Il calcio nel campo di concentramento di Terezin

Emmanuele Michela

Un campionato giocato dal 1941 al 1944, le immagini utilizzate a scopi propagandistici dai nazisti, il racconto di chi è sopravvissuto: “Ci serviva un po’ di piacere nelle nostre vite disperate”

È un calcio gioioso e vitale quello che si giocava a Terezin, campo di concentramento nazista che si trovava in Cecoslovacchia. Un campionato di calcio interno fu disputato dal 1941 al 1944, e c’è perfino un documentario che racconta quelle partite. Ma sono immagini che rischiano di essere illusorie, immortalate dalla cinepresa di Kurt Gerron, regista ebreo cui i tedeschi commissionarono (probabilmente con la promessa di aver salva la vita, cosa che poi non avvenne dato che Gerron morì ad Auschwitz) quel film a scopi propagandistici, proprio mentre si “tirava a lucido” il campo in vista della visita di una delegazione della Croce Rossa, sollecitata, tra gli altri, dai re di Danimarca a controllare in che modo venivano trattati gli ebrei (tantissimi erano infatti i prigionieri qui arrivati dal Paese scandinavo, anche molti bambini).

 

  

Più in generale, Terezin, vecchia fortezza asburgica nelle fredde campagne della Boemia trasformata poi dai nazisti in campo di prigionia a partire dal 1941, doveva essere un luogo “modello”, che accolse più di un intellettuale ebreo dell’epoca. Ma era solo apparenza: le condizioni erano durissime, il lavoro pesante, la concentrazione di persone non di rado terribile (il campo poteva ospitare circa 7mila persone, ma vi furono momenti in cui arrivò ad accoglierne dieci volte tanto). E soprattutto, era un luogo di primo smistamento: da qui gli ebrei venivano fatti salire su treni destinati poi ad altri campi, su tutti Auschwitz, senza poi fare ritorno. 

 

Fa un certo effetto pensare che la gran parte delle persone immortalate in quel documentario sarebbe scomparsa nel giro di un mese e mezzo. E sebbene il film avesse uno scopo propagandistico, il campionato di calcio di Terezin era qualcosa di vero, una piccola realtà sportiva che agli ebrei serviva tantissimo per distrarsi, rendere un po’ meno terribile la vita nel campo. Le squadre coinvolte erano una decina, e prevalentemente attingevano dai diversi reparti di lavoro in cui si divideva Terezin: c’era la formazione dei macellai, quella dei cuochi, gli addetti al magazzino. Si giocava sette contro sette, in un campo nel cuore del cortile, davanti, talvolta, perfino a 3500 spettatori (ritratti in grande festa nel documentario).

 

A chi vinceva erano destinate razioni di cibo più abbondanti, ma il dramma era che le squadre, di settimana in settimana, potevano perdere tanti dei loro calciatori, trasferiti poi in altri campi. Una delle figure più note di questo campionato fu Paul Mahrer, già nazionale cecoslovacco ai giochi Olimpici del ’24, imprigionato a 40 anni dai tedeschi a Terezin. Ancor più importanza ebbe Fredy Hirsch, ebreo tedesco che portò nel campo più di una disciplina sportiva, allo scopo di educare corpo e spirito anche a sopportare la fatica. Poi Peter Erben, che in Cecoslovacchia aveva giocato anche a hockey, e Terezin si doveva occupare dei giovani prigionieri. “Giocavo nella squadra dei Children’s Care”, ha scritto Erben nel suo libro, “e nel nostro gruppo c’era Franta Mayer come portiere, io e Pavel Breda come difensori, Shmuel Klauber centrocampista e tre attaccanti, tra i quali l’indimenticabile Honza Burka, che faceva gol da ogni posizione. Ovviamente eravamo i beniamini degli spettatori, e ognuno ci riconosceva. Nelle altre squadre c’erano straordinari giocatori internazionali, come Jirka Taussig, portiere della nazionale cecoslovacca”.

 

A illuminare le vicende della Terezin Liga ha contribuito un secondo documentario, diffuso nel 2012, curato dal giornalista israeliano Mike Schwartz e da Oded Breda, nipote di uno dei calciatori. Incuriosito da una fotografia dello zio ritratto in campo, ha iniziato a documentarsi su quel torneo, scoprendo un vero e proprio baule di storie e umanità là dove l’umanità doveva essere azzerata: vi era un’autentica organizzazione della lega, con arbitri professionisti e risultati delle gare settimanalmente pubblicate dai giornali del campo. “Il calcio era questione di piacere, e ci serviva un po’ di piacere nelle nostre vite disperate”, racconta nel film Tomas Brod, che a 13 anni si trovò a Terezin. “Era importante non perdere la fiducia in noi stessi e la nostra dignità. Era pazzesco, ma era la realtà”.

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