letizia dei conti che tornano”, sempre Piovene. “Più che altrove l’economia ha qui un valore anche morale”; ed ecco il sindaco eterno Dipiazza, piccolo magnate dei supermercati che ha retto pure al cappotto del centrosinistra alle ultime amministrative. In questa città placida come una polizza kasko, si capisce che una vena di follia repressa consenta e richieda ogni tanto qualche carnevale, o Woodstock.

 

L’aveva capito un altro rabdomante con un talento per lo show business, D’Annunzio. L’impresa di Fiume, con la follia della Repubblica del Carnaro (anche lì democrazia diretta e uno vale uno, forse andava studiata meglio), fu una gran chiusura di secolo, tra sesso droga e rock and roll ante litteram (lo raccontava Palazzeschi, Gadda rimpiangeva  di non esserci stato). E anche oggi, in tutta la città, sparsi i cartelli che rimembrano l’impresa del Milite Ignoto, quando esattamente cent’anni fa lui, sempre lui, questo pazzerello che oggi sarebbe certamente un No Vax (ma più organizzato e chic) coniò quest’espressione e il “format”: trovare dei cadaveri di soldati non riconosciuti, e poi una madre, sul modello cristiano della mater dolorosa, ne sceglierà uno, che sarà portato in corteo, passando di paese in paese e di città in città, tra bande e lutti veramente barocchi, da Trieste in giù fino al Vittoriano, ove fu finalmente tumulato il 4 novembre 1921 (e ieri, trenino rievocativo per il centenario, con a bordo il ministro Guerini). 

 

Trieste e la gran tradizione letteraria della città

“Sono diventati tutti pazzi”, insiste l’editore-libraio-barista. “Non ci si riconosce più tra di noi. Litighiamo tra amici. Scopro ex compagni di scuola che mi dicono, sai, il vaccino non lo faccio. Il mio professore di matematica dell’università. Tutti pazzi”. Del resto, Trieste città alienata, ecco un altro stereotipo. E allora rivolgiamoci ai tecnici. Entrino gli psichiatri. “Ci vediamo al San Marco”, mi dice come se fosse ovvio il professor Roberto Mezzina, già direttore del centro di salute mentale di Trieste per tanti anni e oggi presidente dell’International Mental Health Collaborating Network. Basagliano puro, è arrivato da Bari nel 1978, proprio l’anno in cui entrò in vigore la legge 180, quella che apriva i manicomi. A Trieste andava in scena quell’altra grande Woodstock ben più dignitosa, quando un signore decise di aprire i manicomi e far parlare i matti e psichiatri da tutt’Italia arrivavano qui per far cambiare per sempre quell’orribile disciplina. Una delle poche realizzazioni concrete della contestazione, si sviluppò proprio a Trieste. “Il simbolo era il manicomio di San Giovanni, oggi trasformato in bellissimo parco pubblico”, dice Mezzina. Il manicomio era diviso tra graziose palazzine ancora molto imperiali divise però tra “Suicidi e Paralitici”: “sudici” (incontinenti) e i paraplegici. E poi “Agitati” e “Agitate”, e i “Tranquilli”, quelli magari lobotomizzati “(gli venivano recisi i collegamenti tra lobo destro e sinistro del cervello. Ne trovammo tre in queste condizioni”). Tutto cambiò, con un modello che ha fatto scuola, di assistenza diffusa sul territorio, i centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, che trovano qualcuno che conoscono e qualcuno che gli bada, che escono per sempre dal manicomio per essere reinseriti nella società anche per lavorare e non solo nelle famose cooperative sociali. “Una paziente venne a lavorare qui al San Marco, certo, sentiva le voci, continuò a sentirle per tutta la vita, ma per il resto era bravissima”. Adesso tutto questo sistema sta andando in malora, perché la Regione vuole tagliare l’assistenza, e Trieste e i suoi matti sono in pericolo. Colpisce che proprio adesso la città ne attiri da ogni dove. 

 

Per arrivare al San Marco si passa sotto la casa di Edoardo Weiss, celebre psicanalista allievo di Sigmund Freud, che conobbe a Vienna, dove si trovava a fare il servizio militare, e ne approfittò per farsi un po’ di analisi, e poi tornò importando quella disciplina a Trieste. Ma intanto raccontano che in un altro caffè, il Garibaldi (nulla avviene o avveniva fuori dal caffè, qui) le idee psicanalitiche irruppero nella tranquilla ma nevrotica Trieste come un gioco di società, per cui al bar tutti raccontavano i propri sogni a tutti, e tutti li interpretavano: all’ora dell’aperitivo si riunivano Saba, Svevo, Bobi Bazlen, Guido Voghera e altri. Alla fine diventò ingestibile questa psicanalisi da bar anzi da caffè, tanto che Weiss si stufò e si trasferì a Roma fondando la Spi, la società psicoanalitica italiana.

 

Insomma, professore, questo delirio. Ci spieghi “Forse una reazione all'angoscia collettiva della pandemia, la ricerca di un senso dietro le cose. Poi c'è da dire che Trieste in fondo è diventata, gradatamente, la città della scienza. L’anno scorso era stata nominata capitale europea della Scienza 2020 battendo l’Olanda. Un riconoscimento all’eccellenza assoluta, dalla Sissa al Sincrotrone, dall’Istituto di Oceanografia al Centro di genetica e biotecnologie alla psichiatria basagliana. Dunque come capitale della scienza è il bersaglio perfetto per questo delirio collettivo, perché per molti di delirio collettivo si tratta. Ma abbiamo anche diversi medici e infermieri no Vax, il che è meno spiegabile… poi certo c’è anche l’idea del confine, quando è sparita la Jugoslavia, ci si ritrova col fantasma dell’Altro che rinasce in casa…”.  Insomma, professore, non è che cinquant’anni dopo Basaglia sarà ora di riaprire questi manicomi a Trieste? “Nessuno li vuole – la risposta è lapidaria - ma anche volendo non ci sarebbero i soldi”.
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).