Il memoriale dell'Olocausto sulla riva del Danubio, a Budapest (foto Paola Peduzzi)

La ferita europea e l'antisemitismo

Paola Peduzzi

La memoria evapora, l’odio aumenta: gli ebrei non si sentono più al sicuro in Europa. I sommozzatori israeliani nel Danubio e la demonizzazione anti Soros in Ungheria

Milano. I sommozzatori israeliani hanno iniziato a scandagliare il letto del Danubio, a Budapest, per cercare i resti delle migliaia di ebrei uccisi sulle rive del fiume durante la Seconda guerra mondiale e dar loro una sepoltura: almeno ventimila persone, dice la comunità ebraica ungherese, costrette a spogliarsi, occhi al Danubio, uccisi dalle Croci frecciate con un colpo alle spalle – c’è un memoriale oggi, tra il ponte delle Catene e il ponte Margherita, dietro al Parlamento, che è un urlo secco che si sente a ogni sguardo: delle scarpe abbandonate sulla riva, le scarpe degli ebrei, che ci dicono di non dimenticare. I sommozzatori non hanno ancora trovato nulla, a febbraio è prevista un’altra missione.

  

Le decisione del governo di Viktor Orbán di assecondare una richiesta che Israele aveva iniziato a fare tre anni fa è stata letta come una rassicurazione: siamo amici di Israele, siamo amici degli ebrei, l’accusa di antisemitismo nei nostri confronti è infondata. La questione è molto dibattuta, c’è chi dice che non basta un sonar sul fondo del Danubio a capovolgere una politica orbaniana che ha risvegliato l’antisemitismo – a dicembre, Ira Forman ha scritto sull’Atlantic: “Orbán rivendica la propria policy ‘tolleranza zero’ sull’antisemitismo mentre usa il fischietto per i cani per risvegliare gli antisemiti” – e chi dice che invece Budapest sta facendo i conti con la propria identità e il proprio passato e non ha un approccio assolutorio. I due mondi come ormai capita su ogni tema non dialogano e non si confrontano, e in questa polarizzazione finisce per duplicarsi il problema: la memoria si affievolisce e l’odio aumenta. Oggi è stato pubblicato il documento definitivo dell’indagine Eurobarometro sull’antisemitismo in Europa (alcuni dati erano già stati anticipati a dicembre) e Frans Timmermans, vicepresidente della commissione europea, ha sottolineato in un thread su Twitter la gravità dell’esito di questo sondaggio: “L’antisemitismo sta rialzando la sua orribile testa in Europa. Mentre l’odio è diventato uno strumento politico, le nostre comunità ebraiche vivono nella paura di essere l’obiettivo finale della discriminazione, degli abusi e della violenza”. Per Timmermans, “visto che i sopravvissuti dell’Olocausto stanno via via morendo”, la responsabilità di mantenere la memoria resta sulle nostre spalle, ed è una responsabilità enorme.

 

 

I dati dell’Eurobarometro sono preoccupanti: la percezione dell’antisemitismo è lo specchio esatto dei vasi non comunicanti della nostra politica e della nostra società. Per il 50 per cento degli intervistati, l’antisemitismo è assolutamente un problema; per il 43 non lo è per niente. Cresce l’antisemitismo? Per il 36 per cento sì, per il 39 è sempre lo stesso. Mentre soltanto per un europeo su due, la negazione dell’Olocausto è antisemitismo (dentro le comunità ebraiche la percentuale è al 95 per cento). In un discorso al museo ebraico di Bruxelles, la commissaria europea alla Giustizia, la ceca Vera Jourova, ha ricordato che 4 ebrei su 10 pensano di lasciare il nostro continente e se per 9 ebrei su 10 l’antisemitismo nei nostri paesi è in aumento è, secondo la Jourova, “una vergogna europea”. Per la commissaria bisogna investire sull’istruzione, l’unico modo per tenere viva la memoria dell’orrore antisemita, sul lavoro del coordinatore contro l’antisemitismo già nominato assieme a Timmermans, e sul riconoscimento della definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance, che per ora è stata approvata soltanto da Regno Unito, Germania, Austria, Lituania, Slovacchia, Romania e Bulgaria.

 

L’iniziativa europea è spesso criticata: troppo poco e troppo tardi. Ma oltre a un problema di memoria c’è anche quello dell’odio come strumento politico, che viene utilizzato in molti paesi senza che l’Europa possa fare granché. Non si tratta di accusare questo o quell’altro leader di antisemitismo, bensì di valutare come la propaganda politica abbia fatto riemergere complottismi e odi antichi, a cominciare proprio dall’antisemitismo. Il governo ungherese ha speso 260 milioni di euro in propaganda politica negli ultimi otto anni, secondo un report del sito indipendente Átlátszó.hu, 40,5 soltanto nel 2017 e soltanto contro George Soros. Il rapporto tra Orbán e il magnate liberal è ben più complesso del semplice attacco antisemita: Soros fece studiare con una borsa di studio a Oxford l’attuale premier ungherese e gli fornì il primo ufficio con stampante per il partito Fidesz. Poi le loro strade si sono separate, ma la campagna contro Soros è piena di riferimenti a quello che la comunità ebraica a Budapest definisce “stereotipo contro la nostra comunità”. Se alla demonizzazione di Soros si aggiunge la statua eretta lo scorso anno a Miklós Horthy, che era reggente di Ungheria mentre 400 mila ebrei venivano deportati e a migliaia denudati e uccisi sulla riva del Danubio, diventa chiaro che tra memoria che svanisce, rivisitazione della storia in chiave nazionalista e odio come strumento politico, l’Europa rischia di non essere più una casa sicura per gli ebrei.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi