Non quando, ma come uscire dal lockdown
Imparare dagli errori che hanno trasformato un rischio sanitario in un danno grave per la salute pubblica. Lista provvisoria di cose da fare (assolutamente) prima della riapertura e di alcune che si potrebbero fare durante e dopo
Non quando, ma come. Questa è la prima domanda a cui dovremmo rispondere nel momento in cui ci interroghiamo sulla uscita dal confinamento in cui siamo.
Ecco una lista non esaustiva e ancora provvisoria di cose da fare (assolutamente) prima della riapertura, e di alcune cose che si potrebbero fare durante e dopo. La guida principale all’identificazione degli elementi di questo elenco consiste negli errori che abbiamo già fatto, noi o altri paesi: impariamo da questi. Si noti che questa lista ha il solo scopo di identificare quegli errori che hanno trasformato un rischio sanitario in un danno grave alla salute pubblica. Non sono considerati una miriade di altri punti che hanno a che fare con il modo in cui ricominciare la nostra vita economica e sociale, ma si discutono dei punti minimi che sono utili a non vanificare ciò che abbiamo fatto finora – a non subire cioè, dopo il danno del confinamento sociale, anche la beffa di un ritorno di fiamma su larga scala del virus (giacché, comunque, non riusciremo a evitare la sua circolazione se non per un colpo di fortuna).
Prima della riapertura
Il virus non è sparito e non sparirà. Abbiamo assolutamente bisogno che, prima di riaprire, sia in piedi un sistema di sorveglianza e intercettazione efficiente dei nuovi focolai (molto probabili). Serve quindi una vigilanza diffusa sul territorio (pre-ospedaliera), in grado di intercettare i primi sintomi di una ripresa locale, guardando a tutte le sintomatologie respiratorie e parainfluenzali.
• Prima del paziente di Codogno in Italia, e prima che il virus fosse identificato in Cina, improvvise esplosioni localizzate di sintomatologie non riconducibili a patogeni noti (polmoniti atipiche) avrebbero dovuto insospettire il sistema sanitario. Ciò non è avvenuto, nonostante queste polmoniti e le corrispondenti richieste di imaging diagnostico siano state registrate dal sistema sanitario regionale. Impariamo da quell’errore: ogni focolaio di sintomatologie coerenti con quel che sappiamo su Covid-19 deve essere interpretato in via primaria come Covid-19. Questo sistema di sorveglianza può vedere anche la partecipazione dei cittadini, se gli si fornisce un modo efficiente e semplice di segnalare sintomatologie compatibili senza perdere tempo; dovrebbe certamente coinvolgere la rete dei medici di base e di famiglia, i quali pure devono essere messi in grado di fare segnalazioni in maniera semplice e uniforme di sintomatologie sospette.
• Perché si arrivasse a un tampone PCR per il primo paziente locale in Italia, si è dovuto andare oltre le linee guida del tempo, che restringevano lo screening a casi ben precisi. Impariamo anche da questo errore. Ogni segnalazione sospetta deve scatenare una risposta di secondo livello, coordinata a livello locale, la quale entro poche ore deve dare il responso su eventuale positività di soggetti al virus; ove essa sia verificata, deve scattare un meccanismo di chiusura istantanea dei luoghi frequentati dai positivi e il test entro 24 ore mediante PCR di tutti i contatti e potenziali contatti (familiari, amici, colleghi di lavoro, clienti, eccetera). Il modo in cui i contatti da testare sono rintracciabili è vario, ma a meno di non voler contare solo sulle dichiarazioni dei soggetti positivi (che si sono dimostrate insufficienti), dipende dalla accettazione di tecnologie più o meno intrusive della nostra privacy, su cui è necessario che il garante della privacy ed eventualmente il legislatore si pronuncino: è possibile utilizzare ad esempio i social per rintracciare tutti i potenziali contatti di un soggetto? E cosa dire di app installate su cellulari o movimenti bancari collegati alle carte di credito e ai prelievi bancomat?
• In molte regioni italiane, si è presto raggiunta la saturazione delle capacità di screening diagnostico, perché il necessario in termini di reagenti, laboratori e personale era insufficiente rispetto all’esplosione esponenziale. Impariamo da questo errore. Perché si possa attuare quanto scritto al punto precedente, è necessario che la capacità diagnostica di ogni regione sia molto superiore a quella attuale. PCR, reagenti, eventualmente sierologia: devono esistere laboratori ad alta capacità in ogni regione, in grado di procedere a una diagnostica eventualmente incrociata in tempi rapidissimi. Pertanto, è necessario procedere all’individuazione di tali laboratori e alla dotazione del necessario per effettuare decine di migliaia di test in pochi giorni. Vorrei ricordare che il decantato modello coreano ha potuto contare sull’attivazione immediata di 500 laboratori diagnostici certificati, tutti dotati degli stessi standard e tutti ad alta produttività. Dobbiamo realizzare qualcosa di simile, perché siamo un paese ancora più a rischio di quanto non fosse la Corea del sud alla sua prima ondata epidemica, a causa del fatto che in Italia il virus circola in tutto il territorio nazionale in quantità non irrilevante.
• In Italia, come altrove, il sorgere di un’epidemia (con il suo classico andamento esponenziale dei pazienti) è stato trascurato, credendo che le risorse disponibili – e in particolare le terapie intensive – sarebbero state sufficienti. Inoltre, non ci si è predisposti all’isolamento di pazienti e personale medico dedicato, come insegnano i numerosi focolai nosocomiali e comunitari che hanno procurato disastri in Lombardia. Impariamo da questi errori. Il sistema sanitario delle varie regioni deve essere lasciato in preallarme per possibili esplosioni di nuovi focolai. Questo significa che i posti in terapia intensiva – che abbiamo portato in poco tempo da 5.000 a 9.000 – devono essere ancora aumentati, soprattutto in quelle regioni in cui il virus ha circolato ancora poco. Significa pure lasciare attivi i protocolli di triage, la separazione dei pazienti sospetti PRIMA del risultato dei tamponi, la capacità diagnostica mediante imaging e soprattutto significa dotare gli operatori sanitari di scorte di dispositivi di protezione individuali sufficienti per mesi.
• Inghilterra e Spagna si sono trovate nell’imbarazzante situazione di aver comprato enormi quantità di test rapidi per identificare i cittadini immuni o infetti, acquistati proprio per meglio gestire la graduale riapertura delle attività produttive. Questi test sierologici sono risultati essere affetti da tassi di falsi positivi e negativi troppo alti, al di là delle dichiarazioni di coloro che li commercializzano. Impariamo dagli errori degli altri. Lo strumento della diagnosi sierologica è sicuramente utile, eccetto quando non ne conosciamo i limiti di sensibilità e specificità. Prima di riaprire, è necessario effettuare un’analisi su larga scala di un buon numero di soluzioni commerciali, per identificare sia il miglior prodotto sia il giusto protocollo in grado di evitare che troppi soggetti ritenuti immuni, in realtà non lo siano, e viceversa. L’attuale assalto di piccole, medie e grandi aziende per piazzare il proprio metodo diagnostico va respinto, in assenza di certificazione nazionale o internazionale trasparente (dati disponibili) e unica.
• La comunicazione giornaliera dei dati della Protezione civile è stata nella fase 1 fuorviante e malintesa. Si sono scambiati i dati di impegno del sistema sanitario e i dati di positività al campione con dati utili per fare analisi epidemiologica. Impariamo da questo gravissimo errore. E’ necessario predisporre un campionamento statistico, anche su piccola scala ma ben disegnato, se si vogliono ottenere dati epidemiologici, e la comunicazione istituzionale e sui media deve distinguere tra dati di cronaca e di impegno delle risorse per fronteggiare i nuovi focolai, da una parte, e dati utili a controllare lo sviluppo di eventuali nuove epidemie e a fare predizioni epidemiologiche, dall’altra.
Durante la riapertura
La fase di riapertura è particolarmente critica, perché non sappiamo se entro le prime settimane non si manifesterà un ritorno di fiamma dell’epidemia dovuto alla circolazione del virus e alla scarsa percentuale di immunizzazione della popolazione. Vi sono alcune possibili azioni da considerare.
• All’inizio dell’epidemia in ogni paese, le fasce più colpite sono state ovviamente quelle professionalmente più esposte, in particolar modo il personale sanitario; ciò ha contribuito al rapido propagarsi dell’infezione. Impariamo da questo errore. Lo screening sierologico e mediante PCR delle fasce professionali maggiormente esposte al pubblico (e dunque a più alto rischio di contrarre o propagare l’infezione) deve essere continuo e avere priorità sul resto della popolazione. Infermieri, medici e ogni altra categoria che ha molti contatti con il pubblico vanno tutelati attraverso l’immediata diagnosi molecolare non appena ne facciano richiesta a causa del manifestarsi di sintomi sospetti. Lo screening deve essere anche sierologico (quando disporremo di test sicuri) e ripetuto nel tempo, per verificare se e quanto duri l’immunità.
• In alcuni stati asiatici, la fine del lockdown ha coinciso con un generale rilassamento anche delle restanti misure di sicurezza. Il risultato è stato un ritorno di fiamma (per ora limitato) dell’epidemia. Impariamo anche da questo errore. Ancor più che durante il lockdown (quando in sostanza la protezione è data dalle mura domestiche), durante la fase di riapertura è necessario mantenere quelle misure che servono a evitare di propagare immediatamente l’infezione. Mascherine, distanze fra individui, divieto di assembramento: tutte misure utili, da non abolire improvvisamente come se il virus fosse scomparso.
• Tutti i luoghi di incontro professionale sono risultati in Cina e nel mondo origine di cluster infettivi non trascurabili. In Germania, per esempio, si ricorderà che il primo episodio di infezione identificato è originato da una riunione professionale presso un’azienda bavarese. Impariamo da questi errori. Anche in Italia, molti uffici pubblici e molte aziende hanno iniziato ad acquistare barriere di plexiglass da frapporre fra operatori e pubblico o fra gli impiegati che condividono spazi di lavoro. Fra questi, risultano aver iniziato a provvedere Inail, Inps e alcuni uffici regionali per l’impiego. L’acquisto di queste barriere o di altre simili deve essere incrementato al massimo anche per le piccole e piccolissime imprese e attività professionali o commerciali.
• Quando si è sparsa la notizia che il governo stava per “chiudere” la Lombardia, decine di migliaia di persone si sono spostate da quella regione in altre, disseminando l’epidemia. Impariamo da questo errore. Almeno nelle fasi iniziali della riapertura, la circolazione dei cittadini su lunga distanza (per esempio tra regioni diverse) deve essere fortemente ridotta, e deve essere comunque immediatamente interrotta appena si scoprono focolai in una certa regione. Per almeno qualche mese, inoltre, gli spostamenti su lunga distanza potrebbero essere subordinati a ragioni stringenti, prestazione di servizi essenziali o all’effettuazione di saggi diagnostici opportuni, per evitare la disseminazione del virus circolante in una regione in altre regioni.
Dopo la riapertura
Alcune misure vanno mantenute per lungo tempo, almeno fin quando non avremo armi terapeutiche efficaci (farmaci o vaccini che siano). Anche qui, gli errori commessi sono una buona guida per identificare alcune cose da fare.
• Alcune aziende, laboratori medici, case di riposo e laboratori di ricerca hanno potuto continuare le attività anche durante il lockdown senza registrare casi se non molto sporadici, grazie a rigidi protocolli di controllo e monitoraggio continuo sia degli ingressi (ove possibile con thermal scanner) sia dei movimenti interni alle strutture aziendali (rigidamente programmati, in modo da poter tracciare all’indietro ogni possibile contatto tra soggetti rivelatisi infetti e gli altri impiegati), sia ancora con altre misure intelligenti di prevenzione. Impariamo da questi protocolli che hanno funzionato finora molto bene nel prevenire focolai aziendali. Queste misure sono da mantenere per evitare la propagazione immediata dell’infezione a partire da pochi casi iniziali.
• Quando (con molto ritardo) ci si è accorti di ciò che stava succedendo nel bergamasco, si è voluto evitare la chiusura localizzata e stretta dei territori interessati dall’epidemia, rifiutando l’istituzione di una zona rossa. Impariamo da questo errore. Nel caso un territorio sia interessato dalla scoperta anche di pochi casi, la chiusura deve essere immediata, per consentire il tracciamento completo mediante PCR e lo spegnimento del focolaio. Le ordinanze, i regolamenti e i protocolli per la chiusura rapida di zone infette devono essere pronti e attivabili in ogni momento dai sindaci o, per i casi più gravi, dalle regioni.
• Alcuni focolai infettivi si sono avuti a causa di riunioni che potevano essere evitate, in piena epidemia – anche presso istituzioni dedicate al controllo della stessa epidemia. Impariamo da questo errore. Il telelavoro deve sostituire il grosso delle riunioni professionali e deve essere applicato ovunque sia possibile (compreso il settore dell’educazione, ove le università a distanza hanno qualcosa da insegnare).
• La ricerca scientifica sul Covid-19, inclusa quella clinica, è in una fase estremamente dispersiva. Molte piccole ricerche stanno producendo evidenze che si potrebbero al più definire preliminari, e in moltissimi altri casi si stanno invece producendo scritti e parole che sono privi di base solida o del tutto privi di fondamento nei dati (pur quando sono interessanti). Ciò ha prodotto già adesso pubblicazioni contrastanti (ma sempre poco basate sui dati) e ritrattazioni istantanee (dopo aver influenzato però l’opinione pubblica). Impariamo dagli errori del passato e da quelli recenti. Seguendo le indicazioni di Ema e Oms, concentriamo anche in Italia la ricerca clinica su trial di dimensioni sufficienti a dare risposte, a cominciare dagli approcci terapeutici più promettenti e da quelli che hanno già trovato largo uso pure in assenza di prove formali di efficacia.
In generale, concentriamo poi le attività di analisi statistica e metodologica sulla validazione accurata e continua dell’evidenza che si produce o che viene meno per i trattamenti e le strategie proposte: eliminiamo alla base la scienza ipotetica o malfondata, in attesa che eventualmente guadagni supporto sperimentale, prima di dar credito a ogni ipotesi pur brillante.
In conclusione
Quelle elencate sono solo le misure suggerite da alcuni degli errori commessi nella fase 1 dell’epidemia. Naturalmente, esistono altre misure da considerare, non necessariamente connesse a errori compiuti; di certo, però, a questo punto il governo con il suo comitato di crisi dovrebbe cominciare a fornire qualche indicazione non sulla data della riapertura in sé, bensì sulla data in cui sarà disponibile un piano chiaro e sulle misure preliminari che bisognerà intraprendere prima della riapertura. Decretare a vista non è più possibile.