Pietro Marussig, paesaggio di Trieste, 1912 (Wikimedia Commons) 

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Cuperlo a Trieste cita Saba dopo il voto. Poesie lungo la via di casa

Adriano Sofri

C’è un ristorante sulle cui pareti sono trascritti i versi di "Città vecchia", chi va da solo e non si dedica al telefonino ha tempo per impararli a memoria. A ripeterli come una canzone, sulla strada del ritorno, si è in compagnia

Ieri Gianni Cuperlo ha ricordato, commentando il voto triestino, la chiusa di “Città vecchia” di Saba: “Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via”. Ho pensato al momento, nella vita, in cui si smette di imparare le cose a memoria, e si comincia a dimenticarle. Si va avanti di rendita, col gruzzolo che si riduce via via senza venir alimentato. Gran perdita, specialmente quando si faccia naufragio in un’isola deserta o in una folla rumorosa o in una galera.

A Trieste, a Cavana, c’è un ristorante sulle cui pareti sono trascritti i versi di Saba. Ci vado volentieri quando sono solo (ogni tanto ci trovo Paolo Rossi, e sono contento). Chi è solo al ristorante, e non si dedica al telefonino, ha tempo, così mi siedo davanti alla parete coi versi iniziali di “Città vecchia” e li imparo a memoria. Ci metto molto di più di quanto ci metterei a cinque anni. E quando esco e torno al mio albergo me li vado ripassando, appropriati come sono al tragitto: “Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia. / Giallo in qualche pozzanghera si specchia / qualche fanale, e affollata è la strada”. La prima strofa mi piace di più dei tre versi ultimi, che dicono in modo bello un luogo piuttosto comune. Eppure la prima strofa resiste alla memoria. Provate: bisogna abituarsi al “qualche” ripetuto, e quando vi siate abituati vi succede di ripetere anche “via” al posto di “strada”. “Strada” rimanda per assonanza a “casa”, senza cercare la rima.

Ma viene da cambiare il primo verso, così: “Spesso, per ritornare a casa mia”, dunque “via”, oltre a raddoppiare la ripetizione, rimerebbe con “mia”. (Però “via” chiuderà l’ultimo verso, citato da Cuperlo). Provate, e vi succederà anche di sbagliare il primo “qualche” – “Giallo in qualche pozzanghera si specchia” – e di sostituirlo coi più facili “una” o “nelle” –  “in una pozzanghera…”, “nelle pozzanghere”. Quante trappole tende la memoria indebolita. Eccone un’altra: “Giallo, qualche semaforo si specchia…”. Suona bene, no? Già, ma come continuare con la pozzanghera? Quando avrete ricostruito la quartina (attenzione: sul pannello del ristorante, per ragioni di spazio, la metrica è tradita, e i versi corrono su cinque righe) la ripeterete, come una canzone, sulla via del ritorno, e sarete in compagnia. Allora, di nuovo: “Spesso, per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia. / Giallo in qualche pozzanghera si specchia / qualche fanale, e affollata è la strada”.

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