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La società dei cretini

Daniele Raineri

Un professore americano guida la ribellione contro l’uomo medio che non sa nulla e pretende di spiegare tutto agli esperti. Ha scritto un libro-manifesto. C’è bisogno di un Grande Spavento, dice

Tutto è cominciato durante una discussione tra un professore e un giovane a proposito di Edward Snowden. Ricordate il caso del contractor dell’intelligence americana che un giorno decise di trafugare una mole immensa di dati segreti, di metterli su una chiavetta digitale e poi di scappare a Mosca in Russia, dove sta ancora oggi? Per alcuni era un romantico eroe della trasparenza che anelava soltanto a mettere a nudo la abilità terribili dell’intelligence americana quando si tratta di spiarci via Internet. Per altri la fuga di Snowden è stata un gran colpo dell’intelligence russa, che grazie a lui ha messo le mani su informazioni preziose, ha disarmato i rivali americani nel campo della sorveglianza online – o perlomeno ha recuperato lo svantaggio che li separava – e ha fatto sembrare il tutto una battaglia d’avanguardia per i diritti civili. Fu durante questa discussione che Thomas M. Nichols, professore al National Security Affairs all’US Naval War College di Newport in Rhode Island, si sentì dire dal giovanotto: “Tom, tu non conosci la Russia. Lascia che ti spieghi io come funzionano le cose in Russia, Tom”.

 

Il fatto è, dice il professor Nichols al Foglio, che io sono un esperto di Russia e parlo russo e mi sono occupato di quel paese per trent’anni. Avevo appena detto che il governo di Mosca era molto coinvolto in quel caso, mentre il giovane aveva delle idee molto astratte sulle motivazioni di Snowden. In quel momento è come se avessi avuto un’illuminazione: quanto è ridicola questa conversazione? Così quella sera mi sono seduto e ho scritto un articolo che poi è diventato un libro.Il libro è “La conoscenza e i suoi nemici”, esce questa settimana nella traduzione italiana (Luiss University Press, 246 pagine) ed è il manifesto della rivoluzione dei competenti, vale a dire di quel recente moto di ribellione che vorrebbe rimettere le cose al suo posto: gli esperti parlano, gli americani con una bassa conoscenza di base ascoltano. Uno studio recente dice che gli abitanti degli Stati Uniti non sono più ignoranti di cento anni fa, ma per Nichols questo non è un dato consolante nemmeno un po’: vuol dire che sono rimasti fermi allo stesso livello mentre tutto attorno a loro il mondo diventava sempre più sofisticato e sempre più difficile da capire, soprattutto se tutto quello che hai a disposizione sono un paio di pregiudizi rozzi orecchiati su Internet.

 

La realtà è che c’è poco da fare: chiunque con un po’ di buon senso e di intelligenza ammette che gli specialisti sono necessari e che anche un gesto naturale come fare colazione al mattino è in realtà il frutto di competenze incrociate che per la maggior parte sono al di là della nostra portata, perché non possiamo fisicamente occuparci di tutto e sapere tutto. La vecchia boutade “la specializzazione è per gli insetti”, dello scrittore di fantascienza Robert Heinlein, è appunto soltanto una boutade e se abbiamo bisogno degli esperti per fare colazione, figurarsi quanto abbiamo bisogno di loro in altri campi. Eppure non vogliamo ammetterlo, anzi, la conoscenza altrui ci fa scattare la voglia di contestazione.

 

Il fenomeno non è nuovo – avverte Nichols – “lo farei risalire alla fine degli anni Sessanta, come parte della cultura giovanile che è rimasta e che è cresciuta poi negli anni Settanta”. Gli americani disprezzano il sapere, disprezzano gli esperti e in generale disprezzano chi ne sa più di loro. Ma adesso è un fenomeno in accelerazione e ce ne accorgiamo di più in tutti i campi, dalla politica alla medicina. Nel giro di pochi anni siamo saltati giù da un livello che era già basso e preoccupante – quindi: mancanza di informazioni e antipatia generica verso i competenti – e siamo atterrati al livello “disinformazione”, superando di slancio il livello intermedio della “cattiva informazione”. E non ci siamo fermati lì, perché poi siamo scesi al livello ancora sotto, quello dell’“errore aggressivo”: la gente adesso non soltanto crede alle sciocchezze, ma si oppone a imparare di più pur di non abbandonare le sue convinzioni. E’ “la morte della competenza”. Che infatti è il titolo originale del libro e suona molto più cupo di quello scelto per la versione in italiano (ovviamente una citazione di un’opera fondamentale di Karl Popper: “La società aperta e i suoi nemici”).

 

Breve digressione: il libro è di un autore americano ed è il frutto di esperienze americane, ma potrebbe essere stato scritto in Italia, dove qualche problema con la conoscenza di base l’abbiamo pure noi. Vedi per esempio il livello del Parlamento, dove si devono prendere decisioni sul futuro del paese e che ha partorito un disegno di legge contro il grano saraceno – scritto da alcuni parlamentari convinti che si trattasse di un frumento importato da paesi arabi – oppure il celebre ancorché curioso caso del dittatore sudamericano Pino Chet. Vedi in prima fila i partiti politici che strizzano l’occhio al movimento degli anti-vaccinisti, portabandiera fanatici di una superstizione orrenda che ci sta di fatto rendendo tutti più deboli contro le malattie e che sta vanificando una delle scoperte mediche più importanti fatte dall’uomo. Ma anche senza citare questi esempi autoevidenti, basta appoggiare l’orecchio sui social media per ascoltare il borborigma perenne ed eruttivo dei tanti italiani convinti che la competenza non esista, e che se proprio esiste è una gigantesca fregatura montata da qualcuno contro di loro. E dunque se la conoscenza è morta, chi l’ha uccisa? Come si spiega il montare di quest’onda di odio contro gli esperti? “La sfida contro la competenza è il risultato della crescita del benessere e quindi del narcisismo nel mondo sviluppato. Polemizzare con gli esperti è un lusso che la gente può concedersi nelle società avanzate, dove l’alto standard di vita fa sembrare tutte le cose facili e dove l’istruzione universale produce l’illusione della competenza distribuendo titoli di studio – ci dice Nichols, professore universitario da decenni – La persona media non ha idea del processo complicato che c’è dietro anche soltanto al semplice invio di un messaggio con la posta elettronica. Ma siccome ormai sono tutti andati al college, sono stati convinti tutti a credere che possono capire ogni cosa”.Ovviamente il libro del sovietologo del Naval College non è così ingenuo da sostenere che tutti gli “esperti” siano davvero esperti: molti di loro si danno da soli questa definizione, “un po’ come le persone che credono di baciare bene”. Le credenziali non bastano per fare una persona competente, ci vuole una storia lunga e solida di risultati positivi nel proprio campo. E molte volte non basta, perché gli esperti commettono errori disastrosi: le stesse persone che ci hanno portato sulla Luna ci hanno portato anche nella guerra in Vietnam, i dottori che prescrivevano il talidomide non avevano ancora capito che può causare deformità nei nuovi nati se lo somministri alle donne durante la gravidanza, lo Space Shuttle Challenger è esploso in aria a poco più di un minuto dal lancio verso lo spazio. La storia è piena di catastrofi causate da esperti che sbagliano. Ma non è una ragione sufficiente per abbandonare la competenza, “sarebbe come smettere di affidarci ai piloti d’aereo perché sappiamo che ci sono le sciagure aeree”.

 

Il modello della conoscenza e della competenza va rivisto e giudicato di continuo, non va buttato via in un pozzo.Attenzione, Nichols è un sostenitore convinto dei dibattiti tra persone che la pensano in modo differente: “Sono abituato al fatto che le persone non si trovino d’accordo con me, anzi è un atteggiamento che incoraggio, i dibattiti sono un segno di salute e di vitalità intellettuale”. Trova naturale un certo grado di avversione per gli intellettuali e i sapientoni, fa parte della tradizione americana, è come se fosse una seconda dichiarazione d’indipendenza, a nessuno piace pensare di essere così poco autonomo. Racconta che quando trent’anni fa faceva il professore in un college vicino alla città dove è nato andava a trovare il fratello nella sua tavola calda. Una sera dopo che aveva lasciato il locale un cliente disse al fratello: “E’ un tipo a posto, anche se è un professore”. Se poi lavori nel settore politico, come è successo a Nichols che è stato consulente al Congresso, il fatto di finire in discussioni molto intense con persone poco preparate “è il prezzo normale da pagare”. Se sei un esperto di politica, fa parte del lavoro. “Ma il problema qui è diverso”, la conoscenza e la competenza stesse sono diventate il bersaglio del risentimento e della rabbia dell’uomo comune. I pazienti contestano la diagnosi dei medici e si arrabbiano, i genitori degli studenti contestano i professori, come se la loro preparazione più elevata non esistesse o fosse persino un’aggravante.

 

Diciamo a Nichols che in Italia c’è un professore di microbiologia e virologia, Roberto Burioni, che sfida apertamente il movimento antivaccinista. Il suo elemento distintivo è il tono molto diretto. Ecco per esempio cosa ha risposto di recente a un politico che voleva discutere con lui di vaccini: “Se parliamo di vaccini ci sono due possibilità: lei si prende laurea di specializzazione e dottorato e ci confrontiamo. Oppure – più comodo per lei – io spiego, lei ascolta e alla fine mi ringrazia perché le ho insegnato qualcosa. Uno non vale uno”. Alcuni apprezzano questo approccio, ci sono molti fan, altri sono in disaccordo e sono infastiditi, dicono che così Burioni suona troppo arrogante. E’ questo il modo giusto per riportare sulla retta via le legioni degli ignoranti? Meglio l’approccio duro o l’approccio morbido? “Ho smesso di credere all’approccio morbido. E’ soltanto un modo per tentare di confermare che i non esperti e gli esperti sono sullo stesso piano. Non lo sono. Mi piace l’approccio del dottor Burioni”.

 

A proposito di politici. La morte della competenza e il degrado dei toni usati in politica sono due cose strettamente collegate? “Sì lo sono, la politica e la repulsione per la competenza sono sempre connesse dal populismo. Il populismo convince la gente ordinaria che governare una nazione complicata non è per nulla difficile, che bastano la rabbia e l’impegno, e quindi i fatti, l’istruzione e la competenza possono andarsene al diavolo. E’ un pensiero che ti fa sentire molto potente, ma conduce sempre al disastro”.

 

In Italia c’è un partito populista, il Cinque stelle, che spinge su questo concetto: la qualità più importante per un candidato è essere nuovo alla politica, meno esperienza si ha meglio è perché vuol dire essere onesti e incontaminati. Il loro candidato leader è un ex steward che non è riuscito a completare gli studi e talvolta fa gaffe ridicole. Quando si fa notare ai loro sostenitori che non considerano la competenza come una priorità, la risposta di default è: “Guardate gli altri, guardate cosa hanno fatto in questi anni”. E tra un paio di settimane abbiamo le elezioni. “Non saprei esprimere un’opinione sui Cinque stelle, perché non conosco la politica italiana e non sono italiano”, risponde Nichols, fedele alla linea: anche la scena politica italiana è materia per esperti del settore e quindi lui non può esprimere un giudizio diretto. “Ma la storia è piena di gente che crede che non sapere nulla di politica li renda puri. In realtà, come succede sempre, questo li rende inefficaci, facili da manipolare e alla fine li fa diventare vulnerabili alla corruzione oppure li spinge lontano dalla politica”.

 

Un pallino del professor Nichols – tenuto fuori dal suo libro, ma c’entra molto – è che la generazione più giovane si lamenta sempre della situazione di oggi e non riconosce che in passato le cose andavano molto peggio. In Italia questo argomento fa molto discutere, c’è chi dice che i giovani italiani sono “bamboccioni” e chi dice che invece bisogna tenere conto del contesto generale che li sfavorisce: la crisi economica, la disoccupazione giovanile, la mancanza di lavori all’altezza degli studi. “I giovani in America sono buoni di cuore e hanno voglia di lavorare duro, ma credono di vivere in un periodo storico di una difficoltà unica, il che fa ridere. In questo senso, in effetti sono stati viziati e questo offusca profondamente il loro senso di quello che possono o non possono aspettarsi dal mondo”.

 

Si potrebbe sospettare che siamo così ingrati con gli esperti perché il nostro stile di vita nella società moderna ci mette al riparo dalle conseguenze dei nostri errori e delle nostre convinzioni sbagliate. Per esempio, forse alcuni di noi sono contro i vaccini soltanto perché nessuno di noi ha mai visto dal vero un caso di vaiolo. Abbiamo bisogno di un Grande Spavento per convincerci del valore della competenza? “Io penso davvero che un Grande Spavento stia arrivando. Potrà essere un’epidemia, una guerra oppure un collasso economico. A quel punto, i populisti non avranno risposte e dovranno rivolgersi agli esperti, che a loro piaccia oppure no. Personalmente non ho mai esitato a fare il vaccino contro la poliomielite, perché ho il ricordo di membri della mia famiglia che zoppicavano per colpa della polio. Spero che non si arrivi a questo”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)